Racconti 57-64



N.57   Il Mite

 

Nel monastero Zen si svolgeva la solita riunione quattordicinale; toccava ad uno dei monaci coordinatori parlare sull’argomento del giorno, tema-koan: “il Mite, il Penetrante, il Vento”.
Il monaco, il cui nome era Fàzeta, leggeva già da un po’ la sua piccola relazione, quando, ad un certo punto, comparando il testo taoista col glifo cabalistico, disse: “Attribuzione sephirotica  del Mite, Gheburah!”
Gli altri monaci si guardarono l’un l’altro in modo molto significativo, ma nessuno intervenne; era la regola non interrompere il fratello nell’esposizione del suo lavoro. Però, come Fàzeta ebbe terminata la sua lettura, Ixzeta, uno dei monaci più impertinenti, subito si alzò e gli domandò: “Come giustifichi l’attribuzione di Gheburah, il cui pianeta è Marte e le cui caratteristiche sono marziane, al Mite, che di per sé significa dolce, sottomesso, umile, mansueto?”
Il monaco coordinatore subito gli regalò un bel sorriso: “Ti ringrazio, fratello, per aver posto questa domanda che aspettavo e che mi era necessaria. Ora lascia che ti racconti una favoletta, ti risponderò con essa: c’era una volta un samurai espertissimo spadaccino che si era posto al servizio di un gran Re. Questi, senza nemmeno accertarsi della sua abilità, l’aveva tenuto presso di sé, ma il tempo era passato e non gli aveva mai proposto di combattere. Dopo alcuni mesi di inattività, Gheb, tale era il nome del samurai, domandò udienza al suo Sovrano.
“Sono sette mesi che sono entrato al tuo servizio, mi sono allenato tutti i giorni dalla mattina alla sera, ma Tu non mi hai mai chiesto di combattere. Io sono pronto, lascia che ti dimostri la mia bravura davanti a tutti.”
“Ho sorvegliato il tuo allenamento e le tue esercitazioni” rispose il Re “e benché tu sia adatto per il mio combattimento, non sei però ancora veramente pronto. Vuoi sapere perché? Sei ancora arrogante e presuntuoso. Torna tra sette mesi.”
Dopo sette mesi Gheb si presentò di nuovo al Re: “Eccomi” Gli disse, “questa volta la mia preparazione è perfetta e Tu mi lascerai combattere; sono a Tua disposizione”.
“No, non ancora” Rispose il Sovrano, “tu credi di essere pronto, ma hai ancora lo sguardo battagliero e il temperamento collerico… torna tra sette mesi!” Gheb rimase molto male a sentirsi trattare a quel modo, tuttavia si preparò ancora meglio e dopo sette mesi tornò dal Re.
“Eccomi ho fatto di tutto per essere come Tu mi vuoi…posso combattere per Te ora?”
“No, non ancora” gli replicò il Re, reagisci alle ombre e agli echi… torna tra altri sette mesi!”
Il povero Gheb non sapeva più che cosa fare, ma ormai era deciso a spuntarla, voleva a tutti i costi cimentarsi in quel terribile combattimento che era il più impegnativo della sua vita.
Passati i sette mesi, tornò un’altra volta dal Re.
E questa volta non disse nulla.
Si presentò solamente.
“Ora ci sei” disse il Re. “A vederti sembri un Samurai di legno. La tua Virtù è completa. Un Samurai che non è come te, non oserà farti fronte e fuggirà”.
Terminata la favoletta, Fàzeta diede un’occhiata soddisfatta in giro e, rivolgendosi a Ixzeta disse: “Chiaro adesso l’accostamento Mite-Gheburah?”
“Chiarissimo” rispose Ixzeta “tuttavia questa storiella mi sembra tanto il rifacimento del famoso “Gallo da combattimento” di Lieh-tzù…”
“Certo” riprese il monaco coordinatore, “è esattamente il 34° capitolo del “Primo libro della sublime virtù del cavo e del vuoto” rivisto e corretto apposta per te… ma se questo non ti è sufficiente, ti posso ancora dire che la Sephirah Gheburah diventa la più completa Mitezza allorché collassa nel suo Kether…è allora che si trasforma in Forza non Forza, la Vera Forza, in Marte non Marte, il Vero Marte…
Fàzeta tacque, ma guardando Ixzeta capì di non averlo soddisfatto del tutto; allora si rivolse a tutti i monaci e disse: “Adesso vorreste sapere  qualche cosa di più sul Vento e la sua penetratività, vero?”
Andò alla finestra e l’aprì; disse due paroline a “qualcuno”  che nessuno dei monaci che era nell’aula poté vedere, poi tornò al suo posto.
Subito un venticello leggero leggero, una brezza primaverile cominciò a fluttuare nell’aria, portando con sé un profumo di glicine e di gardenia di una soavità incredibile…
Come divenuto una unica entità, il Gruppo dei monaci si dispose in cerchio perfetto. Il Verbo scese in mezzo a loro e il Silenzio parlò ai loro cuori: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra…”

 

 

N.58  Il Sereno

 

Moon era un eremita e la sua capanna se l’era costruita sulla riva di un laghetto di montagna. Dopo una vita assai movimentata, giunto al 49° anno di età, aveva deciso di ritirarsi dal mondo: era già un anno che si trovava in quell’incantevole solitudine, alla ricerca della “Serenità”… ma purtroppo, ancora non c’era arrivato. Per due volte il suo Maestro Zen era venuto a trovarlo e tutt’e due le volte gli aveva chiesto: “Moon, “Ci” sei?” Lui aveva risposto: “Sì, ci sono”.
Ma il Maestro per due volte aveva scosso il capo: “No, non ci sei”. E se ne era andato.
Ora certo sarebbe tornato per la terza volta e gli avrebbe di nuovo chiesto se “C’era” e lui sì, era lì, ma non “C’era”, non ancora. Che cosa avrebbe dovuto fare? “Dove” avrebbe dovuto essere? Lo stare un anno in eremitaggio non era la causa dell’esserCi o non esserCi…. Ma poi! EsserCi o non esserCi “dove”?
Ma nella Serenità, nella Vita Reale, nel Tao, ovviamente!!
Tutte belle parole inutili e contraddittorie…perché esserCi veramente significa in Realtà proprio Non EsserCi! E Serenità, Vita Reale e Tao sono termini assolutamente inadeguati per esprimere la Divinità.
Però…
Il “Sereno” è una parola magica (tutte le parole sono magiche), già solo pronunciarla ti dà la sua essenza.
“Io Sono il Sereno”. Essere l’essenza del Sereno, un lago limpido come quello che si vede qui, senza ombra d’increspatura, chiaro e puro…ecco” pensava Moon, “poniamo il caso che io ormai “Ci” sia (visto che in effetti tutti “Ci” siamo, ma non lo sappiamo) allora che cosa succede? Immediatamente una colonna di “Discepoli” sale subito fin qui, tutti pronti a specchiarsi in questo mio “esserCi”…” Mentre Moon così ragionava tra sé ecco arrivare per la terza volta il Maestro Zen, ma non solo: era accompagnato da una schiera di undici monaci e nove ospiti, in tutto venti persone giuste.
Moon non credeva ai suoi occhi.
Il Maestro disse: “Siamo qui in visita per parlare con te del Koan su “Sereno”, vuoi ospitarci?”
“Certamente”, rispose con entusiasmo Moon, “sono ben lieto di accogliervi qui, di fronte a questo bellissimo lago, prego accomodatevi.”
Tutti si sedettero in terra e formarono un cerchio.
“Parlaci della Serenità”, disse allora il Maestro a Moon. Moon stette un attimo come in sospeso, poi come ispirato, disse: “Il Sereno è allegria; essere il Sereno vuol dire armonizzare col Tutto e con tutti, essere limpidi, chiari, puliti …” “E’ un buon inizio”, disse il Maestro, “prosegui…”
Ma uno degli ospiti era strano, nervoso, agitato. Cominciò a muoversi, a sbracciarsi, a parlottare, rifiutando di partecipare all’unità del gruppo coll’attenzione, il silenzio, la concentrazione. Moon, quale ospitante, capiva di dover intervenire e guardava il Maestro per consiglio, ma il Maestro pareva essere altrove, in quel momento… Moon sentiva crescere il disagio, alla fine si decise: “Se io sono il Sereno, posso fissare l’ospite importuno e, nel linguaggio muto che tutti, più o meno, conoscono, comandargli di essere “sereno” e di stare tranquillo…” Ma la reazione dell’ospite indisciplinato fu violenta, aggredì Moon: “Tu mi guardi in modo ostile perché non ti obbedisco… ma io non sono venuto qui per obbedire a chicchessia, sono venuto solo per vedere e sentire, comportandomi come più mi aggrada…”
L’atmosfera ora non era più tanto “serena”; sembrava che un  nuvolone si fosse addensato sul lago…
Moon aspettava… Alcuni altri monaci intervenirono: “Se vuoi partecipare ad un lavoro di gruppo, ti devi adattare alle consuetudini del gruppo stesso: “In Roma do as the romans do (a Roma fa quello che i romani fanno)” disse un primo monaco.
“Forse hai pensato di trovate quassù un conferenziere pronto ad ampliare la tua cultura, hai sbagliato località…” disse un secondo monaco.
“Hai magari creduto per un momento che, sedendo in circolo, ci fosse un vantaggio per la “circolazione del sangue”…è pur vero, ma non in senso fisiologico…” disse un terzo monaco e tutti i presenti scoppiarono in una grande risata! “Moon, perché non interpelli l’oracolo sulla situazione?” propose un quarto monaco. Moon stava “sentendo” il Sereno…“Sì” gli rispose, “ma solo se  tutti mi promettono silenzio completo, attenzione e concentrazione; solamente a queste condizioni potrò interpellare il “Vecchio”. In meno di due secondi il silenzio fu totale, anche l’ospite nervoso e ribelle si acquietò: era curioso di sentire cosa avrebbe detto il “Vecchio”. Bruciato l’incenso di rito, furono tirate le monete per il responso oracolare. Il “Vecchio” disse: “Laghi poggiati l’uno sull’altro: l’immagine del Sereno. Così il nobile si riunisce con i suoi amici per discutere e per imparare.
Al Sereno ci si può arrivare da ogni esagramma, ma in questa situazione consulta la Dissoluzione e il Procedere.”
Furono consultati gli esagrammi della Dissoluzione e del Procedere; al termine della lettura Moon guardò il Maestro e finalmente con-prese: il Sereno era accettare l’altro così come era, senza reagire, senza respingerlo, senza violentarlo: dissolvendolo, solvendolo. Questa è la Riuscita, propizia per perseveranza. No, non era facile; per essere il Sereno, bisognava esserCi davvero!! Il Maestro glielo aveva portato apposta quell’ospite strano e inadatto… Il Maestro guardò Moon: “Adesso Ci sei”.
Moon si alzò e gli si inchinò.
In cielo era sorta la luna e ora si specchiava nel lago. Monaci e ospiti erano andati via tutti: Moon rientrò nella sua capanna.

 

 

N.59  La Dissoluzione

 

Net e Zack erano una coppia di ricercatori e vivevano in campagna; tranquilli, nessuno li disturbava: leggevano, studiavano, sperimentavano… la loro vita si svolgeva senza imprevisti, senza particolari difficoltà, senza contrasti. Si volevano molto bene, forse da secoli, e cercavano sempre di prevenire i desideri l’uno dell’altro.
Un bel giorno, mentre passeggiavano in giardino, discutendo sull’Amore, tema inesauribile e affascinante, udirono un gran frastuono; in un attimo la quiete della loro casetta si scosse, traballò e si frantumò: dal cancello del giardino  irruppe una folla eterogenea di personaggi… erano una ventina, vestiti nei modi più strani… invadenti, ciarlieri, sembrava gente mascherata o gente di teatro…
“Ma che cosa volete” chiese Net “chi vi ha chiamato?”
La folla dei personaggi non rispondeva; era entrata e ora invadeva tutto: casa, terrazza, giardino, garage… pareva che quelli nemmeno vedessero i padroni della villetta: giocavano, discutevano, mangiavano i frutti degli alberi, urlavano, litigavano, si rappacificavano, tutto in una gran confusione, in un caos totale! Net e Zack, inorriditi si erano ritirati in un angoletto del giardino a parlare tra loro per decidere il da farsi.
“Dobbiamo chiamare la polizia, dobbiamo difenderci da questa masnada… dobbiamo fare assolutamente qualcosa” diceva Zack…
Intanto si erano avvicinati al telefono esterno e stavano per chiedere aiuto quando…udirono una voce potente…La Voce: “Ma li avete guardati bene questi strani personaggi?”
“Sì, certo” risposero i due all’unisono.
“Forse li avete guardati, ma non li avete visti” replicò La Voce.
Net e Zack riagganciarono il telefono e si affrettarono a rifare il giro della casa e del giardino per “vedere” quei personaggi…
Tutto era occupato, tutto invaso da quella gentaglia…parevano tutti matti…ma…ma…Ma no! Uno solo era proprio matto: seduto in terra canticchiava giocherellando con un mucchietto di stracci, un bastone e un gatto selvatico… quella strana creatura era un Matto, il Matto, il Matto dei Tarocchi!!!
E allora finalmente Net e Zack riconobbero tutti gli altri: la Verità, che vestita di velo si trastullava con i quattro elementi; l’angelo del Giudizio sempre lì lì per suonare la tromba; un signore imponente, bello come il Sole e una delicata fanciulla, dolce come la Luna; Eva delle Stelle e il Principe della Torre; il Diavolo con i suoi due diavoletti; l’angiolone della Temperanza sempre pronto ad innaffiare qualcuno o qualche cosa; la Morte con la falce; l’Appeso sempre a testa in giù; la Forza che strapazzava il povero leone; un aggeggio a forma di Ruota con sopra due bestioni; l’Eremita con la lanterna, la Giustizia severa, il Guerriero sul Carro e poi ancora l’Innamorato indeciso, il Papa e l’Imperatore sui loro troni; l’Imperatrice e la Papessa inarrivabili…infine il Bagatto. Quella compagnia di gente erano i 22 personaggi dei Tarocchi……le 22 carte dei Trionfi che avevano fatto irruzione nella casa di Net-Zack…
“Che cosa dobbiamo fare’” si chiesero i due preoccupati; “riprendiamo il telefono in mano, forse la Voce ce lo dirà!” Propose Net.
“Non è necessario” rispose Zack, “noi, quando questa storia è cominciata, stavamo parlando dell’Amore, vero? E’ questa la chiave per risolvere il nostro problema: l’Amore: Dobbiamo far amare questi nostri personaggi, queste nostre qualità, fino a che non si “sciolgono” di DISSOLVONO…l’una nell’altra…”
“Certamente è questo che dobbiamo ottenere” concordò Net, “ma come? Come operare?”
“Sono convinta” riprese Zack “che essi, i nostri personaggi, non si conoscono affatto fra di loro,
perché, se si conoscessero bene, si unirebbero a due a due formando le coppie complementari, “giuste”; a qual punto l’Amore ne farebbe un cosa sola, la Cosa Unica ed essi si dissolverebbero. “Vogliamo provare ad unirli noi?” Propose Net “Per alcuni di essi non ci sono dubbi. Facciamo così: tu cerchi i personaggi maschili, io quelli femminili, poi li conduciamo dinanzi all’Albero del Fico, se la coppia è “giusta”, scomparirà subito. Cominciamo dai più facili.”
Net andò a prendere per mano la Papessa, Zack il Papa e, proprio come sperato, i due, dinanzi all’Albero della Bodhi, dell’illuminazione…via! Si dissolsero nell’aria!
“Hai visto? Funziona!!! Gridarono Net-Zack all’unisono. Presero per mano lui l’Imperatrice, lei l’Imperatore e subito anche la seconda coppia sparì; poi fu la volta del Sole e della Luna…anche quelli…pfui! In un attimo non c’erano più. “Ma se sbagliamo a metterli insieme che succede?” Chiedeva intanto Zack; “ma niente, che vuoi che succeda, restano lì e non si dissolvono” rispondeva Net.
“Secondo te quale è la lamina complementare del Bagatto, la Forza?” Riprendeva Zack.
“No, no, per me e la Verità; non comprendi che i quattro elementi che lui vuole dominare, lei li ha già tutti intorno armonizzati? Dai, proviamo così” rispondeva Net.
Come il Bagatto ebbe tra le braccia la Verità, immediatamente svanì con lei. Ormai gli invasori erano quasi dimezzati, ma quelli rimasti non sembravano adatti a formare coppie “giuste” come indurli ad amarsi per dissolverli? Net propose di unire il Guerriero del Carro con la Forza e Zack dopo una lunga riflessione l’Eremita con la Morte; anche questi quattro personaggi in breve sparirono dal giardino.
“Le lamine che mi preoccupano di più sono il Diavolo e il Principe della Torre”, riprese Net, che non vedeva l’ora di tornare alla pace e al silenzio usuali “azzarderei un tentativo di sintesi tra il Principe e la Giustizia… se il Principe diventa giusto costruisce il tempio, non la Torre”.
Portarono dinanzi al Fico il Principe e al Giustizia, ma i due si misero a discutere di leggi e non scomparvero…
Zack allora disse: ”Proviamo ad accostare la Torre alla Ruota della Fortuna…la struttura delle due carte è molto simile… in men che non si dica i due bestioni della ruota si trasformarono in due belle fanciulle: il Principe e il suo Architetto le abbracciarono e…via tutti e quattro!.
“E dell’Innamorato che cosa ne facciamo? Io sono sicuro” affermò Net “che Eva, la Vita è la sua vera compagna, proviamo a vedere?”
Appena l’Innamorato dinanzi all’Albero della Bodhi riconobbe la sua Eva, immediatamente lasciò le due donne rivali, si unì a lei e scomparve (anche le due donne si dissolsero nell’aria).
Siamo quasi alla fine” disse Net “ma questo Diavolo che mi gira intorno mi dà proprio fastidio…a chi lo affidiamo? Alla Giustizia? No. All’Angelo del Giudizio? No, no! Sai che ti dico? Tocca all’Angelo della Temperanza occuparsi del Diavolo…specialmente se poi risulta una Diavolessa! Diavolo e Temperanza si dissolsero anch’essi come i loro predecessori. Nel giardino ora passeggiavano solo quattro “figure”: il Matto, la Giustizia, l’Appeso e l’Angelo del Giudizio.
Net e Zack li condussero dolcemente tutti e quattro sotto l’Albero fatidico: il Matto (che era poi una Matta) aiutò subito l’Appeso a scendere dalla scomoda posizione e l’Angelo del Giudizio accolse tra le nuvole ovviamente la Giustizia…e non rimase nessuno!
Net e Zack erano di nuovo finalmente soli: si guardarono negli occhi… “Sai che cosa dobbiamo fare, vero?” disse Net “ora che abbiamo dissolto tutti i nostri Tarocchi, non ci resta che dissolvere noi stessi, allora l’Opera sarà compiuta”. Tutto l’Amore realizzato dalle undici coppie era là, sotto quell’Albero del Fico. Net e Zack si abbracciarono e…
L’Universo tutto si DISSOLSE intorno a loro:
LORO RESTARONO

 

 

N.60  La Delimitazione

Pè dall’alto dei Cieli guardava con insistenza la Terra. Era un bel po’ che spiava il momento adatto per reincarnarsi, ma l’occasione non era mai quella giusta.
La spirale energetica formata dalle coppie in amore non era mai favorevole…ora troppo larga, ora troppo stretta, ora troppo lunga, ora troppo corta e mai, mai abbastanza luminosa! E così Pè aspettava ormai da un mucchio di tempo…ma sappiamo tutti che il “tempo” dei mondi sottili è soggettivo e quindi forse non era poi nemmeno tanto che aspettava! Pè era stato quell’anno (si fa per dire, ovviamente) uno degli allievi più bravi del 4° Astral-mentalico, aveva dato l’esame  finale e dopo aver brillantemente dimostrata la tesi “Validità Assoluta del Gioco della Manifestazione come Danza Divina”, aveva potuto finalmente scegliere tra rinascere sulla Terra come un Reincarnato (Salvatore dell’umanità) oppure occuparsi di qualche mansione direttiva (dopo un breve tirocinio) su uno dei pianeti allineati della Galassia (pianeti allineati sono quelli aderenti alla Collaborazione Galattica, abitati da esseri evoluti che hanno rifiutato di mangiare il frutto dell’Albero del bene e del male e dove il dolore e la sofferenza sono sconosciuti).Pè aveva già deciso per la discesa sulla Terra ma prima di attuare questa decisione aveva interpellato i suoi amati professori di Astral-mentalico e aveva ricevuto sostanzialmente questi consigli: i professori che provenivano da scuole con esperienza di pianeti di tipo allineato gli avevano sconsigliato la discesa sulla Terra, pianeta pericoloso, ostile, malvagio; i professori che provenivano da scuole con esperienza di pianeti di tipo non allineato (come la Terra) gliel’avevano caldamente consigliata: niente è altrettanto avventuroso ed eccitante come il reincarnarsi su un pianeta oscuro col compito di Salvatore!
E poi Pè era un “esperto” era stato tante volte “terrestre” e l’ultima volta aveva avuto una meravigliosa famiglia di dodici discepoli che amava immensamente e che nn vedeva l’ora di ritrovare per completare con loro il lavoro iniziato ormai da secoli…
Certo, rinascere voleva dire farsi piccolo piccolo in un grembo femminile, adattarsi alla psicologia di una famiglia…dover rimparare a parlare, a camminare, a controllare i tre veicoli inferiori…il che gli avrebbe fatto trascorrere i primi 21 anni della sua vita tra grandi sofferenze… fino a che, finalmente, avrebbe ritrovato Se Stesso e iniziato probabilmente il Servizio… Rinascere sulla Terra voleva dire “delimitare” costringere lo Spirito in una gabbia di carne in un determinato spazio-tempo oggettivo; immergere le Acque Superiori in quelle inferiori… Pè da solo non riusciva e vederci chiaro; decise perciò di consultare la Dea della Vita, Eva, la Grande Madre, l’Ava.
Avendolo desiderato, immediatamente (come avviene sempre nei mondi sottili) Pè si trovò dinanzi alla Grande Madre e poté esporle il suo caso: voleva incarnarsi in “quella determinata epoca storica ma non vedeva da solo l’opportunità…poteva Lei aiutarlo?
“Ma certo Pè” gli rispose subito Eva, “Chi può offrire il veicolo “giusto” ad un Salvatore dell’Umanità? Solo una coppia di Salvatori! E sai bene quanto è difficile trovarne! Vieni, verifichiamo insieme se c’è questa possibilità nel periodo che ti interessa…no, nessuna coppia di Raggi Gemelli disponibili e svegli… vuoi aspettare quarantacinque anni?”
“No, no! Non posso assolutamente…e poi uno dei quei due Raggi Gemelli che dici sono Io, non lo vedi? Presto, presto fammi reincarnare, i miei discepoli sono già tutti nati e mi aspettano per il Servizio!!”
“Uh, quanta fretta! Credo proprio che dovrai adattarti. Il massimo che posso fare è cercarti una “spirale” giusta di misura, ma non sarà molto luminosa e i tuoi genitori non saranno Raggi Gemelli e nemmeno Discepoli sul Sentiero…ma perché vuoi scendere proprio ora? Speri magari in una bella crocifissione che ti faccia “Ascendere” subito? In questo particolare periodo sono numerosissimi i Messia falsi che passano per veri e la gente ormai ci ha fatto l’abitudine…un Messia vero lo prende per falso e non lo guarda neppure…”
“Non mi interessa fare il Messia come dici tu, né tantomeno essere crocifisso o altro…voglio solo completare il mio Servizio con i miei discepoli” ribatté Pè.
Eva allora non replicò più. Compresse la “Sapienza” e ne fece un semplice “punto-luce” e lo stesso fece con tutte le sue altre nove Stelle, poi indirizzò Pè verso un modesto vortice d’Amore né troppo grande né troppo piccolo, né troppo largo né troppo stretto (non era luminosissimo, giusto quanto bastava) e…via!!
Una leggera spinta e Pè il futuro maestro Zen fu concepito! Per lui era iniziata la vita sulla Terra, la grande DELIMITAZIONE.
Pè ne avrebbe attraversato tutte le fasi: Si sarebbe “delimitato” nella famiglia per i primi 14 anni. Ancora “delimitato” ma all’esterno, negli studi esoterici fino ai 28 anni.
Avrebbe “conosciuto” la delimitazione fino ai 35.
Sarebbe stato lieto di esercitarla fino ai 42.
L’avrebbe resa “dolce” per sé e per i suoi fino ai 49 nel Servizio vero e proprio cercando di insegnare tutta la “Verità”…
E poi?
Beh, poiché la “Verità” è l’argomento del 61° esagramma come finisce la storia di Pè… lo vedremo un’altra volta!!!

 

 

N.61  La Veracità intrinseca

 

Sigurd è finalmente giunto dinanzi alla fatale grotta marina, tra alcuni momenti vedrà al suo grande nemico: il Drago Fafnir. Di lui Sigurd non sa ancora nulla. Non sa ancora nulla perché non l’ha mai visto…e pur tuttavia sa tutto perché nelle sue lunghe peregrinazioni per terra, per acqua e per aria, ha raccolto su di lui tutte le informazioni possibili ed una cosa è certa, poiché su di essa tutti concordano: Fafnir è terribile.
Alcuni dicono che abbia tre teste, altri dicono dieci. Il suo corpo è come quello del serpente , loricato come quello del coccodrillo, ha le ali del pipistrello e gli artigli dell’aquila, le corna del toro, vive nell’acqua ma sputa fuoco… solo il suo fetore è mortale!
Ma perché Sigurd deve combattere il Drago?
Ma per ridiventare immortale!
La natura di Sigurd, come quella di tutti gli eroi è divina, ma c’è stato un brutto giorno in cui il Drago Fafnir è penetrato nel Regno degli Dei ed ha rubato la Perla Preziosa custodita nel forziere d’oro… quella Perla è quella che dà l’immortalità a Sigurd… così Sigurd è stato inviato dal Padre sulla Terra, dove si nasconde il Drago, per scovarlo e riprendergli la Perla. Sigurd è in viaggio ormai da anni; ha combattuto per terra,, per acqua e per aria ed è giunto dopo un infinito peregrinare, alla dimora di Fafnir: deve ora sfidarlo e vincerlo, altrimenti tutto, il sacrificio, la sofferenza, il duro vagare e combattere, tutto, sarà stato inutile.
Egli sa dunque che è arrivato per lui il momento della Verità. Sì, egli è di fronte alla sua Veracità intrinseca, di fronte alla sua morte. Di fronte al Grande Nulla. Sigurd sta per affacciarsi all’imbocco della Caverna ed è ancora pieno di dubbi: il Drago uscirà o dovrà affrontarlo proprio dentro la sua tana? E la “Perla” dove la terrà nascosta?
Si ode un gran boato, come un tuono vicinissimo, ma Fafnir ancora non appare…però il fetore è già insopportabile.
Sigurd ha indossato lo scudo d’argento per proteggersi ed ha in mano la spada d’oro per difendersi ed attaccare il mostro…
Ma non è pura follia quando si è diventati mortali combattere con il Drago soprattutto quando si è quasi dimenticato il perché della lotta?
Sigurd esita, sta per retrocedere quando… tra i bagliori infuocati della grotta scorge, legata alla roccia una donna bellissima, tutta nuda, che lo chiama per nome e invoca la liberazione…
Sigurd riconosce allora la Donna! E’ la sua promessa sposa, la principessa Seele, Ma come è finita in quell’orrido antro?
E’ mai possibile che il terribile Drago abbia potuto contaminare quella bellezza verginale, quello splendore immacolato?
I richiami e le invocazioni della Donna si fanno ora più forti e finalmente Sigurd oltrepassa la soglia della Caverna e la Donna gli parla: “Finalmente sei arrivato! Sono anni che ti aspetto.
Da quando hai lasciato il Regno di tuo Padre io ti ho seguito e sono andata raminga per il mondo senza mai raggiungerti… poi, una volta che camminavo sulla riva del mare chiamandoti disperatamente, perché il mio desiderio di te era immenso, dagli abissi è uscito il mostro Fafnir che mi ha rapita e imprigionata qui.
Liberami, te ne prego! Portami via con te. Io sono tua, sono parte di te…non puoi lasciarmi languire in suo potere…”
“Certo che voglio salvarti” Le rispose Sigurd “e voglio anche riconquistare la Perla dell’Immortalità! Ma “come” debbo affrontare il Drago? Dimmelo, se lo sai!”
“Vedo” seguita Seele “che tu hai con te la Spada d’oro, simbolo della vittoria sul mondo dell’aria:  è con quella che puoi sconfiggerlo; essa ha il potere del Verbo, usala nel modo corretto. Fafnir ha tre teste, colpisci la testa centrale tra gli occhi e subito dopo trafiggigli il cuore; non morirà, ma diverrà docile e obbediente; noi lo cavalcheremo…solo così potremo tornare a Casa… egli è parte di te, io l’ho imparato in questi lunghi anni di solitudine… eccolo che viene! Presto, presto, spezza le mie catene…”
Come Sigurd tocca con la Spada d’oro le catene di Seele, la Donna diventa Libera e nello stesso momento compare il Drago, Fafnir.
Finalmente Sigurd lo “vede”. Lo vede come parte di se stesso.
Lo vede come Bestia da domare e sottomettere, non come nemico da uccidere. E nel momento della Verità “conosce la Veracità intrinseca”: si conosce, Si conosce; il Drago diventa umile, restituisce la  Perla rubata, si fa cavalcare dal suo Vincitore e dalla sua Donna e li riporta, volando, nel Regno del Padre.

 

 

N.62  La Preponderanza del Piccolo

 

Het viveva in un soffocante e angusto appartamento di città presso un vecchio affittacamere; sapeva di essere un Principe ereditario, ma la sua reale condizione sociale in un clima di demagogia generale, che dava importanza solo al denaro a al successo materiale, non poteva certo essere tenuta in considerazione.
Egli cercava perciò di adattarsi alla sua situazione disagevole e cercava soprattutto di imparare quanto più possibile dalle lezioni che gli venivano da quello stato particolare. Ma come era arrivato in così bassa condizione? Beh, per la verità non lo ricordava esattamente, anche perché la cosa aveva purtroppo tutto l’aspetto di un sogno poco gradevole. In un giorno non molto lontano (ma non riusciva a ricordare quando) doveva aver fatto una scelta che l’aveva allontanato dalla Casa Paterna e… poi, invece di tentare di ritornarci subito, aveva iniziato una lunga peregrinazione di terra in terra, di gente in gente, di esperienza in esperienza. Più volte aveva deciso proprio di ritornarsene a “Casa”, ma non c’era mai riuscito perché “aveva smarrito la “Via”, “perduto il Sentiero” cioè aveva dimenticato “come”.
Ecco, per esempio, ora si trovava in quell’appartamento con quel vecchio: che cosa ci faceva là dentro? Non lo sapeva. Quel vecchio era per lui un vero enigma, pareva saperla molto lunga… a volte sembrava lì li per informarlo di come doveva fare per tornare nel suo regno… ma poi, niente, cambiava discorso improvvisamente; a volte era come se volesse trattenerlo apposta per farsi vanto della sua presenza con gli amici. …Già, poi quegli amici!! Strani personaggi davvero!
Sembravano circondare il vecchio di mille premure: gli portavano doni, parlavano di argomenti misteriosi, ma sempre, sempre con riferimenti all’ospite illustre e questo lo sapeva di sicuro, perché ogni volta che passava lodo dinanzi, smettevano i loro discorsi e lo guardavano stupiti, ammirati, quasi impauriti, ma certo sempre affascinati.
A Het però tutta quella curiosità, quell’attenzione dava fastidio, cosicché spesso se ne stava rinchiuso nella sua stanza senza farsi vedere per giorni, a studiare o a leggere o a suonare il flauto, che era una delle sue occupazioni preferite. Una volta che era in questo particolare stato  d’animo, annoiato da tutti e da ogni cosa, più nostalgico che mai della sua Patria e della sua Casa, il vecchio e i suoi amici presero a chiamarlo a gran voce perché partecipasse ad un loro banchetto e alla loro allegria; Het, chiuso nella sua stanza, dapprima non rispose, poi, persa la pazienza, urlò: “Andatevene via tutti, voi non siete la mia gente! Sono stufo di sentire le vostre sciocchezze! Basta!”
Nessuno ci crederà, ma in un battibaleno il vecchio, i suoi amici e il soffocante appartamento di città scomparvero. Het si ritrovò in mezzo ad una vasta pianura senza più casa. Essersi liberato del vecchio e della sua combriccola era una gran bella cosa, ma ora? Sotto quale tetto avrebbe dormito? Chi avrebbe provveduto ai suoi modesti pasti quotidiani? Mentre così rifletteva sulle sue disavventure, scorse sull’erba del prato una tartaruga che gli veniva incontro lemme lemme.
“Se desideri una casa tua, perché non te la costruisci? Così lo apostrofò la tartaruga. Het rimase stupito assai, era la prima volta che sentiva parlare una tartaruga…ma quella era tutta una situazione straordinaria!
“Certo, me la costruirei volentieri da me una casetta, solo che non so a chi rivolgermi…sai, io sono un Principe, non so fare le cose comuni…”
“Lo so che sei un Principe, altrimenti non potresti comprendere il mio linguaggio. Per farti consigliare vai dal Grande Architetto” Replicò la tartaruga. “Ma dove si trova il Grande Architetto?” Domandò ancora Het.
“Desidera essere alla Sua Presenza e Lo vedrai” Concluse la tartaruga e dopo un attimo, non c’era più.
Het allora desiderò di essere alla Presenza del Grande Architetto e subito si trovò dinanzi ad un Tempio immenso: in piedi, tra le due colonne Jachin e Boaz il cui significato è (Dio) decide con forza, il Grande Architetto lo aspettava.
“Het, finalmente ti sei deciso! Costruire la tua casa è l’unico modo per tornare a Casa. E’ così semplice!”
“Allora te ne occuperai Tu della mia nuova abitazione?” chiese Het.
“Io? No davvero! Mio caro, devi tu diventare piccolo operaio e costruirtela.
Proprio da te stesso. Ti avverto pure che è un lavoro molto faticoso e  pericoloso per chi non ha esperienza… tuttavia, poiché sei “Principe” ti darò le quattro regole fondamentali che ti serviranno da guida:

1)  Conoscere

2)  Osare

3)  Fare

4)  Tacere.

Inoltre, data la tua modesta condizione del momento, tieni presente questo: Si facciano pure cose piccine, non si devono fare cose grandi, Propizia è perseveranza. Non è bene aspirare verso l’alto, è bene rimanere in basso. Gran Salute.”
Così detto, in Grande Architetto congedò il Principe ora “piccolo operaio”. Het non aveva mai pensato che il Grande Architetto regalasse case a chi le desiderava, perciò  conoscere le quattro regole fondamentali gli parve già un ottimo inizio; ovviamente doveva studiare, doveva “vedere” come erano costruite le altre piccole abitazioni dei Principi; doveva scegliere il progetto “giusto” e prendere familiarità con tutti quegli accorgimenti che fanno le case funzionali e funzionanti…dedicò sette mesi alla prima regola, esplorò tutta la campagna circostante e, ovunque fosse una piccola casa abitata da un Principe, chiedeva ospitalità: si informava sui costi di costruzione e di manutenzione, disegnava schizzi degli ambienti che lo attiravano per la loro semplicità e bellezza… poi venne il giorno in cui decise di  osare.
Acquistò il terreno; ordinò il materiale e, avutolo, lo dispose in bell’ordine sul terreno, in modo da non ingombrare la zona destinata alla costruzione; ovviamente aveva ordinato pietre e calce. Con squadra e compasso misurò le pietre, poi le tagliò e le unì con la calce e tutto da solo, perché non aveva la possibilità di far fare il lavoro ad altri. La costruzione che stava venendo su era davvero modesta, ma un Principe in esilio deve sapersi accontentare!
La cosa veramente importante era la funzionalità e la perfezione dei particolari, Het li curava con grande attenzione.
Il suo fare durò sette anni. Al termine di quei sette anni, ecco come si presentava la sua casa: un portico con due colonne, che riproducevano in piccolo quelle viste ai lati del Grande Architetto; oltrepassato l’atrio si penetrava in una stanza circolare, adibita alla Devozione: vi ardeva una lampada argentea; all’interno di quella prima stanza era situata una seconda stanza anch’essa circolare destinata alla Contemplazione, Vi ardeva una lampada dorata; una terza stanza, all’interno della seconda era ancora in preparazione in quanto, pur avendo costruito la parete che la delimitava e la porta per l’accesso, Het non c’era ancora mai entrato.
Quando la prima e la seconda stanza furono del tutto terminate, comparve una scritta sull’ingresso della terza stanza:

“Ciò che è in alto è come ciò che è in basso.

Ciò che è in basso è come ciò che è in alto

Per fare il miracolo della Cosa Unica.” (1)

Het attese ancora sette giorni prima di entrare.

In quei sette anni, sette mesi e sette giorni Het si era trasformato: aveva riconciliato in sé tutti gli opposti: l’attività e la passività; il piacere e il dolore; il caldo e il freddo; l’andare e il venire; la ricchezza e la povertà; l’alto e il basso; si era equilibrato: ora ricordava quasi tutto del suo stato regale. Entrò allora nella parte più interna della sua Abitazione, nel Santo dei Santi del suo Tempio e finalmente nel più aureo Silenzio si ritrovò nella sua Patria, nella casa Paterna, nel suo Regno.

(1) Tavola di Smeraldo

 

 

N.63  Compimento

 

“E dopo aver ricevuto l’aceto Gesù disse: “Tutto è compiuto” e, chinato il capo, spirò” (Gv. 19,30) Compiuta la sua missione. Compiuta la sua vita terrena.
Compiute le profezie. Ma non ancora compiuta l’Opera. Gesù compirà l’Opera con la Resurrezione e l’Ascensione; al termine dell’Opera non sarà più visibile ai discepoli e avrà lasciato i tre piani della Manifestazione (fisico, astrale, mentale) per riunirsi al Padre; quindi non ci sarà più per Lui un “dopo il compimento” né tanto meno un altro “Prima del compimento” (64° esagramma dell’I King) a ricominciare il “mutamento”…
Dunque dobbiamo distinguere tra quello che “compiuto” richiama un nuovo inizio e quello che è definitivamente e ineluttabilmente concluso. Tutti  i “compiuti” in manifestazione (escluso il compimento dell’Opera di cui abbiamo portato l’esempio con il Maestro Gesù) hanno insito in se stessi il nuovo inizio. Un giorno è terminato, è mezzanotte: tra poco sorgerà l’alba del nuovo giorno; un lavoro si è concluso con la parola “fine” (un romanzo, un film, un palazzo, un abito, un esperimento ecc.), se ne comincerà un altro, perché la vita continua e tutto si trasforma…
“…ma allora, ‘sta favoletta sul compimento, quando arriva?” mi sento dire da più parti… Uh, quanta fretta!! Se l’avessi già terminata, dovrei cominciarne un’altra, dunque…! Ma sì, vi racconterò una storia, la storia di un personaggio “favoloso”, ovviamente… la storia di “Compiut”…”
C’era una volta un ragazzo strano il cui nome era Compiut; era un giovane di bell’aspetto, gli mancavano solo i capelli. Che erano tratteggiati e visibili, ma non di sostanza “reale” come tutto il resto del corpo…un ragazzo nel complesso molto simpatico…
Ma che vedo intorno a lui? Una folla di altri strani personaggi più o meno sagomati, più o meno rifiniti, più o meno belli…sicuramente “precipitati” di “cose” cominciate e non finite, sicuramente “personaggi” che stanno pungolando e annoiando i loro autori per avere un “compimento”…ma questi fanno parte di altre storie, di favole che racconteremo forse un’altra volta!
Dunque torniamo a Compiut: è qui davanti a noi, ansioso di presentarsi, di raccontarci qualcosa di sé!
“Buongiorno, Compiut, che cosa fai qui? Quando sei nato? Quando diventerai tutto compiuto?”
“Buongiorno a te” mi risponde Compiut “Che domande mi fai! Come se no conoscessi le risposte! Sono qui perché mi hai chiamato. Sono nato da te quando hai iniziato a scrivere i racconti dell’I King e morirò quando li finirai. Sono un’esigenza di Inizio e un tormento di Fine.
In realtà sono tuo figlio, parte della tua vita.
Sono come un bambino in carne e ossa:  corro verso la morte. Che fa un bambino? Nasce e cresce e quando comincia a “capire” (si fa per dire, ovviamente, perché i bambini capiscono sempre tutto, anche troppo) allora non vede l’ora di essere e diventare  grande, poi di finire la scuola, di avere un lavoro e di sposare, poi di avere a sua volta figli (per una sete di immortalità terrestre a cui difficilmente sa rinunciare) per vederli grandi e sistemati onde perpetuare il ciclo… insomma per tutta la vita egli non fa altro che inseguire la sua morte, il suo “Compimento” vitale…
Certo, per noi figli della fantasia (racconti, poesie, quadri, musiche ecc.) è alquanto diverso… noi non possiamo avere figli nostri direttamente, ma anche noi possiamo in qualche modo avere “eredi”…quando siamo “fecondi”. Allora diventiamo come semi, che piantati nella mente di chi ci legge, ci guarda o ci ascolta, possono germogliare a loro volta altre poesie, altri racconti, quadri o musiche… perché di ciò che è “fertile”, nulla si cristallizza, ma tutto si rinnova… Ecco, vedi, a ben pensarci, anche la Manifestazione, l’opera del Creatore è tutta un enorme Compiut…
“Ma insomma, che vieni a dirmi,” lo interrompo “che tu sei alla fine un piccolo “universo”? Non ti pare un po’ tanto presuntuoso?”
“Per niente! Hai detto proprio bene: io, Compiut, sono come un piccolissimo universo, specchiatura di te, Compiut, che sei un piccolo universo, specchiatura del tuo Sé, Compiut, che è un universo, specchiatura del Grande Sé, Gran Compiut, che è un Grande Universo…e non dico la Parola al completo per non correre in qualche modo il rischio di vedere sparire tutto…”
“Basta, basta, Compiut, fermati! Non dire altro… non puoi dire altro!!
A sentire te, io allora non dovrei finirti,  “Compierti” per non farti morire…sciocchezze! Io ti “compirò” e poi…poi, se mi andrà, inizierò un altro lavoro sull’I King, magari una serie di 64 lezioni-spettacolo, per continuare il gioco, fino a che ne avrò voglia!”
“E’ quello che fa con te il tuo Sé” riprese dolcemente Compiut, “quando ha finito, se ne fabbrica un altro; credo sia questo il motivo per cui non compie l’Opera, perché altrimenti Gli finisce il giuoco…”
A questo punto metà dei capelli di Compiut cominciano a prendere consistenza; sono biondi e morbidi, setosi, belli, si possono già toccare.
Ci guardiamo a lungo negli occhi, Compiut ed io…sì, lui ha un po’ paura di “morire”… ma via, non tanta! Certo quando l’avrò finito, dovrà proprio svanire, ma non è ancora quel giorno; forse sarà nel prossimo mese... Sono già più di cinque anni che stiamo insieme. Ogni mese gli ho costruito un po’ di personalità, ora gliene manca un sessantaquattresimo: ancora un po’ di capelli e… il libro “I Racconti dell’I King” sarà 
COMPIUTO.

 

 

N.64  Prima del Compimento

 

Nel Monastero Zen c’è una certa agitazione…in un monastero Zen per la verità non dovrebbe mai esserci agitazione, ma poiché, lo sappiamo tutti, l’eccezione conferma la regola, proseguiamo: …nel Monastero Zen, è un pomeriggio di domenica, c’è una certa agitazione: si deve dare uno spettacolo; gli spettacoli sono ovviamente spettacoli Zen e servono a far conoscere nel circondario che in “questa” sede si può diventare Zenisti. I monaci arrivano da soli o a gruppetti di due o tre; sono in tutto sedici, un numero certamente molto, molto cabalistico… Eccoli dunque, ve li presentiamo in ordine di arrivo nel tempo: Marz e Franz, Rauz e Elez, Ubaz e Letz, Natz e Fioz, Marcz e Rosz, Silz e Paoz, Mauz e Paolz, Patz e Gioz.
Che genere di spettacolo devono rappresentare?
A dire il vero non lo sanno neanche loro!
Perché? Perché è “Prima del Compimento”.
Sanno solo che devono dare una qualche rappresentazione per l’onorevole pubblico ed è tutto.
E chi è questo pubblico? Questo possiamo dirlo subito: è uno sparuto gruppetto di ospiti che (probabilmente alzatisi con la luna di traverso) sono incappati in un annuncio di giornale con un invito insolito e stuzzicante  e che ora ingenuamente sperano in un pomeriggio di divertimento domenicale… Eccoli che bussano alla porta del monastero.
Toc-toc.
“Chi sei?” Viene chiesto immancabilmente ad ogni visitatore ma quasi nessuno sa la Risposta…
“Sono un ospite e vengo per lo spettacolo gratuito”
“Sali, ma preparati a ricevere un colpo Zen…”
“Come, non avete promesso uno spettacolo con musica e poesia e letture?”
“Ma sì, ma sì! Però è uno spettacolo per pochi, per creature fuori del comune, per esoteristi, insomma!!”
“Io non sono un esoterista, grazie a Dio.”
“Allora va via, questo non è posto per te.”
E i più se ne vanno… ma a volte qualcuno azzarda: “Io voglio vedere questo vostro spettacolo”.
“Dunque rimani, a tuo rischio e pericolo”. Gli viene detto. Se l’ospite rimane, soffre per un po’ e poi parte. Salvo eccezioni.
Le eccezioni sono costituite da quei personaggi “strani” che restano, tornano più volte e diventano monaci e danno spettacolo al pubblico…
Ora ve li presento ad uno ad uno e per farlo li colloco (si fa per dire) sull’Albero Cabalistico, affidando ciascuno di loro ad una Sephirah, cioè ad una particolare emanazione Divina, disponendoli di conseguenza sul Gran Palco per la Sacra Rappresentazione.
Cominciamo dal Kether: l’Antico degli Antichi da cui promana l’Albero non può essere che Ubaz, saggio ed austero, armoniosa mescolanza di cristica astrologia e Parsismo. Scendendo con la Shekinà in Chockmah troviamo Silz, il Grande Padre, capo della colonna di destra, teologia e regia fuse mirabilmente in un composto pieno di simpatia ed entusiasmo. Quale Grande Madre Binah, in cima alla colonna di sinistra abbiamo Paoz, la cabalista di ottima scuola e grande versatilità artistica.
Scendiamo ancora: incontriamo tosto la Sephirah occulta Daath; se la consideriamo terra di Atziluth e togliamo il velo, riusciamo a scorgere Marz, la Coscienza dell’Albero nella sua esatta funzione ultradecennale, se invece la consideriamo come fuoco di Briah allora ritroviamo in Essa celato Natz, il super-intuitivo-musical-poeta.
In Briah non potevamo che collocare Mauz e Paolz, l’uno su Chesed e l’altra su Geburah, quali aria ed acqua del mentale in bilanciata complementarità e coagulazione spontanea di un teatro No di fatto.
Poi, come ognuno ben sa, la Shekinà scende in Tiphereth: la terra di Briah accoglie Patz quale concentrato di razionalità tutto ispirato alla Bellezza del Cuore dell’Albero, mentre il fuoco di Yetzirah (estrosa contrapposizione) l’accomuna a Fiorz, impalpabile essenza floreale di profumo sentimentale…
In Yetzirah i “luoghi” di Netzach e Hod vengono occupati dai musicisti Gioz e Letz che per la fantasmagoria del piano ad essi relativo si vedono e non si vedono, eppur ci sono!
Al Fondamento Yesodico attribuiamo Marcz quale terra di Yetzirah e Rosz quale fuoco di Assiah con il dolce invito a non rimaner nell’atrio, ma ad entrare nel Tempio lavorando, lavorando, lavorando…
E giù, giù in fondo all’Albero poniamo Rauz ed Elez e Franz, come Malkuth, Base, Pietra dell’intero albero Cabalistico…
Dunque, venerabili monaci, siete soddisfatti della vostra collocazione sul Palco? Avete 60 giorni (60 mesi, 60 anni ecc.) per presentare il ricorso regolamentare… 60 = 10 x 6 = un intero albero (10) per il Bivio (6), vale a dire: avete modo di mettere in “dubbio” la sostanza e i particolari della vostra “parte”… come è ovvio e doveroso in un Monastero Zen assolutamente “Vuoto e senza Santità”!
Ma… per poter mettere in dubbio l’Albero offerto e stabilirne un altro, dovrete intanto rappresentarLo e dare Spettacolo…
Coraggio Signori, è tempo!
Lo Spettacolo ha inizio!
Si apra il Sipario!!
(applauso)