Racconti
17-24
N.17
Il
Seguire
In
una giornata calda di mezza estate Teth camminava sul lungo mare, quando
all’improvviso vide una gran luce e gli apparve un Bambino.
Questo strano Bambino lo guardò
fisso negli occhi e gli chiese: “Vuoi venire in barca con me?”
Teth ricordava vagamente di aver guidato in passato (forse in una vita
precedente) due barche; sapeva anche nuotare un po’ e il bambino era
attraentissimo, così Lo seguì. Il Bambino gli dava la mano e andava
avanti. Tra il lungomare e il mare vi era un tratto di roccia con qualche
spiaggetta semideserta; la roccia era scoscesa, qua e là vi erano punti
pericolosi, ma dietro il Bambino, non c’era pericolo. Così passando tra
poca gente sdraiata sulla sabbia e alcuni bambini che giocavano a
costruire castelli, giunsero al mare.
Il Bambino offrì la sua barchetta, ma
era così piccola, così piccola che Teth per entrarci si schizzò tutto.
Ma il Bambino rideva felice.
“Seguimi” diceva. Teth temeva il freddo dell’acqua, ma poiché era
una giornata di mezza estate l’acqua era tiepida. “E se il mare
diventa burrascoso?” chiedeva. Il Bambino sorrideva senza rispondere.
Attraversarono così il primo tratto di mare, dove l’acqua era davvero
molto bassa; c’erano pure alcune altre barchette lì intorno e piano
piano giunsero ad una grotta che dava, nella parte posteriore, sul mare
aperto. In quella grotta erano custodite le barche grandi. Il Bambino
disse: “Prendiamo una barca più grande”. Teth guardò il mare
aperto…sì, aveva guidato di sicuro altre barche in passato…sì,
sapeva nuotare abbastanza bene… ma lì era proprio mare aperto…
oceano… “Vuoi davvero andare?” “Sì, sì andiamo, andiamo!” Il
Bambino esultava di gioia. I Custodi della grotta consegnavano barche a
chi le richiedeva; davano i remi e consigli; avevano un aspetto molto
severo, ma erano molto belli, sembravano “Anziani”.
Teth e il Bambino ebbero in consegna una barca assai agile, giusta giusta
per loro due; a Teth sembrava fragile ma: “Non preoccuparti, è
robustissima” disse il Bambino.
Poi salì sulla barca e immediatamente divenne un giovinetto bellissimo,
talmente bello da sembrare il Dio Krisna. Teth lo seguì sulla barca…gli
occhi del Giovinetto brillarono di luce divina: “Andiamo al largo,
andiamo al largo”. Teth remava, remava con tutto il suo vigore. Si
spinsero al largo. Ora il mare non era più calmo come prima, ma pareva
un’enorme massa di acqua ribollente; a destra e a sinistra rocce
impervie, da nord un vento gelido sembrava voler capovolgere la barca ad
ogni momento e, come se non bastasse a volte Teth perdeva di vista la sua
Guida o per l’acqua che a volte glielo nascondeva o perché Quello
veramente scompariva; però Teth riusciva sempre a sentire la Sua Presenza
e, nei momenti più difficili, era sempre in grado di vederLo, perché Gli
si affidava completamente. A volte, dopo aver superato un qualche momento
terribile in cui era stato lì lì per sfracellarsi contro la roccia, Gli
chiedeva: “Ma è proprio necessario farmi rischiare così la vita? Dove
andiamo? Perché non mi porti direttamente con Te, dovunque Tu voglia
andare?”
E in quei momenti di completo abbandono il Giovinetto lo rincuorava
dicendogli che l’Avventura era meravigliosa e che era solo come se
stessero provando le scene di un film divertentissimo… Ancora una volta
la barca fu spinta nella bufera. Teth era stanco e quella volta temette di
non farcela: “aiuto, aiuto, Mio Adorato, salvami!” Solo al momento
estremo il Giovinetto comparve a sollevarlo… un attimo dopo, dove era
prima Teth, acqua e vento sembravano lottare fra di loro e creare il
finimondo.
Teth, mortalmente pallido, batteva i denti; il Giovinetto gli sorrideva:
”Ma non vedi che è un giuoco?
Quando avrai attraversato tutte le acque, oltre quella gola che puoi
scorgere laggiù, tornerai a Casa. Devi imparare a non lasciarti turbare
da queste vane apparenze. Io Sono con te dovunque, non hai che da
seguirmi. Roccia, acqua e vento sono gli elementi del giuoco ed è
divertente vedere come riesci a dominarli”.
Così dicendo il Giovinetto scomparve ancora una volta e riapparve poco
dopo, tutto luminoso, oltre la gola che aveva indicato. Teth puntò
decisamente la barca verso quella direzione.
“Ti seguo, vengo!!” disse, e, come volando sulle acque oltrepassò
l’ultima barriera… oltre la roccia, l’acqua e il vento era il Fuoco.
Il Dio Giovinetto era quel Fuoco e Teth era quel Dio.
N.18
L’Emendamento
delle cose guaste
Ain si trovava su quel pianeta straniero, duro e ostile da un bel
po’ di tempo, non si ricordava più da quando. Ma quello era di sicuro
un pianeta alieno, difficile e inospitale anche per i suoi abitanti. Lì
fare una qualsiasi cosa costava una fatica terribile; lì spesso si
combattevano vere e proprie guerre: popolo contro popolo, paese contro
paese, città contro città, famiglia contro famiglia, vicino contro
vicino, duale contro duale. Eh, sì, perché la cosa più strana era che
spesso anche i due che si erano uniti di loro volontà, cercando di
ricostruire la coppia primigenia, anche quelli si facevano assai spesso
battaglia.
Ain alla fine aveva concluso che
quello era il loro modo di divertirsi! Lui però non si divertiva per
niente, lui era certo di essere di un altro pianeta: lo aveva capito
subito, fin dall’inizio, da quando aveva cominciato a guardarsi intorno;
tuttavia la sua mente, in fatto di ricordi, era come annebbiata,
soprattutto non riusciva a ricordare “come” e “perché” fosse
capitato lì. Così agiva un po’ come un automa, come la maggior parte
degli abitanti del pianeta: si alzava la mattina dal luogo del riposo
(come facevano tutti o quasi) al suono di un aggeggio meccanico;
purificava il rivestimento esterno del suo veicolo grossolano con un
composto liquido per la verità piuttosto gradevole; alimentava il veicolo
stesso con sostanze più o meno nutrienti, ingollando tutto in fretta,
perché (chissà perché) in quel “benedetto” pianeta tutto doveva
essere fatto in fretta (forse a causa degli aggeggi meccanici che tutti
portavano legati addosso e che scandivano a tempo di ore, minuti e secondi
la loro schiavitù).
Ogni giorno Ain si dirigeva verso una specie di alveare dotato di tante
cellette: nella sua stessa celletta c’erano altri automi come lui
che per arrivare fin là avevano (sempre correndo) preso posto su uno
scatolone metallico porta-automi che scivolava rapido su di un nastro
grigio, si fermava per far salire e scendere gli automi, li strizzava
l’uno con l’altro e poi li risputava quasi a destinazione.
Il buffo era che tutti protestavano brontolando, ma tutti
seguitavano la loro corsa pazza (pazza perché senza meta); dopo un certo
tempo di andirivieni meccanico che veniva chiamato “lavoro” su quel
pianeta, di nuovo gli automi alimentavano il veicolo grossolano, per poi
riprendere l’andirivieni, per poi salire di nuovo sulla scatola
metallica che li riportava al luogo del riposo. Prima di riposare però
era d’obbligo per tutti una specie di seduta semi-ipnotica davanti a una
scatola cubica in cui apparivano varie scene di altri automi in movimento
che agivano in modo ancora più dissociato e alienante degli spettatori.
Ain di tutto quel genere di cose era proprio saturo. Non ne poteva
più. Quello che l’assillava maggiormente era il fatto che non riusciva
a ricordare perché fosse diventato automa. “Prima” non lo era di
sicuro, ma “quando”? E gli altri? Come accettavano il fatto di essere
dei pupazzi automatici? O forse per loro era gradevole esserlo? Alcuni non
se ne rendevano nemmeno conto e quando Ain faceva “certi discorsi” lo
guardavano come si guarda il folle… altri che vedevano l’assurdità
del comportamento collettivo, avevano trovato soluzioni “fantastiche”
al problema; la “fantasia che andava più di moda” era quella di
credere che alla fine di quella specie di vita un “Salvatore”, un
“Re” o qualcosa di simile avrebbe liberato tutti rendendoli immortali,
bastava essere “buoni”. Ain invece non riusciva a credere che
Quell’Essere generoso gli avrebbe regalato l’Immortalità, anche perché
spesso nei sogni, la notte o improvvisamente guardando un tramonto o
un’alba, gli sembrava di recuperare qualche barlume di ricordo… e in
quei frammenti di visioni il Protagonista, il Salvatore, il Re era sempre
lui stesso e non qualche Altro…allora si aggrappava a quei frammenti e
cercava di “tirarli giù” disperatamente… ma regolarmente gli
sfuggivano. Così Ain continuava in quella girandola assurda di azioni
senza senso che lo rendevano sempre più automa, pur senza inserirlo
veramente in quel “contesto sociale” e senza mai renderlo adatto a
quel tipo di vita. Una delle abitudini più assurde e strane di quel
pianeta era la “follia del fine settimana”
o “weekend” come veniva
chiamato ufficialmente.
Dopo aver trafficato per cinque
giorni nel modo insensato che abbiamo visto prima.
Per due giorni gli automi dovevano “correre fuori”, cioè lasciare
l’alveare di cemento per andare tutti insieme al mare o in campagna o in
montagna; questo non sarebbe stato male in sé, ma il fatto era che per
andarci dovevano sempre stiparsi in quelle scatole metalliche che li
riducevano come tante sardine e poi, una volta arrivati con tutti i loro
bagagli, dovevano in quei due giorni agitarsi fino a non poterne più
per…forse potersi riposare poi al “lavoro”…
Fu proprio durante un weekend di lavoro forzato speso ad andare avanti e
indietro a sistemare, pulire, tagliare, innaffiare e poi ancora
innaffiare, tagliare, pulire, sistemare che Ain, stanco, davvero stanco in
tutti i sensi, guardò il sole che calava lentamente all’orizzonte e
cercò disperatamente la risposta al “Perché fosse lì”… fu un
attimo magico…
Passò un rondinotto sulla sua testa e gli rispose: “Perché dicesti a
Tuo Padre di darti la parte di patrimonio che ti spettava e te ne partisti
a sperperare le tue sostanze”.
Ma come i rondinotti ora parlavano? E’ vero! Ora ricordava! Nel suo
pianeta d’origine parlava sempre con gli uccelli e pure con gli alberi e
le piante…anche con le pietre, perché lì tutto era la Cosa Unica…
Dunque se volontariamente si era allontanato dal Padre volontariamente
poteva tornare…
Ain ora sapeva che in qualche modo avrebbe potuto riunirsi all’Unità
Primordiale da cui era partito ma ancora non riusciva a vedere il mezzo
adatto per tornare…
Ora gli apparivano dinanzi le città eterne, i giardini
d’incanto, i viali di luce, poteva udire le musiche celesti, i cori
angelici, i profumi inebrianti…
Stette seduto su una pietra a
riflettere tre giorni, poi prese la decisione: sarebbe tornato a casa ad
ogni costo: “Mi leverò e andrò da mio Padre e gli dirò: Padre, ho
peccato contro il Cielo e contro di Te; non sono più degno di essere
chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni (Luca 15,18). Ma
almeno sarò tornato a Casa”.
Per altri tre giorni stette a pensare “come” sarebbe tornato a Casa,
sempre seduto sulla pietra.
Al termine di quei secondi tre giorni, si alzò in piedi. Era il settimo
giorno. Richiamò nel suo cuore il ricordo della vera Patria poi, su di un
raggio interno di luce, a velocità umanamente inconcepibile, raggiunse la
sfera celeste che gli era propria là dove era il Padre, la Madre, i
Fratelli, le Sorelle. Quella era felicità!
Assaporò quella gioia, quella beatitudine profondamente… poi aprì gli
occhi: non si era mosso di un centimetro, non aveva lasciato il pianeta
straniero, duro e ostile; era lì dove era prima, eppure quello era il
Pianeta d'Origine. Ne era sicuro. Stava sognando? Un’ederina in terra
gli rispose subito: “No, no. Qui e ora. Qui e ora è la Realizzazione.
Tu solo puoi decidere di
essere un automa o un Buddha,
ma quand’anche decidi di essere un automa, se sai compiere il corretto
“Emendamento delle cose guaste” ritorni Buddha.
Che
tu sia Benedetto, Signore del Creato. E l’ederina si inchinò.
Ain
allora guardò lontano e vide la Città e così come era la vide perfetta;
guardò il giardino: era d’incanto; il viale: splendente di luce; i
suoni intorno: musica delle sfere; il suo lavoro: una missione; sorrise
contento: era lieto di essere tornato a Casa.
N.19
L’Avvicinamento
Quando,
dopo sette anni di permanenza nel monastero, a Pè, discepolo diligente e
assiduo fu permesso di porre le sue domande al Maestro Zen, questa fu la
domanda:
“Quale
è il metodo migliore per avvicinarsi al Tao?”
Il
Maestro rispose: “Se cerchi di dirigerti verso di Esso te ne
allontani”. Il discepolo rimase male. A che scopo era rimasto tutto quel
tempo in quel monastero se lì non avevano un metodo da insegnargli? La
cosa migliore a quel punto era quella di andarsene alla ricerca di un
altro maestro in grado di insegnare “come avvicinarsi al Tao”.
A meno che… il discepolo si ritirò nella sua stanza a riflettere sulla
domanda e sulla risposta. “Avvicinarsi al Tao!” Sicuramente la sua
domanda era stata imprecisa…Che cosa vuol dire “avvicinarsi al Tao”?
Che forse il Tao è in relazione allo spazio? E’ in un posto lontano e
io voglio andarGli vicino? Posso prendere l’automobile, il treno,
l’aereo e raggiungerLo? No di certo! So bene che non c’è possibilità
di andare al Tao se non in senso traslato e che il Vero Tao è oltre la
manifestazione e perciò oltre la morte! Ma verso “qualcosa” devo pur
tendere i miei sforzi! Forse avrei dovuto formulare la domanda in modo
diverso, forse avrei dovuto dire: “Maestro, che devo fare per avere la
Vita Eterna?” Ma questa domanda, così formulata è stata rivolta al
Grande Maestro e conosco anche la risposta: “Va, vendi tutto quello che
hai ecc., poi vieni e seguimi! (Mc. 10,21) So anche come ha reagito il
discepolo che l’ha posta: se ne è andato! Eh, sì perché quella è una
risposta valida per chi vuol “seguire” non per chi vuole
“avvicinare” e magari “essere seguito”! Però, se quel
“Maestro” viene interiorizzato…allora posso porre la mia domanda così:
“Come posso, maestro, avvicinare il Maestro?”
Il discepolo Pè rifletté per 3 giorni sul problema, poi si recò dal
Maestro Zen e gli pose la domanda così come aveva deciso: “Come posso,
maestro, avvicinare il Maestro?” Ed ebbe come risposta:
“Chi cerca la via non realizza la Verità
Conosce
solo la sua vecchia coscienza discriminante.
E’
questa la causa del ciclo senza fine di nascita e morte.
Ma
gli ignoranti la confondono con l’Uomo Originale”.(Mumonkan Koan 12)
Che non era molto diversa dalla risposta di quattro giorni prima. Pè tornò
nella sua stanza: “ho sbagliato ancora” si disse, “adoperando due
volte la parola “maestro” ho dimostrato di non aver ancora capito
quale è il vero Maestro. La prossima volta chiederò: “Sai tu come
posso avvicinarmi all’Io Sono?” forse avrò maggior fortuna”.
Pè rifletté altri 3 giorni poi
andò dal Maestro Zen e gli pose la domanda direttamente:
“Sai tu come posso avvicinarmi all’Io Sono?”
Si ebbe per tutta risposta:
“Centinaia
di fiori in primavera, la luna in autunno,
una
fresca brezza in estate e la neve in inverno.
Se
non c’è nessuna nuvola vana nella tua mente.
Per
te è una bella stagione.” (Mumonkan Koan 19)
Pè tornò nella sua
stanza, rimase ancora 7 giorni a riflettere su quell’ultima risposta,
poi ebbe una illuminazione. Ma non era l’Illuminazione della
Realizzazione Zen, no, vide solo chiaramente che quello non era il suo
posto. Se ne andò da quel monastero e tornò al suo vecchio mondo, a
contatto con la gente e la vita di tutti i giorni: il lavoro, la casa, i
parenti, gli amici, i vicini. Lì riprese la vita che aveva interrotto
sette anni prima, quando era entrato nel monastero. Ora però gli capitava
talvolta che qualcuno, sapendo che era stato sette anni in un monastero,
lo interrogasse sugli argomenti più disparati concernenti la salute, la
religione, l’etica, lo scopo della vita. Pè rispondeva come poteva,
cercando le sue risposte “dentro” e talvolta la gente era soddisfatta
e se ne andava più serena di prima. Gli capitava altre volte che
venissero a raccontargli i loro problemi e i loro affanni e spesso lo
disturbavano e lo distraevano dalle sue occupazioni preferite: lo studio
dei Testi Sacri, la musica, la pittura…ma lui cercava “dentro” la
forza per assorbire e dissolvere quelle ondate di energia negativa e la
gente spesso se ne andava, dopo aver parlato con lui, sollevata e meno
tesa e sofferente di prima.
Passarono così molti anni, poi un giorno, mentre ormai anziano se ne
stava in meditazione nel Tempio, vide una vallata verdeggiante, nel cui
centro scorreva un fiume di acqua viva.
Sul bordo del fiume era una fanciulla bellissima, tutta nuda ricoperta dei
soli capelli; nella mano destra aveva un’anfora d’oro, nella sinistra
un’anfora d’argento e da quelle versava liquido d’oro nel fiume,
liquido d’argento sulla terra.
“Chi sei? Che cosa fai?” Chiese Pè.
“Sono la tua Donna” disse la fanciulla, “Per l’anfora d’oro
(forza centrifuga) sono inesauribile nell’intenzione di insegnare; per
l’anfora d’argento (forza centripeta) sono senza limiti nel sopportare
e proteggere il popolo. Questo è il vero avvicinamento”.
Allora Pè si destò da quella visione e lì nel Tempio si guardò
attorno. E vide che quello era un Tempio Zen, Intorno a lui si erano
radunati numerosi discepoli. Tutti si chiedevano quale fosse il modo
migliore per “avvicinare il Tao”.
Pè
li guardò con Amore, sorrise e spirò.
N.20
La
Contemplazione
Power,
sovrano di Everyland viveva da sempre nella sua stupenda Torre d’Avorio
situata nel Fuoco della Perfezione e di lì governava, o meglio faceva
governare il suo Reame con Supremo Impersonale Regale Distacco. Un giorno
arrivò un messaggero tutto trafelato che chiese di parlare in tutta
fretta col Sovrano; recava brutte notizie: in Adamland erano sorti
numerosi disordini; il popolo sobillato da un ministro infedele al Re,
Crawling-Snake, aveva cominciato a ribellarsi alla Legge e poi aveva
continuato in tutta una serie di trasgressioni tanto che ormai si
paventava la possibilità che potesse giungere all’estremo: la
formazione di un contro-regno che escludeva il Vero Sovrano e poneva al
suo posto Snake e la sua donna (Prostitute).
A quella terribile notizia il Re si lasciò sfuggire un sospiro: “Me
l’aveva detto il mio ufficio privato di auto previsioni di non farlo
libero quel popolo lì! Ma lasciamolo sbizzarrire un po’ come vuole,
tanto siamo sempre in tempo ad intervenire!”
Il messaggero rimase perplesso: “Che cose devo dire ai funzionari
invisibili del posto?”
“Che stiano in disparte a vedere. Probabilmente ne vedranno delle
belle!”
Congedato così il messaggero il Re Power se ne tornò al suo Solitario
preferito ma, prima di riprenderlo, accese tutti i bottoni del suo
tele-video in universo-visione che gli permetteva di controllare tutto il
Reame con un’occhiata (In genere non l’accendeva mai del tutto, anzi
spesso lo lasciava completamente spento, fidandosi del servizio perfetto
dei fedeli funzionari).
In realtà non era la prima volta che si richiedeva un Suo intervento
diretto in Adamland: c’era stata la primissima, quando aveva dovuto
allontanare quel popolo dal piede della Torre d’Avorio, poi c’era
stata la volta dell’acquazzone di 375 gg.(e allora Adamland aveva avuto
una di quelle ripulite!) E poi c’era stata la volta in cui aveva dovuto
sgretolare la torre che quel popolo presuntuoso si era costruita per
tentare di raggiungere la Sua Torre d’Avorio (illuso!). Ora poi il
contro-regno addirittura!
Il Re Power diede uno sguardo al video, distogliendo l’Occhio dal
Solitario…eh, sì la
situazione stava proprio prendendo una brutta piega! Quelli che in
Adamland dovevano essere i suoi ministri visibili pensavano solo a far
quattrini e a pavoneggiarsi. Degli altri non ne parliamo!
E Lui, il Padrone Assoluto era considerato alla stregua di un mito, di una
favola per bambini e donnicciole. Sulla fronte del Re si formò una ruga
profonda, ma Egli seguitò il Solitario.
…”Perché
certe cose un conto è sentirle raccontare, un conto è vederle col
Proprio Occhio!” Mentre faceva questa considerazione scoperse le ultime
due carte che aveva in mano: erano l’Appeso e l’Imperatrice.
“Ah,
così sta la situazione!” Allora si alzò dal trono su cui sedeva e
convocò gli Altri Due componenti la Tri-Unità. (Egli, non tutti lo
sanno, è Uno e Trino; quando deve prendere decisioni importanti si
consulta sempre con gli Altri Due Consovrani Love e Wisdom).
Quando i Tre si riunirono ufficialmente migliaia di funzionari accorsero
da ogni dove e postisi in centri concentrici uniti fra loro formarono una
Spirale di luminosità incredibile, al centro della quale splendettero le
Tre Fiamme nella loro più esplosiva magnificenza.
Love disse: “Non mi sembra amorevole lasciare che Adamland si perda così,
senza intervenire”.
Wisdom disse: “Andrò Io sul posto e vedrò cosa fare”.
Power acconsentì.
Wisdom nacque così in Adamland e da piccolo corse grande pericolo perché
c’era in quel territorio (e vi regnava) il cattivo ministro che
l’avrebbe voluto morto…ma i suoi genitori, Receptivity e Courage, Lo
seppero nascondere così bene nella terra del Mystery che Snake non riuscì
a trovarLo. Così Wisdom crebbe in silenzio e divenne adulto. A maturità
completa si manifestò pubblicamente sulla riva del mare e di lì iniziò
la sua predicazione in Adamland, la innestava sul solco lasciato dall’Eremita-profeta
scaturito da quel popolo, come si innesta un ramo fruttifero su uno
selvatico. Il popolo di Adamland ascoltò per tre anni, come stabilito, la
Sua predicazione, poi fu posto al Bivio con due possibilità: aderire alla
predicazione di Wisdom, accettarlo in sé e, secondo le Sue istruzioni,
compiere il Lavacro e l’Offerta e Contemplare in Love Power, Il Sovrano
Assoluto, oppure seguire i suggerimenti di Snake, uccidere Wisdom,
crocifiggendolo e compiendo così il lavacro sacrilego e l’offerta
blasfema senza contemplazione.
In tal caso Wisdom si sarebbe disciolto in tutta Adamland fecondando tutto
il suo terreno e preparandolo ad un Suo eventuale più propizio ritorno.
Questa seconda possibilità non era certo una scelta auspicabile perché
avrebbe portato sofferenza e dolore, ma poteva essere preferita dal popolo
di Adamland perché in effetti era lui a scegliere.
Ma allora “quella volta” che cosa accadde?
Quella volta invano Snake tentò di convincere Scorpio, uno dei discepoli di Wisdom, a tradire il Maestro.
Scorpio quella volta rimase fedele e il suo bacio fu sincero. E così pure
invano cercò Snake di indurre Washer, che avrebbe dovuto secondo lui
condannare Wisdom “lavandosi le mani” a farLo imprigionare.
Washer andò lui stesso incontro a Wisdom e lo proclamò “Maestro”
dell’Impero. A quel punto il popolo non poteva far altro che ribellarsi
al giogo dell’usurpatore, scacciare cioè Snake, e così fece. A Wisdom
fu eretto un Tempio sul monte a simboleggiare la Torre d’Avorio e tutti
in Adamland guardavano Lui per poter vedere Quello che è oltre
l’Abisso.
Love intanto aveva costruito il Ponte sull’Abisso per permettere
il ritorno a Casa di Wisdom e, tornando Egli in “quel modo”, anche il
popolo di Adamland, che ormai lo “seguiva” dappertutto, ebbe accesso
all’inarrivabile Torre d’Avorio.
Power accolse Wisdom a braccia aperte e con Lui il Suo seguito.
… E poi, che avvenne?
Ah, mi dimenticavo di dirvelo!
Power tornò come al solito al suo Solitario preferito: ricoprì la carta
del “Mondo” e…subito dopo… voltò la carta del Folle!
N.21
Il morso che spezza
L’Agente
Franz aveva chiesto al suo Superiore il permesso di compiere un viaggio
d’istruzione autocomandato; ottenuto il permesso, ricevuta la parola
d’ordine e l’indispensabile visto sul passaporto, aveva preparato
tutto l’occorrente per il viaggio con estrema precisione e cautela e,
dopo aver regolato alla perfezione il suo personale apparecchio di volo
controllandone pezzo per pezzo le singole parti, aveva messo in moto ed
era partito.
La partenza era stata di una facilità estrema; la visione che trasmetteva
il monitor era di una chiarezza incredibile e il paesaggio oggetto della
visione così nitido e consueto che Franz aveva temuto più volte di non
essere neanche partito.
L’atterraggio
poi era stato dolce ed equilibrato, così egli era sceso dalla navicella e
subito aveva chiesto agli addetti del piccolo aeroporto del pianetino su
cui si era ritrovato il permesso di soggiorno per il breve periodo del
visto. Aveva mostrato ovviamente il passaporto con il visto, senza del
quale nessuno è ammesso regolarmente negli interspazi.
Non
solo il passaporto era stato subito controllato, approvato e reso, ma in
seguito ad una telefonata ricevuta sul momento dai funzionari, era
comparso lì, davanti a lui, un “accompagnatore ufficiale”. Franz per
la verità non era avvezzo a tante cerimonie, tutte le volte che aveva
compiuto i suoi viaggi d’istruzione era stato abituato alla solitudine a
all’anonimato; quella volta era decisamente tutto insolito…
Ma aveva pensato: “Questa sarà un’istruzione particolare!” e
aveva preso la cosa a verso dicendo: “Sta bene, andiamo. Che cosa avete
di interessante qui per la mia istruzione?” Il funzionario
accompagnatore inchinandosi profondamente e indicandogli una torre che si
notava in lontananza gli aveva risposto:“Come
ospite d’onore potrai visitare quella Torre: è la nostra migliore
scuola per aspiranti-Maestri come te.”
Il funzionario era andato avanti e Franz lo aveva seguito. Tutti coloro
che avevano incontrati sulla strada si erano inchinati al loro passaggio.
“Che strana abitudine”, aveva pensato Franz, ma essendo stato
risvegliata La sua curiosità, aveva proseguito. La Torre, a base quadrata
a 3 piani era bellissima, circondata da stupendi giardini pieni di
fontane, vialetti, fiori, uccelli variopinti. In breve erano giunti
davanti al portone della Torre, questo si era spalancato automaticamente e
all’interno era apparso un
salone enorme tutto istoriato con affreschi, ornato di colonne di marmo
pregiato e piante sempreverdi che, nonostante lo stile un po’ antico
dell’arredamento, pareva dotato delle maggior comodità della tecnica più
avanzata: video-camere e video-registratori, ascensori, telefoni, e robot
automatizzati di servizio.
Fraz fu ricevuto nell’atrio dal Direttore della scuola in persona:
“Sappiamo che ti dedichi da molte vite all’Arte della Maestria”,
disse quel Funzionario Maggiore con voce morbida e controllata e con un
dolce sorriso, “se vuoi restare un po’ qui con noi, potrai conoscere
le nostre tecniche”. Franz, pensando alla sua navicella spaziale
lasciata in custodia automatica, cioè in autoprotezione”
all’aeroporto, spiegò subito che non poteva trattenersi a lungo, non
essendo neanche equipaggiato per un lungo soggiorno… però una occhiata
a quella Torre così bella l’avrebbe data volentieri.
Così visitarono il primo salone quello detto dell’Isolamento. Il
Direttore diceva che dopo un breve soggiorno in quel salone il discepolo
non avrebbe più sofferto la solitudine, né la perdita delle cose, degli
affetti, delle conoscenze… infatti Franz sentiva invaderlo uno strano
torpore, una strana indifferenza…ma anche a casa sua non soffriva la
solitudine, né la perdita di cose, affetti o conoscenze… Poi salirono
al secondo piano, lì era il secondo salone, quello detto
dell’accelerazione.
“Qui”, spiegava sempre il Direttore, tutte le virtù vengono
miracolosamente decuplicate”. Un breve soggiorno in quel salone e il
discepolo sarebbe stato ricolmo di Grazia e Giustizia, di Bellezza e
Sapienza … perciò degno di accedere al terzo piano e visitare il terzo
salone quello detto del Contatto Diretto…Dunque se lui, Franz, aveva
disponibili 40 te/sp (i te/sp sono la misura extra dimensionale del tempo
spazio, ovviamente soggettivi e variabili) sarebbe potuto restare per poi
visitare anche il terzo salone.
Franz stette un attimo incerto: il suo visto era giusto di 40 te/sp… il
tempo c’era. Ma erano poi veramente i suoi 40 te/sp o un’altra misura?
Franz guardò su, verso il 3° piano della Torre, dove era la porta del 3°
salone, poi guardò il Direttore diritto negli occhi col suo sistema
brevettato personale di raggi xyz… “No. Grazie. Devo andare”. E
prima che l’altro avesse il tempo di recepire la risposta si era già
calato a volo, in rapida picchiata, nella tromba delle scale, mettendo in
funzione le ali che teneva nascoste nel giubbetto da viaggio e riuscendo
ad uscire prima che il portone si richiudesse automaticamente.
Aveva poi continuato a volare per un po’, ma ad un certo momento si era
girato a guardare la Torre: “Ma allora che sono venuto a fare?” Si era
chiesto. E in quel momento si era ricordato la parola d’ordine:
“Mordere”.
Doveva ancora assolvere il suo compito. Allora si rese invisibile e tornò
indietro rientrando nella torre dalla porta posteriore che era aperta.
All’interno i saloni erano mutati, erano diventati scoloriti e
evanescenti; i funzionari vecchi, vaganti e tremolanti si dicevano l’un
l’altro: ”Non siamo riusciti a trattenerLo! Solo Lui ci avrebbe dato
nuova vita…e ora da chi prenderemo l’energia per sostentarci?
Possiamo solo aspettare un’altra occasione in cui Lui sia
disponibile…ma chi di noi sarà sopravvissuto?…E se non tornasse più?”
E si compiangevano l’un l’altro…
“No” disse Franz, “non vi sarà più possibile sopravvivere! Sono
tornato non per fornirvi l’energia, ma per radere al suolo questa torre
d’orgoglio e presunzione!” E subito appiccò il Fuoco Magico ai
quattro angoli della torre.
La Fiamma immediatamente
cominciò a “mordere” il tessuto astro-mentale della torre che al suo
contatto si scioglieva come neve al sole… i funzionari intanto
impallidivano sempre più e, raggiunti dal Fuoco Purificatore, svanivano
nel nulla, ultimo il direttore che invano aveva cercato di salire al 3°
piano per salvarsi.
La torre sparì tutta: una torre di niente, e così pure
l’aeroporto. Lì dove prima era la finta postazione di controllo con i
finti funzionari era rimasta solo la navicella di Franz.
Franz ritirò la Fiamma e rientrò
alla Base. Riferì al suo Superiore e ottenne l’approvazione.
N.22
L’Avvenenza
La
madre l’aveva allevato con cura scrupolosa e lui, Qoph, dapprima piccolo
piccolo era emerso da una corona di sorelline verdi; poi sempre più
consistente nella sua decisa rotondità, a poco a poco si era isolato dal
resto della famiglia e aveva conquistato il suo proprio spazio sullo
sfondo grigio-celeste del cielo. Era l’alba. La rugiada con le sue umide
perle impreziosiva l’erba del prato, ma Qoph non vedeva ancora quella
bellezza perché, ancora tutto chiuso in se stesso, sonnecchiava.
Era passato di lì l’Elfo incaricato della distribuzione dei colori. Lo
aveva guardato con l’occhio esperto: ”Subito o al prossimo giro?” si
era chiesto. “Subito”. Aveva deciso. Aveva preparato la tinta esatta,
uno splendido giallo oro dai riflessi aranciati, aveva aperto
delicatissimamente la punta
del bocciolo e l’aveva pennellato all’interno nel modo giusto. Intanto
il sole era salito all’orizzonte e Titianhair la bella principessa che
abitava nella reggia di cui faceva parte quel meraviglioso parco, era
scesa dalle sue stanze con le damigelle per la quotidiana passeggiata tra
i viali fioriti.
Appena giunta nel giardino, quella mattina, Titianhair aveva ordinato alle
sue damigelle di cogliere i fiori per ornare la sala da ballo; era un
giorno speciale, di gran festa, quello!
Il Re di Vallerosa, suo Padre, le aveva promesso un gran
ricevimento, in cui le avrebbe fatto conoscere il suo futuro sposo.
Infatti Egli, sette giorni prima, aveva scritto alla Regina di
Montebianco, sua vicina, affinché mandasse il figlio più giovane, per
concludere il matrimonio concordato 22 anni prima. Così quella stessa
mattina al portone del Palazzo Reale era arrivata, trainata da un cavallo
bianco, la carrozza del principe ospite d’onore, il cui nome era
Whitestone. Il principe, sceso dalla carrozza, invece di entrare nel
Palazzo (in verità era molto poco convinto del matrimonio impostogli
dalla Regina Madre) vedendo in lontananza la schiera delle fanciulle che
sciamavano per il giardino, attirato dalle voci argentine e dai colori
vivaci degli abiti, si era diretto da quella parte. Poi, sotto un alloro,
aveva visto Titianhair, sola. Le si era avvicinato, gli sguardi si erano
incontrati, i cuori accesi.
Il principe aveva scorto allora,
lì vicino, Qoph, il bellissimo fiore appena schiuso, l’aveva colto e
offerto alla fanciulla; il dono era stato accettato. Così, in un attimo i
due giovani avevano deciso in cuor loro di disobbedire ai genitori e di
cercare di rivedersi, magari di nascosto.
Poi si erano dovuti lasciare con l’animo pieno di ansia, dubbio e
timore. Figuratevi la loro felice meraviglia quando la sera, alla
presentazione per il primo ballo, erano venuti a sapere di essere i
fidanzati della festa!
Titianhair era davvero bellissima, tutta vestita di color fuoco… tra i
suoi meravigliosi capelli splendeva Qoph, il fiore simbolo del suo amore
appena nato… Whitestone poi, nel suo abito tutto bianco, pareva un dio
sceso dall’Olimpo…
Qui la storia sarebbe già finita: avvenente la principessa, avvenente il
principe, avvenente l’amore che li unisce… che si desidera di più?
Ma…basta la bellezza per governare un popolo? No, non basta. Il Re Padre
pretende dai futuri governanti del Suo Regno altre due qualità: la
saggezza e la bontà.
Infatti “quel” Re di Vallerosa, visti gli sguardi innamorati della
principessa figlia e del principe futuro genero, si era fatto raccontare
la storia del loro primo incontro con i particolari del fiore che li aveva
uniti; poi aveva toccato Qoph col Suo magico scettro, dotandolo di una
particolare qualità: se esso veniva a contatto con l’egoismo e
l’incomprensione, appassiva subito; se veniva mantenuto in una
radiazione di bontà e saggezza, rifioriva. E quel Re aveva dato anche un
nome nuovo al fiore, l’aveva chiamato “Girasole”. Infatti si dice
che sia nata da questa storia d’amore la “leggenda del girasole”!
E poi, che avvenne? I due ragazzi, dopo un periodo iniziale di difficoltà,
impararono a poco a poco ad amarsi davvero in virtù e sapienza…e a
questo punto noi li lasciamo alla loro felicità e ce ne andiamo in punta
di piedi.
Però, diciamolo francamente, non farebbe comodo anche a noi avere un
“girasole” di quel genere?
Ma…ora ci viene un dubbio…e se un fiore così si trovasse già nel
nostro cuore?
N.23
Lo
Sgretolamento
Il
Maestro, ormai molto anziano, si era ammalato: era malato già da 9 mesi.
A turno i discepoli andavano da lui per assisterlo fisicamente e per
ascoltare quelle che ormai non potevano essere altro che le sue ultime
parole di saggezza. La malattia aveva iniziato il suo decorso assai
lentamente: aveva paralizzato prima i piedi, poi le gambe, poi il tronco,
ora anche le braccia non si muovevano più. Per la verità non si capiva
come potesse continuare a respirare, visto che anche tutto il busto era
paralizzato…ma il volto era sempre sereno e gli occhi sempre lucidi e
penetranti. Nessuno si sarebbe mai sognato di trattarlo come un comune
malato…era sempre lui a incoraggiare gli altri, sempre lui a dare le
direttive spirituali per tutti. Ma perché non aveva lottato contro il
male? Egli era stato un Guaritore, un Grande Mago, un Signore degli
elementali, alla cui parola i
demoni fuggivano spaventati, perché assisteva così passivo al suo
proprio sgretolamento?
Alcuni giorni prima aveva affidato il suo mantello e la sua ciotola
al discepolo prediletto, segno palese del passaggio di autorità; ma…se
era sicuro di morire perché non accelerava i tempi, potendolo fare? O…
forse non poteva. Forse doveva star lì, inchiodato in quel letto di
agonia, per dimostrare ai suoi come muore un Maestro. O forse anche per
lui quello era l’ultimo banco di prova…Certo, per un monaco e
soprattutto per un monaco Maestro, la Morte dovrebbe essere lì, davanti
agli occhi, fidanzata dal fascino irresistibile, sempre pronta per le
nozze definitive…ma tutti sappiamo benissimo che una cosa è parlar di
morte (magari per tutta una vita)…altro è morire davvero!
Quella sera d’inverno
inoltrato, il monaco che aveva ricevuto il mantello e la ciotola del
Maestro, simboli di successione, gli si accostò per porgergli alle labbra
la pozione di erbe che il monaco medico aveva preparato per lui, ma il
Maestro rifiutò la medicina: non poteva più inghiottire. Tentò ancora
di parlare: “Mem…”disse…poi più nulla; chiuse gli occhi e smise
di respirare…così.
Che cosa aveva voluto dire? Memento? (Ricordati) o Memini (Ricordo)…o
che altro? Era mezzanotte. Il giovane discepolo che avrebbe dovuto passare
la notte al suo capezzale disse: “E’ morto!” “Sì, credo di sì!”
Confermò il monaco successore, ”ora dobbiamo eseguire le sue ultime
volontà: egli mi ha detto di lasciarlo chiuso in questa stanza per tre
giorni e mezzo, senza toccarlo. Spegni il fuoco del caminetto; il freddo
della stanza conserverà il corpo…vieni, usciamo”. E così, come aveva
desiderato il Maestro, fu fatto.
Il monaco successore il cui nome era Sui, che vuol dire “seguire” era
l’unico ad avere la chiave della stanza del morto e l’unico a sapere
con esattezza quali erano le sue volontà. Egli infatti dopo 24 ore
esatte, seguendo le istruzione che aveva ricevuto, si recò di nuovo, da
solo, nella stanza del Maestro. Nel buio più completo Sui si accostò al
corpo irrigidito e ne ascoltò attentamente la zona cardiaca…era proprio
come Lui aveva predetto: si poteva ascoltare un battito ogni 33
secondi…incredibile, il respiro non c’era, ma il battito sì! Sui toccò
la pelle del morto e…la sentì dura al tatto…era come toccare una
pietra.
Toccò gli occhi, la bocca, le nari…tutti gli orifizi erano induriti e
sigillati ermeticamente. Sui aprì la porta finestra che dava sulla
vallata, l’unica della stanza, per 33 minuti esatti, come gli era stato
ordinato, rimanendo lì vicino in meditazione, poi la richiuse. Al
bagliore della luna aveva potuto vedere il cadavere del Maestro: sembrava
mummificato ed era tutto nero.
Sui tornò ancora alla mezzanotte del secondo giorno: il processo di
pietrificazione era ancora più avanzato; quel corpo non era più che un
blocco di pietra, pure, accostando l’orecchio alla zona del cuore si
poteva sentire un lentissimo pulsare…c’era un battito ogni 22 secondi!
Ancora una volta Sui aprì la porta finestra per 33 minuti e ancora poté
vedere al chiaro di luna il colore di quella che era stata la pelle del
Maestro… era bianca come la calce: il cadavere si era calcinato…
Sui tornò il terzo giorno sempre alla mezzanotte, ascoltò quello
stranissimo battito del cuore del Maestro: era udibile ogni 11 secondi.
Meditò come la altre volte per 33 minuti. Al chiarore della solita luna
il colore del cadavere era rosso, rosso porpora. Tutto regolare, tutto
come previsto. Ora Sui, secondo le istruzioni, doveva tornare il giorno
successivo, ancora, ma a mezzogiorno. Così fece. Convocò i fratelli
monaci sulla terrazza per quell’ora esatta; quella terrazza era
l’unica possibilità di accesso alla stanza del Maestro, la più
piccola, la più alta del monastero, quasi una soffitta, e lì il Maestro
aveva voluto essere portato fin dall’inizio della malattia; dalla porta
finestra la vista spaziava per tutta la vallata e si vedeva benissimo il
lago naturale che si era formato ai piedi della montagna su cui sorgeva il
monastero. Gli undici monaci si posero ordinatamente sulla terrazza, in
fila, pronti per i funerali del loro Maestro.
Sui entrò per l’ultima volta nella stanza e spalancò la porta
finestra. Tutti poterono vedere il cadavere: era d’oro massiccio. A
mezzogiorno in punto quella forma aurea cominciò a sgretolarsi a scaglie
e… da quella scorza d’oro, come da una crisalide, emerse il corpo di
luce del Maestro, giovane e bello, come nessuno dei suoi l’aveva mai
visto. Egli si alzò in piedi e terminò la frase iniziata tre giorni e
mezzo prima: “Mem come Shin” disse. Poi sorridendo uscì sulla
terrazza, aperse le braccia, come ad abbracciare tutti, diresse lo sguardo
vero il sole e scomparve camminando su di un raggio di luce… e
l’ultima cosa che videro i suoi discepoli fu una Croce luminosa tutta
bianca sulla sfera d’oro del Sole.
N.24
Il
Ritorno
“Vau,
svegliati, è ora di alzarsi!” Una voce, la sua propria voce, ma con
tonalità insolitamente dolci e armoniche, risuonava ancora nell’aria.
Vau, un giovane biondo, bello e vivace sospirò alzandosi a sedere sul
letto. Avrebbe continuato tanto volentieri il suo bel sogno!
Si trovava ancora immerso nell’atmosfera di quelle immagini: si
rivedeva in una campagna aperta e assolata su di un viale fiorito mentre
lasciava alle sue spalle due sentieri faticosi sui quali si trovavano due
belle donne, una bionda e una bruna che lo salutavano affettuosamente…ed
ecco, proprio sul più bello si era svegliato chiamato dalla sua stessa
voce! Che peccato! Gli sarebbe tanto piaciuto continuare la passeggiata
con quelle due belle figliole. Perché sentiva per esse un’attrazione
incredibile, eh, sì per entrambe! E sapeva anche, nel sogno, di essere
amato da tutte e due. Ora invece era lì, solo, nella solita realtà di
tutti i giorni, con la solita vita, i soliti doveri…Eppure “sentiva”
che qualcosa di particolare, sì, di particolarmente bello, doveva
accadergli quel giorno. Si sentiva tutto nuovo, con tante ore nuove da
vivere, tante ore da godere, tante ore da “essere”! Ecco: era
ritornato alla realtà quotidiana ma in modo strano… il suo era forse un
“Ritorno” con “uscita ed entrata impeccabili” come diceva il Testo
Sacro che stava studiando? Ma quel primo moto di dispiacere per la fine
del sogno non aveva guastato tutto? Però, quelle fanciulle che belle! Ma
chi erano poi quelle due donne? Non erano forse i due volti della sua
“donna” interiore, quella bruna, che ne rivelava l’aspetto passivo e
quella bionda che ne manifestava l’aspetto attivo?
E allora perché le aveva viste
insieme? E prima di loro, che cosa aveva sognato? Agganciato il filo dei
ricordi onirici, Vau prese a srotolarne il gomitolo nella sua mente; ed
ecco apparirgli le immagini a ritroso: sensazioni e immagini, colori,
suoni e pensieri…tutto chiarissimo e preciso. Ma non era anche quello un
“Ritorno”? Un ritornare su quello che era già stato sperimentato e
vissuto? Lo era, certo, ma era un “Ritorno” da sveglio, un ri-cordare
(col cuore) per analizzare e studiare il concatenarsi delle esperienze e per farne tesoro nella
Realizzazione pratica. E Vau ricordò il sogno dall’inizio: aveva udito
una Voce, La Voce, melodiosa, stupenda di perfezione, proveniente
dall’Infinito e che gli era risuonata nel Centro in mezzo agli occhi,
dirgli: ”Vau, devi ormai deciderti a edificare il Tempio. Sei Ritornato
solo per questo Che cosa mi rispondi?” E Lui aveva risposto subito:
“Sono pronto, eccomi!” Risposta data con tutto il cuore e con tutta la
mente, anche se subito dopo si era chiesto: io non sono architetto, né mi
intendo di mattoni o di travi, né di attrezzi da muratore…come posso
edificare addirittura un tempio? Chi mi insegnerà ad obbedire a Questa
Voce a cui non si può fare a meno di sottomettersi?
E subito gli era apparsa la ragazza bruna, che l’aveva accompagnato in
una specie di caverna tutta oscura e lì, con pazienza e amorevole
dedizione gli aveva insegnato a maneggiare scalpello e maglietto.
Dopo un certo periodo di tempo era scomparsa e al suo posto era
venuta la fanciulla bionda, che lo aveva preso per mano e condotto in un
portico tutto blu; lì per merito suo aveva imparato ad adoperare squadra
e compasso. Poi era di nuovo comparsa la fanciulla bruna, insieme avevano
percorso un viale che costeggiava un fiume; essa l’aveva fatto bagnare
in quelle acque e prima di lasciarlo gli aveva donato una cazzuola
d’argento; poi ancora essa si era allontanata ed era tornata l’altra,
questa gli aveva indicato un Tempio, che si profilava all’orizzonte,
dalla cupola d’oro, non ancora terminato e, dopo avergli consegnato una
spada di fuoco blu, aveva sovrapposto ad essa due cazzuole…alla fine
c’era stata quell’ultima scena, quella dei due sentieri che
diventavano uno con le ragazze che lo salutavano… Ora che tutta la
visione del sogno era limpida nella sua mente, Vau sentiva ardere un gran
calore nel suo petto, come se gli si fosse acceso un fuoco dentro, un sole
ruotante, vivo nel cuore. Si alzò in piedi, incrociò le braccia sul
petto e ripeté come nel sogno: ”Eccomi,
sono pronto. Ora so che sono Ritornato solo per completare il
Tempio e che non posso più indugiare a destra o a sinistra come in
passato. Voglio dunque ora percorrere solo il Sentiero Centrale, quello
che porta direttamente all’Altare”. E così detto unì le mani al di
sopra della testa e sentì che gli veniva impresso sulla fronte il sigillo
della Rosa-Croce mentre oltre il suo capo appariva la Croce con la Stella
Fiammeggiante…
Vau
allora “si” vide nel Tempio e il Tempio era tutto terminato e nella
volta dalla cupola d’oro i sette Grandi Arcangeli, volando in cerchio,
cantavano il suo Nome all’Altissimo.
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