Racconti
49-56
N.49
Il Sovvertimento
In
un giorno di primavera davanti alla casa di campagna di Resh si fermò
un buffo camioncino di tela verde da cui scese uno strano personaggio:
questi suonò il campanello e attese fuori del cancello.
Resh di solito, quando qualcuno suonava, chiedeva chi era al citofono
e poi, ovviamente, apriva, se era il caso; ma quella mattina non
aspettava nessuno e già da un po’ stava passeggiando in
giardino…così andò lui stesso a vedere il visitatore.
“Chi sei? Che cosa vuoi?” Chiese al buffo omino che gli si era
presentato davanti.
“Faccio parte di una organizzazione che premia il miglior
giardino. Il tuo è già bellissimo, ma non ci sono alcune varietà di
piante che invece io potrei offrirti. Guardale!” E in un attimo scostò
la tenda posteriore del furgoncino mostrando una profusione di colori di
fiori mai visti.
Resh, affascinato, era uscito
dal cancello; cominciò ad esaminarli: come erano belli! Che colori
stupendi, che corolle grandi e vellutate!!
“Costano molto?”
Chiese, ormai attirato da quella bellezza sgargiante.
“Niente” assicurò l’omino, “solo un po’ di spazio per
metterli a dimora. Sai, io sono incaricato di diffondere questa nuova
qualità di piante nella tua zona; la nostra organizzazione sorvola la
campagna con l’elicottero e quando i nostri incaricati
vedono un posto “giusto” cioè un giardino ben curato e ricco
come il tuo, allora gli destinano i migliori prodotti. Fammi entrare e
in poche ore sistemerò tutte queste piantine da te, gratuitamente.”
Resh aprì tutto il cancello: il camioncino entrò a marcia indietro.
L’ometto indosso un grembiulone verde
da giardiniere e cominciò ad interrare con una sveltezza e
un’abilità incredibili centinaia di vasetti fioriti (Resh non avrebbe
mai pensato che ce ne fossero tanti in quel trabiccolo). Appena posti in
terra, i vasetti si scioglievano e le piante immediatamente crescevano,
raggiungendo in pochi minuti tre, quattro volte la loro primitiva
altezza.
L’omino ad ogni piantina bisbigliava qualcosa e Resh, incuriosito, si
era accostato a lui per cercare di apprendere quel linguaggio magico.
“Dico loro solo di crescere e di essere belle; niente altro, credimi e
lo puoi fare anche tu, prova!”
Resh allora prese in mano un vasetto con una campanula già molto grande
di un color arancio favoloso e la pose in terra dolcemente dicendo:
“Su, da brava, cresci e sii bella!”
E la campanula in terra, obbediente, crebbe immediatamente e divenne
grande quattro volte la sua dimensione di prima.
Resh, allora, tutto entusiasta, prese ad aiutare l’omino: dal furgone
le piante uscivano sempre e non finivano mai.
“Penso che bastino” disse Resh, “altrimenti non resterà più
spazio”.
“No, no, ce ne entrano ancora” rispose l’altro. E dopo le piantine
fu la volta di una fontanina con
dentro dei pesci esotici, e poi un’altra e poi un’altra… quindi
comparve una voliera con
tanti uccelli dalle piume variopinte e poi un’altra e poi
un’altra…
“Basta, basta!” diceva Resh, “mi stai rivoluzionando il giardino!
Non ho mai pensato di avere qui una tale confusione!”
Ma ormai senza più dargli ascolto, l’omino continuava a far uscire da
quel suo incredibile aggeggio “cose” ornamentali di ogni tipo che da
piccole diventavano grandi appena messe a dimora.
Resh era sempre più stupito e sconvolto; un forte senso di disagio e
soffocazione l’aveva afferrato, tuttavia non riusciva a frenare la
dilagante esuberanza di quell’ospite così strano. Inoltre da qualche
parte nella sua mente “vedeva” ancora in lontananza, ma sempre più
vicina una folla di topi, gatti, faine, volpi e pipistrelli che
desideravano nutrirsi di quei pesci e di quegli uccelli e che avrebbero
invaso il giardino…poteva “sentire” la loro cupidigia, poteva
“vederne” la fame a la brama di sangue…e si sovvenne di quella
frase biblica che dice: “Il tuo Regno è stato giudicato…sei stato
posto sulle bilance e sei stato trovato mancante… il tuo Regno sarà
diviso…” (1)
“Basta!”
urlò: “basta!! Non ne posso più! Portati via tutte queste cose, non
le voglio! Ti avevo dato il permesso di interrare
qualche piantina nel giardino, non di creare questo finimondo.
Vattene
tu e le tue bestie e le tue piante strane.
Non voglio niente di niente. Va via!!”
E preso in mano il Fuoco Sacro che ardeva sempre nel cuore della sua
Casa, lo scagliò con forza contro tutta quella baraonda.
Come per incanto le cose ornamentali, le voliere con gli uccelli, le
vasche con i pesci e tutte le piante con i fiori giganteschi, subito
rimpicciolite se ne tornarono nel camioncino: in un battibaleno.
L’omino riprese i vasetti, tornati piccoli dalla terra, li riaccomodò
nel retro del suo furgoncino, poi mentre Resh chiudeva sonoramente il
cancello alle sue spalle, avviò il motore e scomparve con il suo
trabiccolo in una nuvola di polvere…
La pace era tornata. Resh rientrò in Casa; per quel giorno la
passeggiata era finita. Anche quella mattina aveva imparato qualcosa:
che cosa significa il SOVVERTIMENTO dell’ordine e che cosa vuol dire
il SOVVERTIMENTO del SOVVERTIMENTO dell’ordine, cioè il ritorno
all’ordine “ordinario” delle cose. Allora sospirò e si accinse ad
accudire al Fuoco, come al solito.
(1)
Dn. 5, 27-28
N.50 Il
Crogiuolo
Ben
Hami, il vecchio rabbino cabalista e alchimista, sconosciuto da tutti
nella sua cittadina, ma assai noto negli ambienti esoterici per i suoi
poteri occulti, nonché per la sua saggezza e bontà, aveva assunto da
poco al suo servizio un apprendista, un giovinetto scelto tra i tanti
che si erano presentati allorché il Vecchio Maestro aveva espresso il
desiderio di avere un Discepolo. Poiché
il desiderio era stato formulato con un pensiero potente e realizzante,
gli aspiranti discepoli erano venuti a decine. Ben Hami li aveva
esaminati uno per uno solo con lo sguardo e quando il giovane Samuel gli
era comparso dinanzi, gli aveva detto semplicemente:
“Tu puoi restare”. E aveva mandato via tutti gli altri.
Samuel era bello, biondo, sottile, un giovinetto dai lineamenti
nobili e gentili: egli si era messo subito a disposizione del Vecchio
Saggio; le sua mansioni principali erano quelle di preparare il cibo per
il Maestro e tenere in ordine il laboratorio e il piccolo orto –
giardino; a poco a poco, egli sperava, avrebbe anche appreso i suoi
segreti alchemici.
Ogni giorno egli doveva
spolverare e lucidare le provette e gli alambicchi, ma ben presto si
accorse che il Maestro non li adoperava mai e invece passava lunghe ore
nel giardino situato nel retro del laboratorio oppure lunghissime ore
dinanzi al caminetto acceso, quasi senza parlare; a volte poi restava
chiuso nella sua stanza da letto per giorni, e Samuel, disorientato, non
sapeva che fare, allora osava prendere i libri dallo scaffale e li
studiava…erano tutti Testi Sacri.
Col passare del tempo aveva poi notato una cosa strana: tra le varie
attrezzature del laboratorio c’era un grosso vaso di materiale
refrattario a forma di coppa chiusa, indubbiamente un Atanor, un
Crogiuolo, che il Maestro gli aveva proibito di toccare; la cosa strana
era questa: ogni volta che il Maestro restava chiuso nella sua stanza,
“quel” Vaso assumeva una sfumatura di colore diversa, come se gli si
formasse intorno una certa foschia grigia non definita e non definibile
che rimaneva fino a che Samuel la guardava con la coda dell’occhio e
scompariva se cercava di fissarla… quando Ben Hami usciva dalla
stanza, tutto tornava normale. La cosa si ripeteva ormai da mesi. Ora,
Samuel, entrando a servizio dal Vecchio, ovviamente era preparato ad
affrontare l’insolito, la Magia, il Mistero, ma “quel” Vaso lo
turbava inesplicabilmente… Una volta decise di parlarne al Maestro:
“Sono contento che hai potuto “vedere”, che hai “visto”.
Questo significa che non mi sono sbagliato sul tuo conto. Ma ora è
troppo presto per sapere. Al momento giusto saprai.”
Passarono tre anni. Il Vecchio diventava sempre più vecchio e Samuel
sempre più forte, come se si operasse occultamente un “travaso”
dall’uno all’altro. Eppure mai il Maestro spiegava la Dottrina o la
Legge direttamente o apertamente a Samuel; ma Samuel quasi per osmosi
assorbiva la sua Energia, la sua Anima, il suo Spirito e “conosceva”
sempre di più. Ormai poi, avvertiva quella trasformazione particolare
del Crogiuolo come un’attrazione, un richiamo quasi dolorosamente
fisico, ancor prima che il Maestro si ritirasse in solitudine per
“operare”… Quello era il segnale: Samuel sentiva il Crogiuolo come
un’entità viva che subiva all’interno una qualche misteriosa
palingenesi, sempre in relazione con i ritiri del Maestro e con le sue
crescenti facoltà conoscitive. Il colore dell’aura di quel Vaso non
era rimasto sempre uguale, ma aveva subito delle mutazioni in quei tre
anni: nel primo anno si era mantenuta sul grigio, nel secondo era
diventata bianca luminosa, nel terzo rosa acceso, ora stava virando
sull’arancio…
Samuel non aveva più parlato di questo col Maestro, ma una sera si fece
coraggio e affrontò l’argomento:
“Sì, ora è giunto per te il momento di sapere” gli rispose
il Vecchio: “Sto per andarmene e lasciarti. Tu sai bene che devi
prendere il mio posto, ma non come mio sostituto, ma come mio successore
e la giusta regola della successione è che “il Discepolo deve
superare il Maestro”, altrimenti il Maestro non è un buon Maestro. Ciò
che io ti trasfondo è il me stesso che debbo perdere per poter Essere,
questa operazione rappresenta il mio “Servizio” a te, la mia eredità
e quando la mia ultima fase dell’Opera al Rosso sarà completa, il
Crogiuolo che tu sai si dissolverà e tutti i miei poteri saranno tuoi
completamente: il mio punto d’arrivo sarà la tua partenza. Sta
attento a non commettere i miei errori. Io ho dovuto aspettare di essere
vecchio e stanco per poterti trovare e per potermi Reintegrare; tu
invece sei già pronto, puoi farlo in gioventù, nel pieno delle tue
forze. Non rifiutare, come feci io, la “Donna”, ma sappila cercare,
trovare e fonderti “giustamente” in Lei, che Essa diventi il tuo
“Vas spirituale, Vas Honorabile, Vas insigne devotionis”, cioè il
tuo “Crogiuolo”. Questo è il mio testamento: ti ringrazio di avermi
permesso di compiere il mio Servizio. Addio”.
Il Vecchio si ritirò per l’ultima volta nella sua stanza e Samuel
rimase nel laboratorio a guardare l’Atanor:
in poche ore esso divenne di un colore oro intenso… poi scomparve
definitivamente. Samuel seppe allora che il Vecchio Rabbino pur operando
con un solo Vaso si era reintegrato e che il suo Spirito era disceso in
lui con tutto il suo Amore, con tutta la sua Saggezza, con tutto il suo
Potere. L’Apprendistato era finito, ora doveva solo andare via,
cercare la sua “Donna”, trovarla e unirsi a ”Lei”, secondo la
volontà del suo Maestro.
E così Samuel chiuse il
laboratorio di Ben Hami e partì.
N.51
L’Eccitante
Cenn
fuggiva. Nella casa paterna in cui era vissuto fino a quel momento non
poteva più rimanere perché, istigato dalla madre, aveva ingannato il
padre e usurpato la Benedizione del fratello; così ora vagava per la
campagna, in cerca di una dimora, di una famiglia, di un lavoro… La
madre, che l’aveva sempre favorito e preferito, aveva desiderato per
lui una moglie della sua famiglia ed egli, obbediente, si stava recando
verso oriente, dove sapeva risiedevano i parenti di lei.
Andava per la campagna e le colline, chiedendo a tutti quelli che
incontrava la via… era alto, grosso e molto robusto, incuteva paura e
rispetto. Non aveva ricchezze con sé, solo la forza, l’onestà, la
volontà.
Un oracolo prima della sua nascita aveva predetto che sarebbe diventato
il capostipite di una grande nazione, ma la momento la situazione non
lasciava certo presupporre un futuro roseo… andava, dunque come un
qualunque viandante… come un ebreo errante.
Un mattino di primavera giunse in un villaggio di pastori: chiese lavoro
e gli fu affidato un gregge; lo custodì per una settimana di giorno e
di notte, al termine del tempo stabilito gli fu offerto il normale
salario, un capretto di un anno, ma Cenn lo rifiutò.
Chiese invece di poter visitare la Stalla del Toro sacro che veniva
venerato nel villaggio. Era questo un toro enorme, assai potente, di
origine divina, dicevano. Nessuno ricordava di averlo visto nascere e
nessuno sapeva di preciso come fosse capitato in quel luogo; tutti
contribuivano a nutrirlo: era lungo circa dieci metri, alto sette, solo
il muso era grande come un toro normale. La Stalla era considerata
Tempio e gli abitanti del villaggio vi si recavano per oracoli,
consulti, o interpretazioni di sogni; nessuno però osava entrare
nell’interno, rimanevano nell’atrio e dai muggiti e vari scalpitii
deducevano i responsi. Cenn, ottenuto il permesso di visitare la Stalla,
decise di attendere l’alba: voleva essere solo per entrare, vedere,
provare, sapere. La sera prima si recò sulla collina ad impetrare
l’aiuto della Divinità Femminile che da sempre, nella persona fisica
della madre, l’aveva protetto… e una Luna di dimensioni gigantesche,
rosata e su cui era raffigurato uno stupendo volto di Donna, gli
sorrise, piena di promesse. Era quello un presagio molto favorevole: la
sua impresa del giorno dopo avrebbe avuto successo.
La mattina dopo, come stabilito, si recò là dove era la Stalla,
un’ampia costruzione di legno, edificata intorno al corpo del Toro
sacro: da una specie di finestra sporgeva la coda, dalla parte opposta
il muso con le corna, appoggiato ad una grande mangiatoia; il resto era
nascosto dal legno. Cenn studiò a lungo la situazione, poi si decise a
salire sulla coda: era come il tronco di un albero, mobile, perché il
Toro la muoveva in continuazione. Cenn era ben consapevole di essersi
prefisso il difficilissimo compito di “dominare il Toro”: doveva
dimostrare a se stesso di essere degno della “Primogenitura” e della
“Benedizione” paterna usurpata. Se fosse riuscito nel suo intento,
la popolazione locale l’avrebbe accolto come un eroe e la fama del suo
coraggio gli avrebbe consentito di aspirare ad un ricco matrimonio tra i
parenti della madre.
Aggrappandosi dunque ai robusti peli di quella enorme coda Cenn riuscì
ad arrivarne all’attaccatura; il fetore era terribile, ma egli,
cercando di non respirare, riuscì a vincerlo e poté salire sul dorso
dell’animale.
Ora era dentro la tana del mostro; questo, a sentirsi camminare sopra,
cominciò ad agitarsi e a scrollarsi ma Cenn, pur temendo di cadere ad
ogni momento, col pericolo di essere maciullato dagli zoccoli del
bestione, continuò il suo percorso e in breve gli giunse all’altezza
del collo.
Qui aveva due possibilità: tentare di uccidere il Toro, infilandogli il
coltello nella gola, o semplicemente, trovare il sistema di sottrargli
l’energia per appropriarsene…decise per questa seconda soluzione; si
portò sulla parte più alta del collo, dietro le corna, si tolse i
sandali e, scostati i folti peli setolosi spessi come corde, affondò i
piedi nudi nella pelle del bestione, poi con le mani robuste afferrò le
terribili corna e vigorosamente le tirò a sé per costringere il Toro a
piegare la testa all’indietro…un fremito violento pervase entrambi
come se un fulmine avesse scaricato tutta la sua corrente nelle corna
della bestia… tutta la Torità si ribellava in quell’attimo. Il
cuore di Cenn fu scosso e tremò ma egli sapeva che doveva resistere
assolutamente e sarebbe stato perduto.
Ebbe paura. Ma ricordò il presagio lunare, l’oracolo sul suo destino
glorioso e resistette. A poco a poco i sussulti della bestia si
calmarono ed alla fine essa cedette docile al volere del suo dominatore
e piegò la testa all’indietro. Cenn poté allora scivolare sulla sua
fronte e lì toccare la stella a cinque punte, simbolo della divinità
del Toro. Quel tocco completava la signoria. Cenn scese poi lungo il
naso della bestia, era ormai allo scoperto, doveva solo percorrere la
mangiatoia per riuscire in aperta campagna. Tutti i pastori del
villaggio erano radunati davanti alla Stalla per conoscere l’esito
dell’impresa. Nessuno aveva creduto alla vittoria dello straniero. Gli
furono offerti cibi, doni, ospitalità, ma egli rifiutò tutto: doveva
recarsi al più presto al paese della madre per sposare una donna della
sua gente… così riprese il cammino verso oriente, ma ora si sentiva
sicuro e forte, aveva in sé il potere “taurino” quello che consente
di governare il Popolo, i Popoli, le Nazioni…
….A questo punto della favola potremmo dire in due parole che il
nostro personaggio si recò effettivamente nella terra dei parenti della
madre, ottenne una principessa in moglie, ebbe molti figli e divenne così
capostipite di molte tribù, secondo l’oracolo, ma… la leggenda ci
dice molto di più. Pare (così raccontano gli Antichi Saggi) che egli
quella sera stessa, dopo aver viaggiato tutto il giorno, si coricasse su
una “pietra” particolare e avesse questo sogno:
“Una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il
cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco
il Signore gli stava davanti e disse: “…Io Sono con te e ti
proteggerò ovunque tu andrai…saranno benedette per te e per la tua
discendenza tutte le nazioni della terra…” Allora egli si svegliò
dal sonno ebbe timore e disse: “Quanto è terribile questo luogo!
Questa è proprio la Casa di Dio, questa è la Porta del Cielo”. Poi
prese la pietra che si era posta come guanciale e la eresse come stele e
versò olio sulla sua sommità e fece questo voto: “Se Dio sarà con
me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo, se ritornerò
sano e salvo alla casa di mio Padre, il Signore sarà il mio Dio. Questa
pietra che io ho eretto come stele, sarà una Casa di Dio; di quanto mi
darai io Ti offrirò la decima”. (1)
…Ma sì, ma sì! Sappiamo tutti che questo è quanto ci dice di lui la
Leggenda e sappiamo pure che Essa ci narra poi tutte le sue avventure
e disavventure fino al pieno realizzarsi della predizione
dell’oracolo…
Ma a noi questa storia così come era raccontata non ci pareva
convincente. Come potevamo accettare la manifestazione del “Tremendum”,
dell’Eccitante per
eccellenza nel nostro eroe senza un “merito” che avesse attirato la
“grazia”? Per questo siamo andati a spulciare le “memorie
occulte”…
Questo raccontino è il “retroscena” che ne abbiamo ricavato.
Ora, se vi è piaciuto, ne siamo ben felici; se non vi è piaciuto, ci
scusiamo tanto e…speriamo di essere più bravi un’altra volta!
(1)
Gn. 28, 12-22
N.52
L’Arresto, il Monte
Kenn
era nato a Malkuthopoli, il quinto di sei fratelli, tre maschi e tre
femmine, in una meravigliosa famiglia. Essendo il maschio più giovane,
era stato accolto con grande festosità dai suoi ed era quindi molto
amato; per natura tranquillo, mai agitato, in poco tempo aveva imparato
a camminare e a parlare, certamente prima degli altri bambini della sua
età, ma poi, crescendo, era divenuto sempre più solitario: si
appartava e spesso passava delle giornate completamente in silenzio.
Era
così giunto all’adolescenza, sempre con questa sua caratteristica di
inerzia – isolamento…”Perché non giochi con i tuoi fratelli?”
Gli chiedeva il Padre un po’ preoccupato e Kenn invariabilmente
rispondeva: “Voglio prima sapere che cosa ci sto a fare qui. Quando lo
saprò, allora forse tutto sarà diverso; per ora non lo so e non mi va
di giocare”. E immusonito se ne scappava in un angolino a rimuginare i
suoi pensieri. La Madre, che aveva un debole per quel suo rampollo più
piccolo lo circondava di affetto: quel figlio le somigliava più di
tutti gli altri, quasi fosse lei stessa al maschile e aspettava ansiosamente che, crescendo, trovasse la sua
Strada, la sua Via.
In
un giorno di primavera, era aprile inoltrato, Kenn, dopo aver a lungo
vagato per la campagna intorno a Malkuthopoli, si fermò presso un
albero di acacia, frondoso ed accogliente. Si sedette alla sua ombra e
cominciò a riflettere sul problema che lo aveva assillato fin dalla più
tenera infanzia… Perché sono qui? Dove sto andando? E soprattutto Chi
sono? Domande che apparentemente non avevano nessuna risposta per lui,
domande alle quali i suoi genitori e fratelli avevano risposto invece
con molta disinvoltura: il Padre aveva detto: “siamo creativi, perciò
il nostro compito è creare”; la Madre aveva sentenziato: “siamo
ricettivi, perciò dobbiamo accogliere”; il fratello più grande, non
soddisfatto delle risposte dei genitori aveva offerto la sua: “siamo
eccitanti, perciò dobbiamo eccitarci a vicenda”; la sorella più
grande aveva ribattuto:
“non è vero, siamo miti, perciò dobbiamo penetrarci…”; il
fratello mezzano, un carattere molto introverso, aveva anche lui voluto
dare il suo parere: “siamo abissali, perciò dobbiamo inabissarci in
noi stessi”; mentre la sorella mezzana, tutta fuoco, aveva gridato:
“siamo risaltanti, dobbiamo risaltare l’uno con l’altro!” infine
la sorella più piccola, non richiesta, aveva pacatamente affermato:
“siamo sereni, dobbiamo perciò essere quieti e nient’altro!”
Ma Kenn non era soddisfatto; doveva trovare la “sua” risposta,
quella che gli avrebbe permesso di essere Ciò che realmente egli era.
Là, seduto sotto quell’accogliente mimosa, chiuse gli occhi e cominciò
a meditare. Vedeva montagne: tutto un paesaggio di crode e picchi, di
cieli tersi e nuvole basse, di nevi perenni e di silenzi arditi e se
stesso vagante in quell’ambiente così insolito per lui… comprese in
sé tutte le risposte dei fratelli e dei genitori… si rilassò e si
lasciò andare alla visione. ….
Ora si trovava su di uno stretto viottolo in salita, camminava leggero
leggero come se fosse un capriolo… sembrava dovesse avere un
appuntamento con qualcuno, proprio sulla cima di quella montagna;
infatti, giunto al termine di quel sentiero, si trovò di fronte ad una
capanna, assai graziosa nella sua semplicità: pareva il rifugio di un
eremita…bussò. Sollecitamente la porta si spalancò… ma dentro non
c’era nessuno, nessun essere visibile perlomeno, perché quando Kenn
ebbe oltrepassata la soglia, udì una voce sottile, calda, accogliente,
femminile dire: “Sei benvenuto. Ti aspettavo, accomodati e
rifocillati”. Kenn sentì di aver “fame”. Sul tavolo c’erano un
pane e un’ampolla di olio; gustò il pane condito con l’olio; non ne
aveva mai assaggiato di così buono; poi ritemprato, si guardò intorno
e vide che la capanna aveva perduto le sue pareti, come se si fosse
ingrandita all’infinito, il soffitto era diventato cielo e il
pavimento roccia…allora la voce di donna calda e sottile, riprese:
“Sei giunto fin qua per rispondere alle tue domande: tu vivi a
Malkuthopoli e ti senti a disagio con i tuoi perché non hai ancora
trovato la tua vera identità, quello che sei e quello che vuoi; ora che
“Ci” sei, io ti posso aiutare; sono la tua donna interiore, la tua
controparte sottile, non mi puoi vedere perché sei ancora troppo
giovane, ma tra qualche anno ci incontreremo di nuovo e tu mi amerai e
mi sposerai… intanto segui il mio consiglio: guardati bene, vedi “Ciò”
che sei, la tua Natura particolare; in base ad essa, “saprai” i tuoi
doveri e i tuoi diritti e di conseguenza lo scopo del tuo esistere…”
Kenn si guardò: guardò i suoi piedi e vide due robuste radici; guardò
il suo corpo e vide come una massa di pietra dura; guardò le sue mani e
vide radici aeree…ebbe un brivido di paura: aveva dunque perduto il
suo aspetto umano? Immediatamente si sentì brutto, goffo, pesante,
inerte…provò a muoversi, ma non ci riuscì: i piedi erano
“radicati” al suolo; volle fuggire…ma non poté: era fatto di
pietra. Allora tutto il suo essere urlò: “No. No, non voglio essere
così!”
Cerco di respingersi e subito forti dolori fisici lo pervasero da tutte
le parti. Ed ecco un pensiero: se era di “pietra”, come poteva
“guardarsi”? Eppure “vedeva” come se la pietra del suo corpo
fosse tutta un grande occhio…La voce della sua donna lo rassicurò:
“Non aver paura di Te, questa tua particolare Immagine è solo per
farti conoscere come sei veramente. Identificati con essa a abbandonati
alla sua potente Essenza, non ostacolare la Natura… solo così potrai
essere sicuro di te e felice…
Kenn alla voce dell’amata smise di temere e soffrire, smise di
rifiutare il suo ruolo e divenne tutt’Uno con quella Pietra,
tutt’Uno con la Radice; si fermò: divenne l’Arresto, il Monte e
“Si” conobbe.
Una beatitudine totale pervase il suo essere e Kenn visse l’Estasi,
visse la Realtà fuori del tempo, perduto nel Tutto infinito.
…..
Uno gnomo, passando vicino alla mimosa sotto cui era seduto Kenn, guardò
con affetto quel ragazzo addormentato: gli carezzò una guancia e gli
sussurrò in un orecchio: “Sei il signore dell’elemento terra e
perciò mio sovrano, comandami e ti obbedirò”. Kenn, ancora in sogno,
proiettò il suo immenso occhio sulla sua casa a Malkuthopoli e la trovò
vuota, non c’era nessuno: erano tutti fuori a cercare lui. Doveva
tornare subito per ricostituire il nucleo familiare; lui era la
“radice” della casata, il basamento del gruppo, lui, così piccolo e
così inesperto, era la Pietra su cui gli altri sviluppavano i propri
stupendi attributi…
Mentre stava per svegliarsi Kenn sorrise allo gnomo e gli disse: “Non
mi occorre nulla, grazie mio suddito; ora so di essere il “Re” della
Terra; so quale è il mio compito e sono felice”.
Kenn si svegliò, si alzò, fece un cenno di saluto con la mano alla
mimosa e allo gnomo e se ne tornò a casa: era pronto a giocare con i
fratelli.
N.53
Lo Sviluppo graduale
Da
e Leth, una coppia di adulti bambini sempre alla ricerca della Verità,
discutevano dello “Sviluppo graduale” dell’uomo, vale a dire della
concreta possibilità per la “fanciulla” (la personalità) di essere
data in sposa al “Re” (al suo Dio). Tema appassionante che li
impegnava in lunghe chiacchierate durante le passeggiate in campagna,
mentre si godevano lo spettacolo dell’alba o del tramonto del Sole.
Una sera di tardo autunno erano lì, dinanzi al caminetto acceso a
giocare con l’I King; alla domanda di rito: “Che cosa dobbiamo fare
per reintegrarci?” Il Vecchio Saggio aveva dato una risposta unica:
“Lo Sviluppo graduale.” Da e Leth ci stavano meditando su da un
po’ quando proprio dalle lingue del fuoco era comparso un piccolo
disco volante, assai minuscolo prima, poi sempre più grande, che si era
posato lieve sul tappeto del soggiorno, occupando quasi tutta la stanza.
Da e Leth erano rimasti a guardare la strana cosa pieni di meraviglia,
poi avvicinatisi con cautela, avevano aperto una specie di sportello e
guardato all’interno. Dentro non c’era nessuno: solo una cabina a
due posti e un monitor su cui era scritto “accomodatevi”.
Da e Leth si erano guardati: un lampo era passato negli occhi di Da e
aveva trovato immediate risposta in quelli di Leth: avventura…
istruzione… gioco…In un attimo avevano già accettato, erano entrati
dentro e lo sportello si era richiuso alle loro spalle.
Sul monitor era comparsa subito un’altra scritta:
“Abbiamo per voi alcuni quiz; ogni volta che darete la risposta giusta
dimezzerete il vostro peso…quando sarete divenuti quasi aerei, allora
conoscerete che cosa è lo “Sviluppo graduale”. Da e Leth si
consultarono, poi Da rispose: “accettiamo di giocare solo se al
termine dei quiz ci viene assicurata la possibilità di tornare allo
stato in cui siamo ora, se vogliamo”.
“Certo” fu la risposta “se riuscite a risolvere tutti i quiz,
potrete fare tutto quello che vorrete”. “E se non ci riusciamo?”
“Nulla. Sarà come se non fosse successo nulla. Vi sveglierete come da
un sogno… ma dovrete sempre risolvere il problema dello “Sviluppo
graduale”. I quiz erano scene reali che si svolgevano all’interno di
quella strana cabina. La prima scena rappresentava una fontana
zampillante. Una voce diceva: ”Se bevi da questa fontana il tempo per
te diverrà soggettivo. A tuo piacere potrai allungare i momento più
belli e accorciare i momenti difficili…bevi e potrai essere sempre
felice!”
Da e Leth rifiutarono la bevanda della fontana del tempo: sembrava loro
una droga che avrebbe favorito solo la pigrizia spirituale.
Immediatamente si sentirono molto più leggeri: il primo quiz era stato
superato. La seconda scena rappresentava una biblioteca con tantissimi
libri di esoterismo rari e antichi: avrebbero potuto prendere i libri
che più li interessavano e tenerseli, se volevano…
Consultarono solo il volume riguardante l’argomento dello “sviluppo
graduale”; c’era
scritto: “Per lo Sviluppo graduale puoi usare tutto, perché tutto è
a Servizio, ma non “prendere” per accumulare… ti renderebbe solo
più pesante”. Anche il secondo comportamento era stato “giusto” e
il secondo quiz quindi superato… Leth e Da erano elettrizzati…
La terza scena era composta da un’alcova di stile orientale con
l’aria satura di profumi afrodisiaci: loro stessi vi comparivano
completamente nudi e incredibilmente attraenti l’uno per l’altro,
una musica dolce e languida faceva da sottofondo… era indubbio che
avrebbero dovuto unirsi tantricamente ma in quell’ambiente pareva
difficilissimo: tutta la loro “arte” era alla prova: dovevano
riuscire a far risalire l’energia accumulata nei centri inferiori per
far rifulgere la Coscienza…
Anche il terzo quiz fu superato; lo seppero quando, guardando i loro
corpi, li videro luminosi e quasi trasparenti.
La quarta scena trovò Da e Leth separati in due abitacoli diversi;
ognuno aveva un monitor dinanzi e sul video gli veniva mostrata la
splendente luce e la grandezza spirituale dell’altro…si attendeva la
loro reazione. Da e Leth, pur separati, esclamarono all’unisono: “La
“Sua” Luce è l’Io Sono; la mia luce è la “Sua”: perché noi
siamo Uno!”
Dicendo questo i due traboccavano d’Amore l’uno per l’altro.
L’invidia non aveva neppure sfiorato i loro cuori. Da e Leth erano
ormai leggerissimi e ricolmi di felicità. Il quinto quiz non creava
scene particolari.
Sul monitor veniva annunciato che le risposte date fino a quel momento
erano tutte sbagliate; avrebbero dovuto ricominciare tutto da capo e non
sarebbero usciti da quella situazione fino a che le risposte non fossero
state “giuste”.
Da stava per scattare e protestare energicamente, ma Leth lo trattenne:
“E’ in giudizio la nostra capacità di rimanere calmi e sereni senza
arrabbiarci in una situazione ingiusta; è la prova dell’ira. Respira profondamente e sorridi; insieme riusciremo sempre a
dare la risposta giusta.” Anche il comportamento richiesto dal quinto
quiz era stato conforme…Da e Leth erano ormai quasi di luce…
In men che non si dica si ritrovarono in uno splendido giardino, un vero
Paradiso terrestre: alberi, sorgenti di acqua, fiori e frutti e animali
belli e mansueti… al centro del giardino un albero particolare: i
frutti erano sfere di luce quasi tutte accese. Una voce diceva: “Se
volete assaggiare il miglior frutto del giardino, lo potete.
Avvicinatevi all’albero centrale e cogliete le sfere di luce;
mangiandole aumenterete il vostro splendore all’infinito… la voce
era calda e suadente e melodiosa… Da e Leth si erano accostati
all’albero e Leth stava per allungare una mano e toccare una sfera di
luce…ma Da la fermò in tempo. “No. No! Questo è il sesto e il
settimo quiz; c’è qui insieme la prova della gola e della superbia.
Non dobbiamo mangiare il frutto proibito, guardiamo senza toccarlo
l’albero del bene e del male, diverrà per noi l’Albero della
Vita”.
Immediatamente l’albero s’incendiò di luce e il suo splendore
divenne indicibile. Da e Leth si ritrovarono nella cabina del disco
volante; non potevano credere alla loro leggerezza e si dicevano:
“Certo è così perché siamo in uno spazio – tempo diverso da
quello terrestre e poi forse dipende dalla pressione atmosferica…”
Ma la loro non era una alterata condizione fisica, ma uno stato di
beatitudine totale.
Poi finalmente “Si” videro: erano luminosissimi, erano belli, erano
trasfigurati, erano giovani, erano Veri.
Si accese ancora il monitor: “Allora, volete sempre tornare come
eravate prima? La terra può ancora attrarvi
con la sua gravità…in ogni caso sarete “diversi” in quanto
siete mutati nella “carne”…la vostra Pietra è diventata Pietra
d’angolo ed ora siete in grado di sedere su di essa…
Da e Leth si guardarono negli occhi…no, non c’era alcun motivo di
rimanere sulla terra. Non legami, non attaccamenti, non interessi.
Erano insieme Una Cosa Sola e perciò potevano affrontare il nuovo stato
di Essere.
Il disco volante con Dha-leth dentro cominciò a rimpicciolire fu
attirato dal fuoco e inghiottito dalle fiamme.
Nel soggiorno ormai tranquillo non rimase più nessuno.
N.54
La
Ragazza che va sposa
Il rito sarebbe
stato celebrato a mezzanotte, nel primo plenilunio di primavera. Kui Me
era già pronta per il matrimonio da sette anni, ma nessuno in tale
periodo l’aveva scelta come prima moglie; ora finalmente sì, avrebbe
potuto sposarsi, ma solo come moglie secondaria.
Non era certo questa una
posizione sociale invidiabile, ma Kui Me voleva avere dei figli e se
avesse aspettato ancora, nessuno l’avrebbe più voluta, neanche come
moglie di secondo grado. Perciò non aveva alternativa.
L’Uomo a cui tra poco sarebbe stata unita in matrimonio non era molto
giovane, ma ricco, forte e potente; avere figli con lui sarebbe stato
onorevole e conforme alle Leggi.
Il corteo che recava la sposa dinanzi all’altare ai piedi del quale si
sarebbe celebrato il rito degli avi, avanzava lento lento lungo la riva
del lago. La sposa era tutta vestita di bianco, quasi bella con quel suo
volto ovale dal pallore madreperlaceo, gli occhi obliqui a mandorla e i
capelli nerissimi e lunghi che spiccavano come un mantello di soffice
seta sulle sue spalle. Essa doveva, secondo il rito antico, danzare la
sua ultima danza di vergine sulla riva del lago; poi avrebbe mutato
l’abito bianco in rosso; infatti le altre donne del corteo ad un certo
momento l’avrebbero circondata, denudata e rivestita: la sposa sarebbe
emersa dal gruppo con la veste color porpora, ormai sposata
ufficialmente: non avrebbe più fatto parte della famiglia da cui
proveniva, ma sarebbe diventata a tutti gli effetti proprietà del
marito.
Quella notte tutto si svolse secondo la consuetudine; dopo e
festeggiamenti, verso l’alba, Kui Me salì sulla lettiga accanto al
suo Signore, come d’uso. Egli l’avrebbe condotta nella sua Casa,
presentata alla prima moglie e poi lasciata; trascorsi sette giorni,
avrebbe vissuto con lei la prima notte di nozze.
Gli oracoli avevano previsto per quella data una unione molto favorevole
alla nascita del primo figlio che, se fosse stato maschio, avrebbe
ereditato i beni del Padre: il Signore della Casa non aveva avuto figli
maschi dalla prima moglie. Kui Me scese dalla lettiga aiutata dal marito
ed entrò in quella che sarebbe stata la sua abitazione per sempre.
Nell’atrio la primo moglie le diede il benvenuto, Kui Me le si inchinò
con riverenza e poi fu introdotta nelle sue stanze. Due serventi
l’aiutarono a spogliarsi, poteva riposare fino a mezzogiorno; intanto
iniziava per lei quell’attesa tradizionale di sette giorni.
Erano sette giorni di apprendistato, sette giorni di adattamento, sette
giorni importantissimi per quello che sarebbe stato il suo inserimento
nella famiglia.
Kui Me non era più giovanissima, sapeva bene quanto fosse difficile
entrare in un ménage già costituito, eppure era suo vivo desiderio
essere ben accetta; voleva servire il suo Signore, avere figli a cui
accudire, voleva dare e ricevere affetto e amore.
I suoi non avrebbero voluto che si sposasse in quel modo, ma a lei
quell’Uomo era apparso buono e bello e quando l’aveva chiesta, aveva
accettato la sua corte, ed ora era sua moglie.
Si trovava all’inizio di una nuova vita: ad un “principio”.
Quelle prime ore di “sposa” furono vissute in un’alternanza di
sentimenti e stati d’animo caotici e disordinati: a momenti il cuore
le si gonfiava di timore: temeva di essere poco gradita, di non riuscire
ad avere quel Figlio maschio che si voleva da lei; di non sapersi
adattare alla nuova situazione; allora le lacrime le scendevano copiose
lungo le gote pallide e a stento poteva trattenere i singhiozzi. In
altri momenti invece si sentiva contenta della scelta fatta: non era più
di peso alla sua famiglia, ora era sposata, con i figli il suo essere
donna avrebbe raggiunto il pieno appagamento…
A mezzogiorno la prima moglie la chiamò nel suo appartamento e le spiegò
quale doveva essere la sua posizione nei suoi riguardi: docile e
sottomessa in tutto, come una sorella minore. Kui Me dominò il suo
orgoglio e frenò la risposta arrogante che le era salita alle labbra:
si costrinse ad accettare di buon grado tutto quello che le veniva
indicato come “suo dovere” e si sentì subito più serena. Il
secondo giorno dovette imparare a non essere gelosa né invidiosa: il
Signore della Casa si recò dalla prima moglie e stette con lei tutto il
giorno e tutta la notte. Kui Me sapeva già che questo sarebbe avvenuto
normalmente, ma vivere l’esperienza era diverso, molto diverso. Sentì
l’invidia e la gelosia divampare nel suo cuore e lottò tutto il
giorno con se stessa… solo a sera capì che doveva “amare” la sua
situazione; non c’era altro modo per vincere quei due terribili
sentimenti…
Il terzo giorno venne istruita dalla donna più anziana della Casa sulla
difficile arte di amare secondo i precetti della religione degli avi. Le
fu insegnato come vincere il desiderio dei sensi, come acquietarli e
renderli docili per mezzo della respirazione controllata e della volontà
determinata. Il quarto giorno fu lasciata completamente libera di fare
ciò che più le piaceva. Naturalmente essa sapeva che se avesse oziato
sarebbe stato un giorno perduto. Allora si rese prontamente attiva e
chiese di lavorare: cucire, ricamare, filare; infine mise ordine nelle
sue stanze e le abbellì con lumi, fiori e piante.
Il quinto giorno le fu chiesto di scegliere le stoffe per il suo
guardaroba, avrebbe potuto avere rasi, sete, velluti…scelse stoffe
semplici e resistenti, colori luminosi e puliti: i suoi abiti li avrebbe
cuciti da sé e le sarebbero durati tutta la vita. Il sesto giorno ebbe
l’incarico della cucina: preparare con l’aiuto delle serventi i cibi
per tutti: leggeri, saporiti, nutrienti…in misura giusta, senza
inutili sprechi. Tutti mangiarono, tutti le furono grati: cominciavano a
conoscerla e ad amarla. Il settimo giorno lo trascorse col suo Signore e
a sera, indossato l’abito tutto d’oro, Kui Me fu unita a Lui.
Da quell’unione nacque quel Figlio maschio tanto atteso e, grazie a Ciò
Kui Me, sposa secondaria, divenne la più amate delle spose, la Vera
Sposa.
N.55
La
Copia
Coph, il
Ricercatore, un bel giorno si trovò dinanzi ad una grande scatola
cubica chiusa; sulla parte superiore c’era scritto: “La Copia”.
Coph avrebbe voluto aprire subito la scatola per vedere quello che
c’era dentro, ma, guarda e riguarda, la trovò tutta sigillata: era
come se fosse stata costruita in un solo blocco… per giorni e giorni
egli continuò a toccarla, a rigirarla, a scrutarla, senza mai trovare
il modo di poterla “conoscere” come avrebbe voluto. Essendo un
“Ricercatore”, era ormai esperto di come andava quel genere di
cose…si trattava di tener presente quella “copia” in un angolino
del suo cuore-mente… E lì “covarla”… al momento giusto, come un
uovo di gallina, si sarebbe schiusa da sé e avrebbe svelato il suo
segreto. E intanto egli continuava a riflettere: ““copia” vuol
dire “abbondanza”, gran quantità di qualche cosa, è ovvio, ma di
che cosa? Entro quale stato coscienziale si sarebbe prodotta e
manifestata tale copia?… Certamente in quello che lui, Coph, avrebbe
scelto e voluto!
Una copia fisica? Ecco
comparire dinanzi ai suoi occhi messi e frutta, oro e brillanti e pietre
preziose… Oppure una copia astrale? Ecco colori e fantasia, gioia ed
allegria… Voleva una copia mentale? Ecco suoni e musica, pensieri
logici e discorsi dialettici…
Oppure ancora Altro?
Coph bussava su quella scatola misteriosa con le nocche delle sue dita
mentali, sollecitando una conoscenza che non veniva.
Alla fine si domandò: “Ma che cosa è che fa sbocciare i fiori e
schiudere i semi dei frutti?” …”Ma sicuro!! Il Sole!” si rispose
e allora ricordò: doveva proiettare il proprio Sole interiore su quella
scatola chiusa e poi…
stare a vedere. Tutti i “Ricercatori” più o meno esperti sanno
sollecitare il proprio “Sole” a volontà; non è una tecnica che si
apprende sui manuali (neanche su quelli esoterici) è un’arte che si
impara con la pratica… essere Ricercatori infatti significa imparare
ad usare sempre meglio il proprio Sole, la propria Luna, le proprie
Stelle.
Si diventa Ricercatori solo quando si è dimostrato a se stessi che si
è già in grado di conoscere e governare i propri Astri.
Dunque Coph mise a fuoco il suo “Sole” sulla scatola della Copia,
aumentando gradualmente il calore…come era prevedibile, ad un certo
punto la scatola si schiuse e…e ne uscirono fuori due ragazzi, un
giovinetto e una giovinetta, tutti nudi, ma così belli e radiosi che si
faceva fatica a guardarli. Coph si sentì subito attratto da quella
coppia straordinaria e subito chiese loro: “Posso farvi alcune
domande?”
“Siamo qui solo per risponderti” Risposero all’unisono i ragazzi.
“Come vi chiamate?” “Mi” rispose il fanciullo.
“Chi” rispose la fanciulla. “Quale è il significato del vostro
nome?”
“Michi vuol dire abbondante” disse Mi. “Michi vuol dire pienezza
totale” disse Chi. “Che cosa debbo imparare da voi? Che cosa debbo
chiedervi per conoscere la Copia?” domandò ancora Coph.
“Guardaci” fu la risposta. Con i piedi nudi che si sfioravano, si
presero entrambe le mani e cominciarono a girare in tondo, sempre più
svelti, sempre più svelti. Coph, dopo qualche momento non riuscì più
a distinguerli: vedeva solo una coppa di luce… ancora un po’ e poi
da essa vide fuoriuscire messi, frutta, oro, pietre preziose…insomma
tutto quello che aveva immaginato quando la scatola era ancora chiusa.
Le “cose” così prodotte fluttuavano per qualche minuto nell’aria
e poi svanivano nel nulla, come riassorbite dall’universale.
Coph guardava muto e affascinato. Dopo un certo intervallo quella stesse
coppa di luce iniziò una produzione di immagini e colori che solo a
vederli suscitavano leggerezza, allegria ed entusiasmo: sembrava di
essere in un mondo fantasmagorico e fluido… quasi in un mondo astrale.
Ma anche quell’abbondanza di giuochi indescrivibili, ad un certo punto
venne a mancare, si esaurì, semplicemente: svanì.
Ancora un breve intervallo e poi la coppa formata dalla danza dei due
giovinetti cominciò a far fluire all’esterno suoni acuti e gravi,
precisi, perentori: pensieri pensati, simboli e formule astratte, ma così
perfette, così “vere” da sembrare quasi “reali”…
Coph continuava a guardare, completamente assorbito dallo spettacolo
offertogli da quella danza tanto insolita…
Intanto, scomparsi i simboli e le formule, i pensieri ed i suoni, la
coppia dei fanciulli aveva rallentato il girotondo e si stava fermando
del tutto. I loro occhi erano come stelle e fissavano Coph: “Hai
capito ora che cosa è la Copia? Tu hai conosciuto quella che si
manifesta nei tre livelli di coscienza inferiori, quella che viene e che
va; invece devi cercare Quella del Piano Divino, Quella che non viene e
che non va!”
Coph, che era rimasto fino a quel momento come trasognato, si destò;
vide Mi-Chi e disse: “Ditemi cosa debbo fare e lo farò.”
“Entra nel nostro girotondo, poniti al Centro e diventa tu stesso la
Copia, vuoi?” gli proposero Mi e Chi.
Coph assentì col capo. Mi e Chi lo circondarono e cominciarono a
girare… Coph si sentì centrifugare all’infinito… gli parve di
essere disintegrato…per un attimo resistette, cercò di conservare la
sua separatività, il suo essere Coph…ma non poté e
si arrese…
Allora l’Infinito precipitò in lui e l’Abbondanza Totale lo
pervase, lo inondò, lo sommerse…
Fu così che Coph conobbe la Vera Copia.
N.56
Il
Viandante
Tau
era un viandante. Sento già qualcuno domandare: “Un viandante di che
genere?” Ma un viandante! Un via-andante. Cioè uno andante per via.
Chiaro? E adesso volete sapere per quale via?
Beh, siete proprio curiosi! Ma questo non ve lo possiamo dire per ora,
lo saprete solo alla fine della favoletta. Anche perché, a dir la verità,
al momento non lo sappiamo neppure noi e abbiamo il vago sospetto che
non lo sappia neppure lui, sì, Tau, il nostro viandante!
Intanto lui era là, fermo dinanzi ad una locanda di campagna. Che cosa
faceva? Cercava alloggio, sicuramente. Voleva un buon pasto e un letto
per dormire…
“Ma allora che viandante era?” Chiederete voi: “In genere i
viandanti veri non mangiano nelle locande, non dormono negli alberghi,
ma si nutrono di frutta che trovano nei campi o di quello che ricevono
per elemosina e i ponti o i fienili sono il loro tetto di notte…”
Sì, va bene, forse una volta era così… ma questo siamo convinti che
fosse un viandante moderno, di quelli che fanno l’autostop e usano
pure la carte di credito (ovviamente valida, validissima!)
Dunque, bando alle chiacchiere, entriamo con lui
nella locanda e vediamo cosa succede. Appena varcata la porta
(una porta ad apertura automatica) egli si trovò nell’atrio; si guardò
intorno: non c’era nessuno: né oste, né locandiere, né altri. Solo
una voce si fece udire nell’aria: “Io Sono la Locanda stessa che ti
parla: tu mi potrai visitare tutta, ma poiché ormai sei entrato, non
potrai uscire a tua volontà, dovrai aspettare di vedere sullo schermo
della sala proiezione la scritta “uscita”; potrai istruirti, se
vorrai, cibarti a tuo piacimento, usare tutto quello che c’è…ma
sappi che dovrai pagarlo di persona e ricordati che all’uscita non
potrai portar via nulla di materiale con te… per il resto: fa quello
che vuoi!!…” Se voi foste stati al posto del viandante, che cosa
avreste fatto? Quello che fece lui: non potendo più uscire… decise di
visitare quello strano luogo e, intanto che era lì, istruirsi,
nutrirsi, riposare ecc., come previsto dal regolamento locandiero. Dopo
l’atrio c’era un’unica stanza con uno schermo, si proiettava un
film intitolato “Infanzia”; c’era una poltrona sola: Tau si
sedette. Appena seduto vide scorrere vicende di una vita di bambino dal
concepimento in poi… ma quando capì che il bambino era lui stesso,
automaticamente si identificò con quello, entrò nel film e dimenticò
di essere seduto in poltrona a guardarsi in un film… e così passarono
i primi 14 anni.
Al termine di quel periodo comparve sullo schermo un altro titolo:
“Adolescenza”. Nell’attimo che un film succedeva all’altro Tau
ebbe la possibilità di ricordare che era solo uno spettatore, ma il
fascino delle avventure – disavventure del personaggio dello schermo
era tale che egli continuò a rimanere avvinto alla vicenda, tutto preso
dall’”amore di sé”. E passarono altri 7 anni.
Il terzo film era intitolato “Giovinezza”. Bello, drammatico, pieno
di contraddizioni, proprio in virtù di quelle Tau cominciò ad
alternare stati di consapevolezza – Io viandante sto seduto in
poltrona a guardare un mio film – a stati di identificazione con il
Tau attore…
Passarono altri 14 anni. Intanto il Tau spettatore imparava tante cose,
si nutriva del film stesso e riposava il suo corpo…
Ancora un nuovo film sullo schermo: “Maturità”.
Ormai Tau aveva acquisito gradualmente un doppio stato di coscienza: era
protagonista e spettatore contemporaneamente e, in tale duplicità, si
avvide di poter diventare spesso anche il regista del film. Se si
concentrava molto, poteva influire sulle scene… non completamente,
certo, ma quel tanto che bastava perché le storie dello schermo fossero
sempre più consone a certe sue esigenze interiori. Tau, per esempio
aveva in antipatia le scene drammatiche e violente…
le trovava ridicole. D’altronde una scena drammatica che fa
ridere diventa grottesca, non istruttiva… in realtà Tau avrebbe
voluto far assomigliare le vicende del film sempre più al ”modello”
che aveva impresso nel suo Cuore-Mente, perché egli era sicuro che
quando i fatti del film avessero coinciso col “Primitivo Progetto del
Viandante” , lo schermo e la locanda si sarebbero dissolti ed egli si
sarebbe ritrovato “Libero” completamente, senza dover aspettare la
famosa parola “uscita”. Allora il suo “Andare” di Viandante
sarebbe stato quello del Gran Tutto, l’Inizio e la Fine
unificandosi…
Intanto il Tau regista-spettatore-attore pensava: “E se io volessi che
la scena del film rappresentasse un viandante che, chiuso per
esperimento in una locanda, sta dinanzi ad uno schermo a vedere un suo
film in cui è rappresentato un viandante che, chiuso in una locanda,
sta dinanzi ad uno schermo e vede un suo film in cui c’è un viandante
ecc.”
(Capite quello che voleva raggiungere, vero?)
“A questo punto la realtà coinciderebbe con l’illusione…ecco
voglio provare a vedere che succede!”
E stava già per formarsi sullo schermo l’immagine che replicava la
sala della locanda col viandante dinanzi allo schermo quando…
La luce dello schermo si spense e si accese la luce della sala da
proiezione e una Voce che veniva da tutte le parti e da nessuna in
particolare tuonò:
“No.
Questo non è il Primitivo Progetto. L’Andare del Viandante non è uno
sterile, insensato e
cervellotico fluire dello spazio-tempo fine a se stesso, ma un Mirabile
Giuoco di apprendimento di Perfezione.
Tu hai già imparato che devi far coincidere volontariamente il tuo film con il Progetto, ma se non
conosci bene il Progetto, come fai?
Devi imparare a spegnere il proiettore a volontà, allora la Voce del
Verbo ti darà tutte le istruzioni necessarie; in effetti quella tua
“folle” idea ha funzionato come interruttore “off”, ma un
interruttore di quel tipo è pericoloso, può fare entrare in corto la
Locanda…
ce ne sono altri molto più adatti allo scopo e li devi scoprire da
te… Se vai nella cabina di proiezione li conoscerai…lì ci sono
anche i finali possibili di questo tuo film…”
Sapete allora che cosa fece Tau, Viandante Consapevole?
Si alzò dalla poltrona e si diresse verso la Cabina di Proiezione per
scegliere il finale “giusto” al suo film…
Adesso volete sapere che tipo di finale ha scelto?
Eh, no questo non lo possiamo svelare, è un segreto suo… però ora
conoscete bene quale è la Via del Viandante...non vi rimane che cercare
la vostra… può darsi che abbia la stessa Meta!!!
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