Racconti
33-40
N.33
La
Ritirata
Il
3° caso della Raccolta
della Roccia Blu dice:
Il grande Maestro Ma era malato. Il sovrintendente del tempio gli
chiese: “Maestro, come è stata la vostra venerabile salute nei giorni
recenti?” Il grande Maestro disse: “Buddha dal volto di Sole, Buddha
dal volto di Luna".
Era giorno di riunione; i discepoli nella sala della meditazione
lavoravano come al solito l’uno accanto all’altro con attenzione e
impegno. Avevano ospiti quel giorno, un buon numero, giusto una dozzina.
Che significa per un monastero Zen avere ospiti? Semplice: significa
dimostrare in pubblico come lavorano gli Zenisti, cioè come ci si
auto-disciplina, come si ricerca, come si vive.
La riunione era già a buon punto e tutto si stava svolgendo
regolarmente con domande, risposte, esposizioni ecc., quando il
campanello della porta d’ingresso suonò ancora una volta: un
tredicesimo ospite. L’incaricato della porta d’ingresso andò ad
aprire; l’ospite disse: “Sono in ritardo, ma desidero entrare” ed
entrò.
L’ospite ultimo arrivato si sedette accanto agli altri: era strano,
sporco e con l’abito sdrucito.
Regola base del monastero Zen è la più scrupolosa pulizia e l’ordine
della persona fisica…si può indossare un vestito molto povero e
semplice, anche un vestito di pezze, ma deve essere pulito e rammendato
se liso.
Tutti i monaci e tutti gli ospiti (tra cui erano donne ingioiellate e
impellicciate) guardarono con occhio critico e preoccupato il nuovo
venuto. Che cosa nascondeva sotto il giubbetto strappato? Era un
malintenzionato? Uno spostato? Un drogato o solo uno straccione?
In quel momento parlava il monaco coordinatore, stava illustrando il
significato delle “Sante Verità” (quelle vuote, senza santità),
cioè interpretando il Testo Sacro, base della ricerca di quel gruppo di
monaci Zen. Parlava, ma nessuno l’ascoltava. Tutti erano occupati con
l’ospite “strano”. Allora il monaco coordinatore terminò il suo
discorso, poi disse alzandosi: “La riunione è terminata; ringraziamo
gli ospiti della loro gradita presenza e invitiamo tutti a tornare, ma
solo se interessati a diventare monaci Zen. Rimangano solo i componenti
del gruppo per la consueta meditazione finale.
Gli invitati se ne andarono ad uno ad uno, compreso l’indesiderato.
Il monaca coordinatore che li aveva accompagnati alla porta, ritornò
nella sala della meditazione e trovò gli altri monaci in agitazione.
Uno di loro disse forte: ”Perché il “diverso” ha avuto
un’accoglienza così poco cortese?”
E un altro: ”Perché non l’abbiamo accolto e ascoltato? Forse aveva
bisogno di aiuto!”
E un terzo: “Perché abbiamo avuto paura di lui?”
Erano tre domande “vere”. C’era stata paura del 13° ospite, non
era stato ascoltato; erano stati mandati via tutti a causa sua.
Allora il monaco coordinatore si alzò e raccontò una storia Zen:
Un giovane monaco si disamorò dello Zen quando udì il proprio riverito
maestro gridare di paura e di dolore mentre stava per essere ucciso da
alcuni ladri. Il giovane si ripropose di abbandonare l’addestramento
Zen, ritenendo che, se il suo vecchio maestro gridava come un ossesso
davanti alla morte, lo Zen stesso non doveva essere che un inganno.
Comunque prima che potesse partire, un altro maestro gli spiegò
qualcosa di quello che è lo Zen, liberandolo da ogni fraintendimento:
“Stupido! - esclamò questo maestro – lo Zen non si propone mica di
sopprimere ogni sentimento e di anestetizzare contro dolore e paura. Lo
Zen si ripropone di liberarci ben bene, così che possiamo gridare come
ossessi con tutta la voce che abbiamo in corpo, quando è il momento di
gridare come ossessi. C’è qualcosa di singolarmente profano, di
assolutamente quotidiano nello Zen… ricordati le parole di Bodhidharma
quando l’imperatore Wu gli chiese quale fosse il santo insegnamento
del Buddismo: “Una immensa vacuità, e niente a che fare con la santità”.
Ma allora, in fin dei conti, che cosa fanno i maestri Zen? “Mangiano
riso e bevono tè, ma lo fanno coscientemente”.
Al termine di questa storia il monaco coordinatore concluse: “I monaci
Zen di questo monastero, quando è tempo di avanzata, avanzano; quando
è tempo di RITIRATA, si ritirano”.
E così detto, si inchinò e si ritirò.
N.34
La Potenza del Grande
L’agente
Tiuaz, coordinatore di 1° grado, aveva presentato la domanda per
frequentare la Scuola Interplanetaria che organizzava l’istruzione dei
corsi di 2° grado riservata ai coordinatori dei centri di studio e
lavoro destinati alla ristrutturazione e al recupero di quei pianeti che
non si erano ancora qualificati e resi idonei alla Collaborazione
Universale. In particolare
il pianeta di origine dell’agente Tiuaz rischiava ormai da qualche
decennio l’espulsione definitiva dalla Grande Fratellanza e il
regresso a pianeta primitivo, se i suoi abitanti non si fossero decisi a
cambiar registro e a purificare sostanzialmente e definitivamente le
proprie strutture interne.
Tiuaz sentiva perciò “pesare” le responsabilità inerenti al suo
stato e sentiva il dovere di acquisire maggior preparazione tecnica; gli
sembrava che il diploma del corso di secondo grado fosse il minimo
indispensabile Per poter espletare il suo incarico in modo efficiente,
dato che era sempre molto difficile reperire elementi decisi a studiare
e a lavorare nella Collaborazione Universale, organo attivo della Grande
Fratellanza.
Dunque, alla domanda inoltrata da Tiuaz fu risposto, dopo tre giorni e
mezzo, come al solito per video-telefono dall’A.C. (che significa
Agente di Controllo) che, per poter partecipare al 2° corso
coordinatori, bisognava superare alcune prove pratiche di attitudine.
Tiuaz (che vuol dire Signore del Cielo) non ignorava la prassi né la
difficoltà delle prove, quindi rispose subito, direttamente all’A.C.
che era disposto a tentare.
E iniziò così per lui il periodo di attesa. Doveva stare sempre
all’erta.
Le prove potevano essere di natura più svariata e non prevedibili;
potevano presentarsi ad ogni momento.
Tiuaz continuava ovviamente la sua vita come al solito, teneva solo la
seconda attenzione sempre desta.
Veramente un coordinatore di 1° grado dovrebbe essere sempre in seconda
attenzione e certo per Tiuaz la cosa non era una novità.
Ma un conto è essere in seconda attenzione per il normale servizio e un
conto è esserlo “sotto prova”. In che cosa consiste la seconda
attenzione? Semplice: si tratta di controllarsi continuamente, ponendosi
da un punto di vista tale da poter sorvegliare la propria personalità
mentre pensa, sente e agisce nella vita. Alla stessa maniere con la
quale un burattinaio guida il suo burattino sulla scena. Ma non è
facile.
Tiuaz era in tale stato di vigilanza quando, una mattina, passeggiando
per un viale alberato, immerso nella contemplazione della natura, vide
venirgli incontro la sua donna, bella come non l’aveva mai vista. Il
corpo di lei era appena avvolto in veli, morbido ed eccitante e lo
invitava col gesto a seguirla, senza parlare.
Tiuaz non si aspettava quell’incontro. La sua Donna non avrebbe dovuto
essere lì. La scrutò in volto e notò che gli occhi erano sfuggenti.
Strano. Gli occhi della sua Donna erano sempre limpidissimi e splendidi.
Allora le domandò: “Chi sei?”
Ma essa non rispose e gli si strinse addosso, corpo contro corpo, in
abbraccio voluttuoso. Tiuaz si staccò a forza a la inondò di Fiamma
Viola. La donna svanì nelle sue braccia.
Tiuaz riprese preoccupato la sua passeggiata.
Che cosa significava quell’incontro? Sicuramente aveva a che fare con
una delle prove per l’ammissione alla Scuola Interplanetaria!
Durante i primi anni di studio aveva percorso i 32 sentieri prescritti
dal regolamento e incontrato più volte la “Donna”, anche in aspetti
duplici… ma non si era mai trovato di fronte a falsificazioni così
evidenti!… Però, ora ricordava: in una esercitazione successiva al 1°
corso, sì aveva incontrato “falsi istruttori” e anche allora il
particolare degli occhi si era dimostrato significativo. Mentre ancora
percorreva il lungo viale, ecco tornare la visione di prima; questa
volta però la donna parlò: “Perché prima mi hai scacciata? Non mi
riconosci? Non sono forse quella che tu ami?” E la “voce” era
proprio la voce di “Lei”…Ma gli occhi no. Erano vuoti, buchi neri,
non stelle. Tiuaz la inondò per la seconda volta di Fiamma potente e
questa volta la resistenza mentale della visione fu fortissima. Non
“voleva” svanire. Tiuaz si sentì stringere le tempie da una morsa
violenta. Ma “doveva” vincere, altrimenti sarebbe stato sottomesso
dalla larva (poiché tale era quella forma bellissima e invitante: una
larva mentale da lui stesso prodotta che gli si faceva incontro per
dissuaderlo dai suoi propositi di lavoro-scuola-servizio).
Alla fine del braccio di ferro psichico Tiuaz vide l’immagine
sciogliersi sul terreno quasi strisciando.
Ora che la duplice prova era stata superata poteva proseguire il
cammino. Si sentiva leggero leggero e poteva volare.
Azionò il suo personale sistema di propulsione atomico e si librò in
alto. Sempre più in alto. Volava a una velocità incredibile negli
spazi interstellari. Era notte fonda ora ed egli vedeva le stelle in
tutto il loro splendore; erano disposte in cerchi concentrici e
spiralati, formavano la volta della cupola di un Tempio infinito. Ad un
tratto Tiuaz si fermò. Un Sole Violetto sorgeva all’orizzonte ed egli
capì di essere in un Mondo Nuovo. Guardando dinanzi a sé, vide di
essere ai piedi di una montagna aerea, composta solo di luci e colori.
Si sentì chiamare, mentre la montagna assumeva l’aspetto
dell’entrata del Tempio con le Due Colonne gigantesche.
Un lampo di Luce lo accecò e lo costrinse a guardarsi “dentro”,
mentre stava per varcarne la Soglia.
Si sentì investire da una corrente sottile e potente. “Sapeva” che
ogni cellula del suo corpo doveva essere sottoposta ad una accelerazione
particolare, sapeva che era lui stesso a dover operare su di sé. Sapeva
che se non avesse operato nel modo giusto non sarebbe potuto entrare.
Doveva regolare il processo di accelerazione a seconda delle proprie
necessità interne: centro energetico per centro energetico, colore per
colore. Era come se dovesse sollecitare il Creativo in sé; lucidarlo,
eccitandolo, ma non troppo, per non bruciarlo…era un uso
dell’energia tutto particolare…come vivificare il CIELO con il
TUONO, ma senza sprechi di forza e senza alterare gli equilibri più
sottili…Era tutta una operazione di attenzione e sensibilità.
La “tensione” durò forse 3 minuti, ma gli parvero un’eternità!
Finalmente si sentì “pronto”, infatti era entrato.
La Luce che l’aveva abbagliato rimpicciolì e divenne un cono luminoso
che gli indicava il sentiero da seguire.
Tiuaz percorse un lungo corridoio, al termine c’era una gran sala a
forma di anfiteatro con tre schermi giganteschi in posizione sfalsata
tra loro che permettevano di vedere una stessa scena su tre piani di
Coscienza diversi; la loro disposizione era tale che si poteva recepire
il tutto solo guardando lo schermo centrale in basso.
Tiuaz diede un’occhiata in giro. Riconobbe l’aula: era stato lì per
le lezioni del 1° corso, anche se allora ci si era ritrovato ogni volta
quasi magicamente, senza sapere come. I films che venivano proiettati
sul triplice schermo erano stupendi e influenzavano gli spettatori con
“trattamenti” di non-violenza, non-paura, non-attaccamento.
La sala era piena a metà; Tiuaz vide tra i presenti un suo
collaboratore, uno di quelli che lavoravano con lui per la purificazione
del Pianeta; fu ben lieto di trovarlo lì; lo salutò e gli chiese:
“Come sei arrivato quassù?”
“Non lo so, mici sono trovato”. Rispose quello. Tiuaz stava per
sederglisi accanto, quando un A.C. lo chiamò:
“Vieni, Tiuaz, il tuo posto è qui”. Egli indicò una nicchia nella
stessa aula. “C’è da armonizzare l’energia di questo gruppo di
nuovi studenti, affinché possano assistere alle lezioni del 1° corso
per coordinatori.
E’ questo il primo esercizio per i coordinatori del 2° corso. Solo
chi sa governare la Potenza del Grande in sé può frequentarlo.
Sei stato ammesso. Auguri e buon lavoro!”
N.35
Il Progresso
Raido,
principe ereditario di Fireland, era di ritorno da un lungo viaggio;
aveva compiuto la missione di cui suo Padre, il Re, l’aveva
incaricato: aveva premiato alcuni funzionari di provincia che si erano
distinti per la fedeltà e lo zelo; aveva riordinata l’amministrazione
di alcune province in cui i funzionari
non si erano dimostrati del tutto efficienti; infine aveva sostituiti,
giudicati e puniti alcuni (pochi) funzionari
ribelli e aveva ovviamente riscosso ovunque i regolari tributi
dovuti al Re. Raido, felice dell’opera compiuta, si stava dunque
avvicinando al meraviglioso Palazzo Reale quando, improvvisamente, una
sentinella gli intimò l’alt.
Aveva ricevuto l’ordine di non far passare nessuno e, fedele alla
consegna, non poteva far passare nessuno,
nemmeno il principe ereditario.
Raido sapeva di essere un giorno in anticipo rispetto alla data prevista
per il suo rientro, tuttavia lì per lì ci rimase un po’ male e, non
potendo entrare nel Palazzo, si mise a passeggiare per i giardini.
Mentre era così tutto corrucciato, scorse di lontano la Regina anziana,
Madre della Madre, attorniata dalle sue dame e damigelle. Raido si
diresse allora verso di Lei che lo accolse molto affettuosamente e gli
confidò di essere molto felice di averlo incontrato così, in via non
ufficiale, perché aveva modo di fargli conoscere in anticipo la
Damigella che era stata prescelta come sua futura sposa. Era lì con Lei
e gliela indicò. Raido ne rimase incantato, tanto essa era bella e
dolce. Egli ringraziò l’Ava del suo amoroso interessamento; le chiese
poi se avesse potuto, per sua intercessione, essere ricevuto dal Re,
subito.
La Regina Madre promise di intervenire per quello che era nelle sue
facoltà e si ritirò col suo seguito. Raido continuò la passeggiata,
ammirando le meravigliose fontane e le splendide aiuole fiorite ed ecco
che, mentre stava per attraversare un viottolo tra due cespugli di
alloro, sotto una mimosa, scorse un topo di campagna che trascinava a
fatica un uovo, sicuramente rubato a qualche nido lì vicino.
Raido si fermò a guardarlo ad una certa distanza e siccome nei suoi
lunghi viaggi solitari di missione aveva imparato il linguaggio di
alcuni animali, quali scoiattoli, uccelli e cerbiatti, per gioco si
nascose dietro uno dei cespugli d’alloro e cominciò a inviagli onde
telepatiche di simpatia: “Ciao, topolino, che fai?” il topo si fermò
un momento a riprendere fiato e con gli occhietti vispi si guardò
intorno: “Che non lo vedi? Sto cercando di portarmi via questo uovo
per papparmelo in santa pace! Ma tu chi sei? E come mai conosci il
linguaggio dei topi senza essere della nostra famiglia? Ah, ora ti
vedo… sei un umano, però non mi
fai paura, devi essere buono!… Gran Topo, aiuto! Ecco che il mio uovo
è perduto!”
Infatti l’uovo, lasciato in equilibrio instabile, si era rotolato un
po’ e poi rotto contro un sasso e ora un porcospino, che era lì nei
pressi, se lo stava mangiando allegramente. Al topo non conveniva far
valere i suoi diritti, c’era il rischio di pungersi il musetto (gli
era già capitato un’altra volta di avere da discutere con un
porcospino e l’esperienza era stata istruttiva…) Raido intanto si
stava scusando con lui, sentendosi responsabile della sua perdita…lo
pregò alla fine di accettare un bel pezzo di formaggio che aveva nel
suo tascapane… il topo non se lo fece ripetere due volte e, afferrato
il formaggio, se la svignò in gran fretta.
Raido rimase pensieroso a meditare sulla verità di “non prendersi a
cuore guadagno o perdita” e poi passò a riflettere su se stesso: una
parte di lui si sarebbe voluta recare dalla sentinella che gli aveva
impedito il passaggio, far valere la sua autorità di principe
ereditario e, ignorando il divieto, che non era certo per lui, passare,
entrare nel Palazzo (che gli era destinato per diritto e che già
considerava come suo) e magari punire anche la sentinella che aveva
osato ostacolarlo…ma un’altra parte di lui si sovvenne della massima
appresa nel Libro sacro: “progredire con le corna è lecito soltanto
per punire la propria regione…ecc.” Ma era lecito punire il soldato
che faceva il suo dovere? Corrispondeva questo alla regola aurea di
“non prendersi a cuore guadagno o perdita? O era solo un volere
riconoscimenti, onori e ricompense per il grado e la missione? E in che
modo suo Padre avrebbe giudicato un tale comportamento? Intanto il tempo
passava, il sole era tramontato ed era scesa la notte. Raido si era
seduto in meditazione ai piedi della grande mimosa ed ora il suo profumo
intenso lo avvolgeva e lo inebriava…stava bene; era in armonia con la
natura e con se stesso, era in Pace, senza alcun desiderio, senza alcun
attaccamento, senza alcuna ansia di progresso. Questo realizzò il vero
PROGRESSO.
Sorgeva l’alba quando, ancora in meditazione, udì uno scalpitare di
cavalli. Aprì gli occhi: 12 cavalli gli venivano incontro condotti da
12 palafrenieri; questi gli si inginocchiarono davanti e gli offrirono i
12 purosangue quale dono di suo Padre per la missione compiuta. Il più
grande dei paggi gli comunicò inoltre che il Re era disposto a
riceverlo subito nella sala cosiddetta del “Fondamento”, la sala
centrale al 2° piano del Palazzo Reale, affinché egli potesse
presentare il resoconto della missione. Poi l’avrebbe ricevuto ancora
a mezzogiorno nella sala cosiddetta della “Bellezza”, quella
centrale, al 3° piano, per farlo conoscere quale Principe ereditario ai
ministri e dignitari di corte e infine al tramonto l’avrebbe congiunto
in matrimonio con la fanciulla già destinatagli, nel salone chiamato
della Realizzazione, al 4° piano del Palazzo reale.
E così avvenne.
N.36
L’oscuramento della Luce
Hodina
era una delle figlie del Sole; incredibilmente bella, splendente e
adorabile, viveva libera e felice in una vasta pianura piena di alberi,
di fiori e di frutti. Naturalmente, come tutte le figlie del Sole,
sapeva danzare e volare e, poiché tra le sue sorelle spiccava per la
sua grazia e leggiadria, era un po’ vanitosa e spesso si esibiva solo
per essere ammirata e lodata.
Ma in quella valle piena di alberi, di fiori e di frutti non c’erano
molti spettatori e quei pochi erano abituati a vedere la luce e le
figlie del Sole…fu così che un bel mattino Hodina decise di
allontanarsi da quel luogo divenuto per lei troppo noioso e volò, volò
alto nel cielo per tutta la giornata fino a che, verso il tramonto,
scrutando attentamente l’orizzonte, vide un insieme di costruzioni
ammassate, case e palazzi: una città, evidentemente, che non aveva mai
visto, ma di cui aveva sentito tanto parlare. Hodina era ormai stanca di
volare e terribilmente attirata dal brusio di quello strano ambiente;
pensò dunque di scendere e riposare, l’indomani avrebbe potuto far
ammirare a tutti la sua bellezza e la sua abilità. Come fu entrata
nell’atmosfera della città, era ormai il crepuscolo, Hodina si avvide di non poter più volare; lì l’aria era
talmente pesante e opaca che le sue ali di luce non avevano resistito,
si erano sciolte subito.
In quelle strade soffocanti poteva solo camminare, inoltrandosi sempre
di più verso il centro o tornando indietro. Ma l’attrazione e la
curiosità vinsero la primitiva indecisione e Hodina affascinata dallo
sbrilluccichio e dai colori delle vetrine e dalla gente, volle
confondersi in essa…senza rendersi conto che tutto lì era
oppressione, costrizione, sfruttamento, oscurità. Che cosa cercava lì
dunque Hodina? Che cosa pensava di ottenere da quella folla anonima?
Illusioni. Fatuità. Certo cercava l’ammirazione non determinata di
uno sguardo ammaliatore e un’attrazione non ancora specificata…ed
ecco, un uomo molto interessante, dagli occhi freddi e sicuri la guardò
a lungo e poi le disse: "Seguimi.” Hodina felice, subito lo seguì,
cercando di raggiungerlo, di toccarlo, o almeno di sfiorargli il braccio
con le dita per convincersi che era reale e che le aveva detto davvero
“Seguimi”.
Attraversarono così tutta la città; l’uomo misterioso a tratti
scompariva e poi, dopo un po’ si faceva rivedere più in là, si
voltava e le diceva con voce di comando: “Vieni, più in fretta; qui
tutti abbiamo fretta…”
Era notte fonda ormai e Hodina ad un certo punto vide all’incerto
chiarore di un lampione, scomparire la sua guida in una porticina
stretta: ingresso di un albergo? O di un locale notturno? O di che
altro?
Quando Hodina arrivò a quella porta, lì proprio si era formata una
fila e tutti volevano entrare: Allora si chiese: Ma dove sto andando?
Che cosa ci sarà di tanto interessante qua dentro? E perché tutta
questa gente vuole entrare proprio ora e proprio qui, dove prima non
c’era nessuno? Forse farei meglio a tornare indietro e ad aspettare
l’alba in un luogo più sicuro…Ma una parte di lei “voleva”
parlare con quell’uomo, voleva raggiungerlo, voleva mostrargli tutta
la sua bellezza e abilità…
Hodina si mise in fila e, arrivato il suo turno, entrò nel caseggiato.
Subito oltre la porta, una ripida scaletta a chiocciola scendeva ai
piani inferiori, ai sotterranei. Alla vista di quell’antro Hodina
desiderò tornare indietro, ma ora non era più possibile. Alle sue
spalle la folla la spingeva e come una forza risucchiante la tirava
verso il basso, e con tanto impeto che Hodina non vedeva più nessuno
innanzi a sé e più scendeva e più i gradini diventavano alti e
viscidi.
Ora aveva proprio paura e freddo e fame.
Lì era talmente buio che non si scorgeva quasi più nulla, solo i
gradini di pietra che scendevano sempre più in basso. Intanto Hodina
era rimasta sola; non c’era più nessuno né avanti né dietro di lei.
Nessuno più la spingeva; niente più l’attirava verso il basso.
Allora essa si sedette su uno di quei gradini freddi e umidi: batteva i
denti. “Ma dove sono finita?” Si chiese. ”Certo in prigione.
Questa è una prigione sotterranea senza luce, quasi senza aria, senza
nessuno. Ma perché sono qui?” E si pentiva amaramente di aver
lasciato la sua casa, le sorelle, il cielo libero, la campagna con gli
alberi, i fiori, i frutti; si mise a piangere. Pianse disperatamente
tutta la notte, senza potersi addormentare neanche un attimo e quando
ormai disperata, fu certa di morire lì dentro di fame e di freddo, ecco
che da una fessura tra le pietre sconnesse di quell’antro tanto
ostile, vide un certo chiarore che si proiettava sul
muro di fronte. Hodina pensò al Sole, si ricordò della sua vera
natura ed ebbe la forza di concentrarsi in Sé: chiese con tutta la sua
mente, con tutto il suo cuore, con tutti suoi sensi: “Vorrei un po’
di luce…!!” Aveva appena pronunciato quella parola che il
sotterraneo si spaccò, come un involucro di gesso ed essa si ritrovò
seduta in terra in aperta campagna, mentre il Sole sorgeva
all’orizzonte, splendido e maestoso, come al solito.
Il tempo dell’OSCURAMENTO DELLA LUCE era terminato e Hodina si alzò
in piedi: aveva di nuovo le sue ali e poteva volare…
N.37
La
Casata
Caph,
monaco itinerante, vagava da qualche decennio di convento in convento
per trovare il “posto” giusto ove potersi fermare e approfondire
insieme ad altri monaci la Ricerca, che era lo scopo della sua vita.
In una mattina di maggio egli giunse dinanzi alla porta di un monastero
arrampicato su una montagna; pensò di chiedere lì ospitalità e bussò.
Gli fu aperto e… c’era ovviamente un monaco come portinaio:
“”Che cosa vuoi?” “Essere, se possibile, ospitato per qualche
tempo”. Rispose Caph.
“E’ possibile solo se, secondo le regole, sarai in grado di
sostenere un dialogo sulla “Sublime Dottrina” e più
specificatamente su uno dei 64 esagrammi dell’I King, “La Casata”
che è il Koan proposto alla comunità per questo mese”. Replicò il
monaco portinaio.
Dunque era capitato in un monastero Zen. Caph ci pensò su un
momento, poi: “Va bene, accetto la condizione”.
Fu introdotto in una sala
d’aspetto lunga e stretta con due porte larghe nei due lati corti.
C’era una panca di legno, si sedette, in attesa del “mondo”
(particolare dialogo Zen in cui il discepolo Zen da prova della sua
maturità e comprensione dello Zen).
Aspetta, aspetta, nessuno veniva. E Caph meditava sulla Casata. Si fece
notte e lui era sempre lì, stanco e affamato, in attesa del
dialogo-esame da cui dipendeva il suo andare o rimanere…
Ad un tratto si spalancarono le due porte di quella sala d’aspetto e
iniziò un rapido via vai di gente, come se quel luogo fosse una strada
di paese in un giorno di festa. Caph era stupito e, dal suo posto
guardava tutte quelle persone… non erano volti nuovi. Ma sì, li
conosceva, li riconosceva tutti: erano uomini e donne incontrate nella
sua vita, amici o conoscenti; tutti ricercatori, ognuno a modo suo, che
discutevano animatamente tra loro, a piccoli gruppi o a coppie… alcuni
parevano solo passeggiare avanti e indietro, altri, a braccetto, quasi
danzavano…
Più di una volta Caph tentò di alzarsi dalla panca per abbracciare
qualcuno che, tra quelli, aveva avuto un posto particolare nei suoi
affetti, ma ogni volta, le gambe si erano rifiutate di sostenerlo e lui
si era sentito mortalmente stanco… e poi, quei personaggi pareva che
nemmeno lo vedessero!
Caph tentò di alzarsi ancora una volta, ma niente! Era proprio
incollato a quel sedile di legno; o forse era solo la debolezza per la
fame e il sonno… non ricordava più da quanto tempo non dormiva in un
letto vero e non mangiava un pasto caldo… Tuttavia, quella era una
stanchezza tutta particolare…una stanchezza che lo faceva riflettere,
che lo ripiegava in se stesso… come se dovesse valutare in qualche
modo, rivedere in qualche modo i suoi rapporti con quelle persone…
Allora egli le “guardò” in modo diverso: andavano avanti e
indietro, ma erano sempre le stesse e pur sempre in atteggiamenti
diversi. E poi le “vide” finalmente: erano come le ricordava, con le
stesse fattezze di anni prima: nessuno era invecchiato. Dunque non
potevano essere reali, erano solo visioni… ma che cosa aveva a che
fare tutto questo col “mondo” che aveva accettato di sostenere per
avere alloggio? E poi perché quei personaggi, quei ricordi, erano così
mescolati, così disordinati nel loro passare e ripassare? Caph pensò
intensamente di metterli in ordine cronologico… ed ecco, ora entravano
ad uno ad uno da una porta e uscivano lentamente dall’altra…
Quella donnina minuta con i capelli quasi d’argento l’aveva
incontrata a 21 anni o giù di lì e per qualche motivo irrazionale per
7 anni aveva condiviso il suo credo e la sua religione… si ricordava:
con lei aveva davvero compiuto un buon lavoro esoterico. Ovviamente
intorno c’era tutta una folla di volti maschili e femminili, tutti
legati a quei primi sette anni di lavoro di gruppo… ma erano tutti
volti confusi e sbiaditi… solo il suo spiccava ed era “vero” tra
tanti!
Dal secondo ciclo di 7 anni si affacciavano tanti personaggi, tutti
sorridenti e pieni di incoraggiamento…però eccola lì, in rilievo,
quella testa pelata di massone dallo sguardo aperto e penetrante…
alcuni libri suggeriti da quella persona erano stati fondamentali per la
Ricerca di Caph…
Dal primo anno del terzo ciclo di 7 anni usciva un altro volto di donna,
dai tratti molto decisi, quasi mascolini… invece i successivi tre anni
erano stati caratterizzati dal volto di un uomo, rotondetto, delicato,
quasi femmineo e mai Caph aveva lavorato su di sé come in quei tre
anni. Nei tre anni che seguivano sei volti avevano giuocato il ruolo di
stimolatori per la Ricerca di Caph; sei volti per i quali e con i quali
egli aveva studiato, conosciuto, approfondito; vissuta insomma,
l’esperienza esoterica. Infine era iniziato il quarto settenario di
Ricerca e anche da quello Caph vedeva emergere un viso d’uomo, buono e
barbuto… e poi un mucchio di volti, decine e decine e tutti, tutti gli
avevano insegnato o gli insegnavano qualcosa… E mentre l’ultimo viso
dell’ultima ora svaniva, Caph si sentì chiamare: “Ehi, monaco! Sei
tu che vuoi rimanere in questo monastero?” Era una vecchia,
indubbiamente una monaca, quella incaricata di svolgere il “mondo”
con lui: gli si stava inchinando nel tradizionale saluto.
Caph si alzò immediatamente dalla panca e, con sorprendente agilità,
le restituì l’inchino. Era pronto per il “mondo”. La monaca
ospitante chiese: “Che cosa è per te la Casata?”
“La Casata”, rispose Caph, “è l’insieme di tutti coloro
che “in qualche modo” mi sono stati maestri nella vita e ai quali
sono unito da profonda gratitudine”. “Non basta” replicò la
vecchia monaca, “dimostralo”. Caph si concentrò un attimo, rievocò
i volti di tutti coloro che gli erano apparsi poco prima e li proiettò
nella monaca che gli stava davanti. Poi le si avvicinò e l’abbracciò:
“Vuoi sapere chi è mia madre e chi sono i miei fratelli e le mie
sorelle? “Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei Cieli,
questo è per me fratello, sorella e madre” (Matteo, 12,50)”. Fu così
che Caph fu accolto in quel monastero come monaco responsabile e vi
rimase.
N.38
La
Contrapposizione
C’è qui
qualcuno che talvolta, per caso, ha veduto la Contrapposizione accanto a
sé? Noo? Proprio nessuno? Eppure è una signora molto graziosa
all’aspetto, dai lineamenti marcati e volitivi e dallo sguardo dolce e
mite; essa, di costituzione assai robusta, appare però snella e
flessuosa e i suoi modi sono decisamente
accattivanti…
Quando due persone parlano di
un qualche argomento, ecco subito lei compare e, invitata o no,
partecipa animatamente alla conversazione e a volte ne diventa l’unico
elemento costitutivo.
Un giorno due sorelle Li e Tui (tali erano i loro nomi) conversavano
sull’importanza degli elementi Fuoco e Acqua. Li sosteneva che il
Fuoco, essendo l’elemento più sottile, doveva senz’altro avere il
dominio sugli altri tre (Terra, Acqua, Aria); Tui invece affermava che,
potendo l’Acqua spegnere il Fuoco, le spettava sicuramente la
supremazia, anche perché l’elemento umido è notoriamente la fonte di
ogni vita.
Era già un bel po’ che il loro discorso seguitava su quel binario
quando, senza bussare e senza chiedere permesso, entrò nella stanza
dove Li e Tui discutevano, la Contrapposizione. Dapprima Kkui (è questo
il nome proprio della Contrapposizione) si era seduta modestamente in un
canto e, senza intromettersi, aveva guardato per un po’, quasi
incuriosita le due sorelle; poi, man mano che il loro colloquio
diventava più concitato, si era alzata e aveva iniziato ad accostarsi
ad esse: ora all’una, ora all’altra, successivamente e sempre più
dappresso.
Ecco, ora Li diceva con voce secca a Tui: “Ho ragione io. E’ il
Fuoco che vince sempre, ti ripeto che è lui il signore degli
elementi!”
Tui replicava con voce liquida e lamentosa: “Non è affatto vero!
Tutti gli incendi si domano con l’acqua, anche i più potenti. E poi,
perché vuoi sempre avere ragione tu? Solo perché sei più grande di
me? Bada che chiamo in aiuto nostra sorella Sunn, lei è maggiore anche
di te e mi protegge sempre quando vuoi fare la prepotente…!” E
mentre stavano per accapigliarsi, la Contrapposizione (che le due
sorelle non potevano vedere perché tutte prese dalla loro discussione)
divertita, rideva e rideva mentre gli occhi le si erano fatti quasi
cattivi e le mani adunche, già pronte a ghermire le due fanciulle…In
realtà per la Contrapposizione l’argomento in oggetto non è
assolutamente importante, perché di qualunque cosa si può dire tutto
il pro e tutto il contro con altrettante validissime ragioni. Alla
Contrapposizione interessa solo l”apporre contro”. Il suo gioco è
tutto lì. E bisogna ammettere che è anche spassoso…fino a che non
degenera in Lite, per essersi fatte le due controparti trascinare dai
loro sentimenti di sopraffazione e dalla forza dei pensieri opposti…
Ma per la verità alla Contrapposizione, a Kkui, questo mutamento non
piace affatto perché, quando nella situazione subentra la Lite, lei
deve scomparire…e quale delle forme esistenziali ama dissolversi,
perdere, perdersi così, senza ribellarsi?
Qualcuno potrebbe dire: “Ma il saggio, il vero Taoista, il monaco Zen,
colui che sa… tutti costoro vogliono sciogliersi, sparire per
Essere…!”
Certo, certo, ma Kkui è solo una Contrapposizione, né un saggio, né
un monaco Zen… sa appena giocare il suo ruolo quando le tocca,
apparire sulla scena quando si profila all’orizzonte un
incontro-scontro come quello di Li e Tui…
Beh, e allora questa storiella come va a finire? Sento già domandare
sottovoce in giro…
Eh, non siate così impazienti! Prestiamo attenzione invece a ciò che
avviene nella stanza vicina a quella in cui si trovano le due sorelle…
è la stanza dei genitori: in questo momento c’è il padre, si chiama
Kkienn, è un grande artista, compositore, pittore, scrittore; egli è
in genere molto premuroso e affettuoso con i figli, ma non vuole essere
disturbato quando lavora; da qualche ora sta scrivendo un racconto su un
esagramma dell’I King e non desidera che lo si sappia in giro; si può
udire il ticchettio della macchina…ogni tanto si interrompe… è già
da un pezzo infastidito dal vociare di Li e Tui, finora ha lasciato
correre, ma ecco, adesso si alza, va nella stanza delle figlie, le
sgrida e le separa… poi torna a lavorare. Le due sorelle in due angoli
opposti, tacciono, ma la Contrapposizione è ancora lì pronta ad
intervenire.
Intanto nella stanza è entrato uno dei fratelli, Kkann il mezzano,
quello molto affine a Tui. Vede le due sorelle tutte imbronciate e
quella strana signora in mezzo… si fa spiegare dalla sorella più
piccola tutta la situazione…quella signora non gli piace, così
convince Tui a riavvicinarsi alla sorella più grande per chiederle
scusa. Li tutta altezzosa non ne vuol sapere, ma quando vede la sorella
con le lacrime agli occhi, si commuove e l’abbraccia.
Così, grazie a Kkann, per questa volta la Contrapposizione cessa e la
bella signora deve andarsene altrove.
E… volete sapere dove si trova in questo momento?
Lo sapevo, che eravate curiosi, ma a questo punto …!
Beh, ve lo dirò in gran segreto: pare che si trovi proprio qui; sì,
fuori della porta. Che ci sta a fare?
E’ tutta pronta ad aiutarmi a controbattere le accuse di chi sostiene
che questa storiella non è abbastanza divertente e istruttiva!!!
N.39
L’Impedimento
L’aula
era al completo: i monaci Zen, 21 in tutto, erano ai loro posti, intorno
al tavolo del dibattito. Il Koan del mese era: “L’Impedimento:
causa, effetti e superamento”. Ogni monaco poteva prendere la parola,
ognuno poteva opporre il suo pensiero a quello degli altri. E così a
turno i monaci espressero il loro parere: il primo monaco, il cui nome
era Alef (e non stava mai fermo) disse: “Per me l’impedimento è la
ripetitività che genera la noia; il superamento è ricominciare sempre
tutto dall’inizio e sempre in modo nuovo”.
Il secondo monaco (che poi era una monaca) si chiamava Bet, disse:
“Per me l’impedimento è il palesamento del se-creto che genera la
profanazione; il superamento è ri-velare subito ciò che è stato
svelato (e così dicendo si rimise il velo sul volto)”.
Il terzo monaco il cui nome era Ghimel (una monaca) disse: “Per me
l’impedimento è la disorganizzazione che genera il disordine; il
superamento è la dolce fermezza del sistema”.
Il quarto monaco, di nome Dalet, disse con la medesima regalità: “Per
me l’impedimento è la disobbedienza che genera la confusione. Il
superamento è l’uso della Volontà”.
Il quinto monaco, He, pontificalmente disse: “per me l’impedimento
è l’irreligiosità che genera la materialità; il superamento è la
“Pietas”. Il sesto monaco, Vau, tentennando la testa, disse: “Per
me l’impedimento è l’indecisione che genera la stasi; il
superamento è la conciliazione degli opposti”.
Il settimo monaco, Zain, col suo atteggiamento marziale disse: “Per me
l’impedimento è la mollezza che genera il non-controllo; il
superamento è “mano di ferro in guanto di velluto”.
L’ottavo monaco, Het (una monaca) disse: “Per me l’impedimento è
la parzialità che genera l’ingiustizia; il superamento è
l’equilibrio (e così dicendo si bilanciava su due sole gambe della
sedia)”:
Il nono monaco, Tet, stava sonnecchiando, ma quando gli toccò di
parlare, aprì gli occhi penetranti e disse: “Per me l’impedimento
è la fretta, che genera la superficialità; il superamento è la calma
pazienza”.
Il decimo monaco, Iod, dondolandosi sul busto, disse:
“Per
me l’impedimento è l’incapacità di governare il timone della
barca, questo genera il maldimare; il superamento è la pratica del
timone”.
L’undicesimo
monaco, Caf, (una monaca) disse: “Per me l’impedimento è la
violenza che genera altra violenza; il superamento è la dolcezza (e
intanto sotto al tavolo, con la mano sinistra plasmava una palla di
ferro come se fosse stata plastilina)”.
Il dodicesimo monaco, Lamed (che stava quasi sempre in Scirsciàsana)
disse: “Per me l’impedimento è il tradimento che genera la
separatività; il rimedio è la fedeltà”.
Il tredicesimo monaco, Mem, (una monaca, detta anche la Falciatrice)
disse: “Per me l’impedimento è il non voler lasciare, questo genera
l’attaccamento; il rimedio è darci un taglio netto”.
Il quattordicesimo monaco, Nun (una monaca, addetta ai rifornimenti
idrici) disse: “Per me l’impedimento è l’intemperanza che genera
gli eccessi e le mancanze; il rimedio è la giusta alternanza dei
liquidi vitali”.
Il quindicesimo monaco, Samech, il più brutto, disse: “Per me
l’impedimento è l’egoismo che genera l’avversione; il rimedio è
lo scioglimento”.
Il sedicesimo monaco, Ain, tutto fasciato, disse: “Per me
l’impedimento è la presunzione che
genera la caduta; il rimedio è l’umiltà”.
Il diciassettesimo monaco (una monaca, la più bella) Pe, disse: “Per
me l’impedimento è la fatalità che genera l’indolenza; il rimedio
è conoscere la Vera Guida e seguirla”.
Il diciottesimo monaco, Sade (una monaca molto pallida e romantica)
disse: “Per me l’impedimento è l’ipersensibilità che porta alla
fragilità. Il rimedio è il prosciugamento dell’eccessiva umidità”.
Il diciannovesimo monaco, Kof, tutto radioso, disse: “Per me
l’impedimento è il troppo calore che porta alle “bruciature”; il
rimedio: imparare a regolare la temperatura”.
Il ventesimo monaco, Resh, dallo sguardo severo, disse:“Per me
l’impedimento è dimenticare che c’è sempre la resa dei conti;
questo porta alla inesorabilità; il rimedio è: ricordati che sei
polvere e che in polvere tornerai”.
Il ventunesimo monaco, Shin, nella pienezza della sua totalità disse:
“Per me l’impedimento è l’ignoranza che porta alla schiavitù; il
rimedio è conoscere la Verità”.
A quel punto della riunione i monaci avevano parlato tutti e si era
fatto il silenzio. Allora si udì bussare alla porta e, prima che
qualcuno si alzasse per andare ad aprire, i battenti si erano spalancati
ed era entrato nell’aula un altro monaco, strano, con l’abito tutto
sdrucito e un fagottello sulla spalla.
Si presentò: “Sono un
monaco ricercatore, come voi, il ventiduesimo, mi chiamo Tau. Volete
sapere quale è per me l’impedimento?!!
Voi!!!
L’unico vero impedimento siete tutti voi!!!”
A quelle parole i ventuno monaci si alzarono tutti in piedi e, tutti
insieme annuirono, poi…
A uno, a uno, a cominciare dal primo, Alef, poi il secondo Bet, poi il
terzo ecc. si dissolsero nell’aria.
Tutti. Anche il ventiduesimo, il Folle, con un inchino.
Nessun Impedimento
N.40
La Liberazione
La liberazione è
la rottura di un involucro, dice l’I King. Ma quanti involucri debbono
rompersi prima che ci si possa davvero liberare? Dieci, dice il
cabalista. Uno, dice lo Zen, ed è un involucro non-involucro, coma la
Porta senza porta di Mumon…
…. Beth, giovane navigatore
solitario, era approdato già da qualche tempo all’Isola Deserta.
C’era capitato nel tentativo di raggiungere da solo, con la sua
personale barchetta, la cosiddetta Terra Promessa.
Come Ulisse, spinto dal desiderio di ottenere virtù e conoscenza, aveva
in passato visitato luoghi e terre lontane, esplorato mari e scalato
montagne ed ora era lì su quel misterioso isolotto.
E non ne poteva ripartire! Eppure non c’erano sirene o maghe a
trattenerlo. Solo questo: la barca che lo aveva portato fin lì era
sparita, appena messo il piede a terra, come a significare che doveva
stare, rimanere, almeno per un certo tempo.
Passeggiava, si procurava il cibo cogliendolo direttamente dagli alberi
(erano sempre carichi di frutta gustosissima) pensava, dormiva…
Credeva ormai di aver esplorato quel lembo di terra in lungo e in largo
e, secondo lui, non c’era proprio anima viva, solo sentieri, alberi e
frutti. Sembrava quasi un piccolo paradiso terrestre. Quasi. Perché più
il tempo passava e più Beth si sentiva come prigioniero.
Ma se c’era “Alberi” (direte voi) perché non si fabbricava
un’altra barca e se ne andava? Facile a dirsi!
Ma credete voi che una barca si costruisce così, senza attrezzatura,
giusto col desiderio e il pensiero cementati dalla volontà? Sì, certo!
Volere è potere. Ma su un’isola deserta e in un “quasi”
paradiso!!
Beth dunque aveva cominciato ad annoiarsi, prima aveva goduto di quel
piacevole ozio, ma ora sentiva proprio la necessità di andare oltre.
Pensava alla sua barchetta. Alla sua incredibile sparizione. Doveva
essere scivolata in un’altra dimensione!
Forse in quell’Isola così misteriosa c’era un punto x là dove era
approdato, in cui le linee di forza sottili si intersecavano formando
una connessura, una congiunzione discontinua da dove era possibile forse
penetrare altri spazi-tempi… Beth era affascinato dall’idea e, più
ci pensava, più diventava irrequieto.
Poi si decise: avrebbe esaminato l’isola centimetro per centimetro
fino a ritrovare quel “nodo”. L’avrebbe ispezionata con giri
sistematici tutta quanta
partendo dal centro e via via allargando sempre
più la spirale… avrebbe sfruttato la forza centrifuga presente
in ogni cosa e sarebbe in ogni modo uscito dall’Isola…ma quando tentò
di portarsi nel suo centro… ebbene, si avvide di non poterlo fare. Era
come se dinanzi a lui in alcuni punti ci fossero delle pareti
invisibili, non penetrabili. Potevo solo percorrere determinati sentieri
e non andare dove avrebbe voluto. C’erano dei passaggi obbligati. Provò
una, due, tre, cinque, dieci volte, era come in un labirinto. No, ERA
nel LABIRINTO.
C’era da quando aveva toccato quell’isola… ecco perché non aveva
più trovato la barca, altro che quarta o quinta dimensione!
Ora doveva uscirne e in fretta.
Anche perché ora sapeva che al centro del Labirinto l’aspettava un
mostro o il Drago o il Minotauro. (O forse era tutta una sua creazione
mentale…ma che differenza faceva? Per lui era reale!)
Doveva assolutamente uscirne.
Se voleva sopravvivere e proseguire il viaggio.
Di nuovo provò un sentiero e di nuovo cozzò contro una parete
invisibile. Una parete mentale. Quando ancora non si era reso conto di
essere nel Labirinto, quella forza mentale lo arrestava, lo faceva
sentire stanco, lo faceva sedere sotto un albero e mangiare un frutto
succulento e…dormire. Poi, quando si svegliava, lo faceva tornare
indietro, prendere un altro falso sentiero e così via… da quando era
approdato non aveva fatto altro. Macché paradiso terrestre, macché
isola incantata, quello era l’inferno! Lì tutto era costrizione,
tutto schiavitù!
Voleva assolutamente uscirne. Voleva essere libero.
LIBERO.
Pensò. Ricordò: Labirinto. Pericolo. Minotauro. Salvezza:
ARIANNA
Ma lui era solo, era un navigatore solitario. Dove si trovava Arianna?
La sua Arianna? Dove il suo filo prezioso? Quando l’aveva perduta?
Quando l’aveva dimenticata?
Doveva ritrovare Arianna. Allora Beth smise di cercare il centro
dell’Isola e si interiorizzò; viaggiò nel tempo-spazio e ritrovò la
sua Donna, quella vera, quella sempre fedele e sincera ed essa gli parlò:
l’avrebbe aiutato ad uccidere il Minotauro e a liberare l’Isola,
perché quello era il suo compito; il filo era lì, già nella sua mano,
non aveva che da dipanarlo… Così aiutato dal filo della sua Donna
Beth, senza perdersi giunse fino al centro dell’Isola e affrontò il
Mostro.
Beth non aveva spade, non aveva armi, solo la potenza del suo cuore e
del suo sguardo. Ma sotto quel fuoco, il Minotauro si afflosciò inerme.
Dietro di lui apparvero le due colonne del Tempio.
Beth entrò, oltre la soglia l’aspettava la sua Donna.
Erano
divenuti entrambi perfetti, radiosi, LIBERI, per sempre.
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