Racconti
57-64
N.57
Il
Mite
Nel
monastero Zen si svolgeva la solita riunione quattordicinale; toccava ad
uno dei monaci coordinatori parlare sull’argomento del giorno,
tema-koan: “il Mite, il Penetrante, il Vento”.
Il monaco, il cui nome era Fàzeta,
leggeva già da un po’ la sua piccola relazione, quando, ad un certo
punto, comparando il testo taoista col glifo cabalistico, disse:
“Attribuzione sephirotica del
Mite, Gheburah!”
Gli altri monaci si guardarono l’un l’altro in modo molto
significativo, ma nessuno intervenne; era la regola non interrompere il
fratello nell’esposizione del suo lavoro. Però, come Fàzeta ebbe
terminata la sua lettura, Ixzeta, uno dei monaci più impertinenti,
subito si alzò e gli domandò: “Come giustifichi l’attribuzione di
Gheburah, il cui pianeta è Marte e le cui caratteristiche sono
marziane, al Mite, che di per sé significa dolce, sottomesso, umile,
mansueto?”
Il monaco coordinatore subito gli regalò un bel sorriso: “Ti
ringrazio, fratello, per aver posto questa domanda che aspettavo e che
mi era necessaria. Ora lascia che ti racconti una favoletta, ti
risponderò con essa: c’era una volta un samurai espertissimo
spadaccino che si era posto al servizio di un gran Re. Questi, senza
nemmeno accertarsi della sua abilità, l’aveva tenuto presso di sé,
ma il tempo era passato e non gli aveva mai proposto di combattere. Dopo
alcuni mesi di inattività, Gheb, tale era il nome del samurai, domandò
udienza al suo Sovrano.
“Sono sette mesi che sono entrato al tuo servizio, mi sono allenato
tutti i giorni dalla mattina alla sera, ma Tu non mi hai mai chiesto di
combattere. Io sono pronto, lascia che ti dimostri la mia bravura
davanti a tutti.”
“Ho sorvegliato il tuo allenamento e le tue esercitazioni” rispose
il Re “e benché tu sia adatto per il mio combattimento, non sei però
ancora veramente pronto. Vuoi sapere perché? Sei ancora arrogante e
presuntuoso. Torna tra sette mesi.”
Dopo sette mesi Gheb si presentò di nuovo al Re:
“Eccomi” Gli disse, “questa volta la mia preparazione è perfetta
e Tu mi lascerai combattere; sono a Tua disposizione”.
“No, non ancora” Rispose il Sovrano, “tu credi di essere pronto,
ma hai ancora lo sguardo battagliero e il temperamento collerico…
torna tra sette mesi!” Gheb rimase molto male a sentirsi trattare a
quel modo, tuttavia si preparò ancora meglio e dopo sette mesi tornò
dal Re.
“Eccomi ho fatto di tutto per essere come Tu mi vuoi…posso
combattere per Te ora?”
“No, non ancora” gli replicò il Re, reagisci alle ombre e agli
echi… torna tra altri sette mesi!”
Il povero Gheb non sapeva più che cosa fare, ma ormai era deciso a
spuntarla, voleva a tutti i costi cimentarsi in quel terribile
combattimento che era il più impegnativo della sua vita.
Passati i sette mesi, tornò un’altra volta dal Re.
E questa volta non disse nulla.
Si presentò solamente.
“Ora ci sei” disse il Re. “A vederti sembri un Samurai di legno.
La tua Virtù è completa. Un Samurai che non è come te, non oserà
farti fronte e fuggirà”.
Terminata la favoletta, Fàzeta diede un’occhiata soddisfatta in giro
e, rivolgendosi a Ixzeta disse:
“Chiaro adesso l’accostamento Mite-Gheburah?”
“Chiarissimo” rispose Ixzeta “tuttavia questa storiella mi sembra
tanto il rifacimento del famoso “Gallo da combattimento” di Lieh-tzù…”
“Certo” riprese il monaco coordinatore, “è esattamente il 34°
capitolo del “Primo libro della sublime virtù del cavo e del vuoto”
rivisto e corretto apposta per te… ma se questo non ti è sufficiente,
ti posso ancora dire che la Sephirah Gheburah diventa la più completa
Mitezza allorché collassa nel suo Kether…è allora che si trasforma
in Forza non Forza, la Vera Forza, in Marte non Marte, il Vero Marte…
Fàzeta tacque, ma guardando Ixzeta capì di non averlo soddisfatto del
tutto; allora si rivolse a tutti i monaci e disse: “Adesso vorreste
sapere qualche cosa di più
sul Vento e la sua penetratività, vero?”
Andò alla finestra e l’aprì; disse due paroline a “qualcuno”
che nessuno dei monaci che era nell’aula poté vedere, poi tornò
al suo posto.
Subito un venticello leggero leggero, una brezza primaverile cominciò a
fluttuare nell’aria, portando con sé un profumo di glicine e di
gardenia di una soavità incredibile…
Come divenuto una unica entità, il Gruppo dei monaci si dispose in
cerchio perfetto. Il Verbo scese in mezzo a loro e il Silenzio parlò ai
loro cuori: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno
dei Cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti,
perché erediteranno la terra…”
N.58
Il
Sereno
Moon
era un eremita e la sua capanna se l’era costruita sulla riva di un
laghetto di montagna. Dopo una vita assai movimentata, giunto al 49°
anno di età, aveva deciso di ritirarsi dal mondo: era già un anno che
si trovava in quell’incantevole solitudine, alla ricerca della
“Serenità”… ma purtroppo, ancora non c’era arrivato. Per due
volte il suo Maestro Zen era venuto a trovarlo e tutt’e due le volte
gli aveva chiesto:
“Moon, “Ci” sei?” Lui aveva risposto: “Sì, ci sono”.
Ma il Maestro per due volte aveva scosso il capo: “No, non ci sei”.
E se ne era andato.
Ora certo sarebbe tornato per la terza volta e gli avrebbe di nuovo
chiesto se “C’era” e lui sì, era lì, ma non “C’era”, non
ancora. Che cosa avrebbe dovuto fare? “Dove” avrebbe dovuto essere?
Lo stare un anno in eremitaggio non era la causa dell’esserCi o non
esserCi…. Ma poi! EsserCi o non esserCi “dove”?
Ma nella Serenità, nella Vita Reale, nel Tao, ovviamente!!
Tutte belle parole inutili e contraddittorie…perché esserCi veramente
significa in Realtà proprio Non EsserCi! E Serenità, Vita Reale e Tao
sono termini assolutamente inadeguati per esprimere la Divinità.
Però…
Il “Sereno” è una parola magica (tutte le parole sono magiche), già
solo pronunciarla ti dà la sua essenza.
“Io Sono il Sereno”. Essere l’essenza del Sereno, un lago limpido
come quello che si vede qui, senza ombra d’increspatura, chiaro e
puro…ecco” pensava Moon, “poniamo il caso che io ormai “Ci”
sia (visto che in effetti tutti “Ci” siamo, ma non lo sappiamo)
allora che cosa succede? Immediatamente una colonna di “Discepoli”
sale subito fin qui, tutti pronti a specchiarsi in questo mio
“esserCi”…” Mentre Moon così ragionava tra sé ecco arrivare
per la terza volta il Maestro Zen, ma non solo: era accompagnato da una
schiera di undici monaci e nove ospiti, in tutto venti persone giuste.
Moon non credeva ai suoi occhi.
Il Maestro disse: “Siamo qui in visita per parlare con te del Koan su
“Sereno”, vuoi ospitarci?”
“Certamente”, rispose con entusiasmo Moon, “sono ben lieto di
accogliervi qui, di fronte a questo bellissimo lago, prego
accomodatevi.”
Tutti si sedettero in terra e formarono un cerchio.
“Parlaci della Serenità”, disse allora il Maestro a Moon. Moon
stette un attimo come in sospeso, poi come ispirato, disse: “Il Sereno
è allegria; essere il Sereno vuol dire armonizzare col Tutto e con
tutti, essere limpidi, chiari, puliti …” “E’ un buon inizio”,
disse il Maestro, “prosegui…”
Ma uno degli ospiti era strano, nervoso, agitato. Cominciò a muoversi,
a sbracciarsi, a parlottare, rifiutando di partecipare all’unità del
gruppo coll’attenzione, il silenzio, la concentrazione. Moon, quale
ospitante, capiva di dover intervenire e guardava il Maestro per
consiglio, ma il Maestro pareva essere altrove, in quel momento… Moon
sentiva crescere il disagio, alla fine si decise: “Se io sono il
Sereno, posso fissare l’ospite importuno e, nel linguaggio muto che
tutti, più o meno, conoscono, comandargli di essere “sereno” e di
stare tranquillo…” Ma la reazione dell’ospite indisciplinato fu
violenta, aggredì Moon: “Tu mi guardi in modo ostile perché non ti
obbedisco… ma io non sono venuto qui per obbedire a chicchessia, sono
venuto solo per vedere e sentire, comportandomi come più mi
aggrada…”
L’atmosfera ora non era più tanto “serena”; sembrava che un
nuvolone si fosse addensato sul lago…
Moon aspettava… Alcuni altri monaci intervenirono: “Se vuoi
partecipare ad un lavoro di gruppo, ti devi adattare alle consuetudini
del gruppo stesso: “In Roma do as the romans do (a Roma fa quello che
i romani fanno)” disse un primo monaco.
“Forse hai pensato di trovate quassù un conferenziere pronto ad
ampliare la tua cultura, hai sbagliato località…” disse un secondo
monaco.
“Hai magari creduto per un momento che, sedendo in circolo, ci fosse
un vantaggio per la “circolazione del sangue”…è pur vero, ma non
in senso fisiologico…” disse un terzo monaco e tutti i presenti
scoppiarono in una grande risata! “Moon, perché non interpelli
l’oracolo sulla situazione?” propose un quarto monaco. Moon stava
“sentendo” il Sereno…“Sì” gli rispose, “ma solo se tutti
mi promettono silenzio completo, attenzione e concentrazione; solamente
a queste condizioni potrò interpellare il “Vecchio”. In meno di due
secondi il silenzio fu totale, anche l’ospite nervoso e ribelle si
acquietò: era curioso di sentire cosa avrebbe detto il “Vecchio”.
Bruciato l’incenso di rito, furono tirate le monete per il responso
oracolare. Il “Vecchio” disse:
“Laghi poggiati l’uno sull’altro: l’immagine del Sereno. Così
il nobile si riunisce con i suoi amici per discutere e per imparare.
Al Sereno ci si può arrivare da ogni esagramma, ma in questa situazione
consulta la Dissoluzione e il Procedere.”
Furono consultati gli esagrammi della Dissoluzione e del Procedere; al
termine della lettura Moon guardò il Maestro e finalmente con-prese: il
Sereno era accettare l’altro così come era, senza reagire, senza
respingerlo, senza violentarlo: dissolvendolo, solvendolo. Questa è la
Riuscita, propizia per perseveranza. No, non era facile; per essere il
Sereno, bisognava esserCi davvero!! Il Maestro glielo aveva portato
apposta quell’ospite strano e inadatto… Il Maestro guardò Moon:
“Adesso Ci sei”.
Moon si alzò e gli si inchinò.
In cielo era sorta la luna e ora si specchiava nel lago. Monaci e ospiti
erano andati via tutti: Moon rientrò nella sua capanna.
N.59 La
Dissoluzione
Net
e Zack erano una coppia di ricercatori e vivevano in campagna;
tranquilli, nessuno li disturbava: leggevano, studiavano,
sperimentavano… la loro vita si svolgeva senza imprevisti, senza
particolari difficoltà, senza contrasti. Si volevano molto bene, forse
da secoli, e cercavano sempre di prevenire i desideri l’uno
dell’altro.
Un bel giorno, mentre passeggiavano in giardino, discutendo
sull’Amore, tema inesauribile e affascinante, udirono un gran
frastuono; in un attimo la quiete della loro casetta si scosse, traballò
e si frantumò: dal cancello del giardino
irruppe una folla eterogenea di personaggi… erano una ventina,
vestiti nei modi più strani… invadenti, ciarlieri, sembrava gente
mascherata o gente di teatro…
“Ma che cosa volete” chiese Net “chi vi ha chiamato?”
La folla dei personaggi non rispondeva; era entrata e ora invadeva
tutto: casa, terrazza, giardino, garage… pareva che quelli nemmeno
vedessero i padroni della villetta: giocavano, discutevano, mangiavano i
frutti degli alberi, urlavano, litigavano, si rappacificavano, tutto in
una gran confusione, in un caos totale! Net e Zack, inorriditi si erano
ritirati in un angoletto del giardino a parlare tra loro per decidere il
da farsi.
“Dobbiamo chiamare la polizia, dobbiamo difenderci da questa
masnada… dobbiamo fare assolutamente qualcosa” diceva Zack…
Intanto si erano avvicinati al telefono esterno e stavano per chiedere
aiuto quando…udirono una voce potente…La Voce:
“Ma li avete guardati bene questi strani personaggi?”
“Sì, certo” risposero i due all’unisono.
“Forse li avete guardati, ma non li avete visti” replicò La Voce.
Net e Zack riagganciarono il telefono e si affrettarono a rifare il giro
della casa e del giardino per “vedere” quei personaggi…
Tutto era occupato, tutto invaso da quella gentaglia…parevano tutti
matti…ma…ma…Ma no! Uno solo era proprio matto: seduto in terra
canticchiava giocherellando con un mucchietto di stracci, un bastone e
un gatto selvatico… quella strana creatura era un Matto, il Matto, il
Matto dei Tarocchi!!!
E allora finalmente Net e Zack riconobbero tutti gli altri: la Verità,
che vestita di velo si trastullava con i quattro elementi; l’angelo
del Giudizio sempre lì lì per suonare la tromba; un signore imponente,
bello come il Sole e una delicata fanciulla, dolce come la Luna; Eva
delle Stelle e il Principe della Torre; il Diavolo con i suoi due
diavoletti; l’angiolone della Temperanza sempre pronto ad innaffiare
qualcuno o qualche cosa; la Morte con la falce; l’Appeso sempre a
testa in giù; la Forza che strapazzava il povero leone; un aggeggio a
forma di Ruota con sopra due bestioni; l’Eremita con la lanterna, la
Giustizia severa, il Guerriero sul Carro e poi ancora l’Innamorato
indeciso, il Papa e l’Imperatore sui loro troni; l’Imperatrice e la
Papessa inarrivabili…infine il Bagatto. Quella compagnia di gente
erano i 22 personaggi dei Tarocchi……le 22 carte dei Trionfi che
avevano fatto irruzione nella casa di Net-Zack…
“Che cosa dobbiamo fare’” si chiesero i due preoccupati;
“riprendiamo il telefono in mano, forse la Voce ce lo dirà!”
Propose Net.
“Non è necessario” rispose Zack, “noi, quando questa storia è
cominciata, stavamo parlando dell’Amore, vero? E’ questa la chiave
per risolvere il nostro problema: l’Amore:
Dobbiamo far amare questi nostri personaggi, queste nostre qualità,
fino a che non si “sciolgono” di DISSOLVONO…l’una
nell’altra…”
“Certamente è questo che dobbiamo ottenere” concordò Net, “ma
come? Come operare?”
“Sono convinta” riprese Zack “che essi, i nostri personaggi, non
si conoscono affatto fra di loro,
perché,
se si conoscessero bene, si unirebbero a due a due formando le coppie
complementari, “giuste”; a qual punto l’Amore ne farebbe un cosa
sola, la Cosa Unica ed essi si dissolverebbero. “Vogliamo provare ad
unirli noi?” Propose Net “Per alcuni di essi non ci sono dubbi.
Facciamo così: tu cerchi i personaggi maschili, io quelli femminili,
poi li conduciamo dinanzi all’Albero del Fico, se la coppia è
“giusta”, scomparirà subito. Cominciamo dai più facili.”
Net
andò a prendere per mano la Papessa, Zack il Papa e, proprio come
sperato, i due, dinanzi all’Albero della Bodhi,
dell’illuminazione…via! Si dissolsero nell’aria!
“Hai visto? Funziona!!! Gridarono Net-Zack all’unisono. Presero per
mano lui l’Imperatrice, lei l’Imperatore e subito anche la seconda
coppia sparì; poi fu la volta del Sole e della Luna…anche quelli…pfui!
In un attimo non c’erano più. “Ma se sbagliamo a metterli insieme
che succede?” Chiedeva intanto Zack; “ma niente, che vuoi che
succeda, restano lì e non si dissolvono” rispondeva Net.
“Secondo te quale è la lamina complementare del Bagatto, la Forza?”
Riprendeva Zack.
“No, no, per me e la Verità; non comprendi che i quattro elementi che
lui vuole dominare, lei li ha già tutti intorno armonizzati? Dai,
proviamo così” rispondeva Net.
Come il Bagatto ebbe tra le braccia la Verità, immediatamente svanì
con lei. Ormai gli invasori erano quasi dimezzati, ma quelli rimasti non
sembravano adatti a formare coppie “giuste” come indurli ad amarsi
per dissolverli? Net propose di unire il Guerriero del Carro con la
Forza e Zack dopo una lunga riflessione l’Eremita con la Morte; anche
questi quattro personaggi in breve sparirono dal giardino.
“Le lamine che mi preoccupano di più sono il Diavolo e il Principe
della Torre”, riprese Net, che non vedeva l’ora di tornare alla pace
e al silenzio usuali “azzarderei un tentativo di sintesi tra il
Principe e la Giustizia… se il Principe diventa giusto costruisce il
tempio, non la Torre”.
Portarono dinanzi al Fico il Principe e al Giustizia, ma i due si misero
a discutere di leggi e non scomparvero…
Zack allora disse: ”Proviamo ad accostare la Torre alla Ruota della
Fortuna…la struttura delle due carte è molto simile… in men che non
si dica i due bestioni della ruota si trasformarono in due belle
fanciulle: il Principe e il suo Architetto le abbracciarono e…via
tutti e quattro!.
“E dell’Innamorato che cosa ne facciamo? Io sono sicuro” affermò
Net “che Eva, la Vita è la sua vera compagna, proviamo a vedere?”
Appena l’Innamorato dinanzi all’Albero della Bodhi riconobbe la sua
Eva, immediatamente lasciò le due donne rivali, si unì a lei e
scomparve (anche le due donne si dissolsero nell’aria).
Siamo quasi alla fine” disse Net “ma questo Diavolo che mi gira
intorno mi dà proprio fastidio…a chi lo affidiamo? Alla Giustizia?
No. All’Angelo del Giudizio? No, no! Sai che ti dico? Tocca
all’Angelo della Temperanza occuparsi del Diavolo…specialmente se
poi risulta una Diavolessa! Diavolo e Temperanza si dissolsero
anch’essi come i loro predecessori. Nel giardino ora passeggiavano
solo quattro “figure”: il Matto, la Giustizia, l’Appeso e
l’Angelo del Giudizio.
Net e Zack li condussero dolcemente tutti e quattro sotto l’Albero
fatidico: il Matto (che era poi una Matta) aiutò subito l’Appeso a
scendere dalla scomoda posizione e l’Angelo del Giudizio accolse tra
le nuvole ovviamente la Giustizia…e non rimase nessuno!
Net e Zack erano di nuovo finalmente soli: si guardarono negli occhi…
“Sai che cosa dobbiamo fare, vero?” disse Net “ora che abbiamo
dissolto tutti i nostri Tarocchi, non ci resta che dissolvere noi
stessi, allora l’Opera sarà compiuta”. Tutto l’Amore realizzato
dalle undici coppie era là, sotto quell’Albero del Fico. Net e Zack
si abbracciarono e…
L’Universo tutto si DISSOLSE intorno a loro:LORO
RESTARONO
N.60
La Delimitazione
Pè
dall’alto dei Cieli guardava con insistenza la Terra. Era un bel po’
che spiava il momento adatto per reincarnarsi, ma l’occasione non era
mai quella giusta.
La spirale energetica formata dalle coppie in amore non era mai
favorevole…ora troppo larga, ora troppo stretta, ora troppo lunga, ora
troppo corta e mai, mai abbastanza luminosa! E così Pè aspettava ormai
da un mucchio di tempo…ma sappiamo tutti che il “tempo” dei mondi
sottili è soggettivo e quindi forse non era poi nemmeno tanto che
aspettava! Pè era stato quell’anno (si fa per dire, ovviamente) uno
degli allievi più bravi del 4° Astral-mentalico, aveva dato l’esame
finale e dopo aver brillantemente dimostrata la tesi “Validità
Assoluta del Gioco della Manifestazione come Danza Divina”, aveva
potuto finalmente scegliere tra rinascere sulla Terra come un
Reincarnato (Salvatore dell’umanità) oppure occuparsi di qualche
mansione direttiva (dopo un breve tirocinio) su uno dei pianeti
allineati della Galassia (pianeti allineati sono quelli aderenti alla
Collaborazione Galattica, abitati da esseri evoluti che hanno rifiutato
di mangiare il frutto dell’Albero del bene e del male e dove il dolore
e la sofferenza sono sconosciuti).Pè aveva già deciso per la discesa
sulla Terra ma prima di attuare questa decisione aveva interpellato i
suoi amati professori di Astral-mentalico e aveva ricevuto
sostanzialmente questi consigli: i professori che provenivano da scuole
con esperienza di pianeti di tipo allineato gli avevano sconsigliato la
discesa sulla Terra, pianeta pericoloso, ostile, malvagio; i professori
che provenivano da scuole con esperienza di pianeti di tipo non
allineato (come la Terra) gliel’avevano caldamente consigliata: niente
è altrettanto avventuroso ed eccitante come il reincarnarsi su un
pianeta oscuro col compito di Salvatore!
E poi Pè era un “esperto”
era stato tante volte “terrestre” e l’ultima volta aveva avuto una
meravigliosa famiglia di dodici discepoli che amava immensamente e che
nn vedeva l’ora di ritrovare per completare con loro il lavoro
iniziato ormai da secoli…
Certo, rinascere voleva dire farsi piccolo piccolo in un grembo
femminile, adattarsi alla psicologia di una famiglia…dover rimparare a
parlare, a camminare, a controllare i tre veicoli inferiori…il che gli
avrebbe fatto trascorrere i primi 21 anni della sua vita tra grandi
sofferenze… fino a che, finalmente, avrebbe ritrovato Se Stesso e
iniziato probabilmente il Servizio… Rinascere sulla Terra voleva dire
“delimitare” costringere lo Spirito in una gabbia di carne in un
determinato spazio-tempo oggettivo; immergere le Acque Superiori in
quelle inferiori… Pè da solo non riusciva e vederci chiaro; decise
perciò di consultare la Dea della Vita, Eva, la Grande Madre, l’Ava.
Avendolo desiderato, immediatamente (come avviene sempre nei mondi
sottili) Pè si trovò dinanzi alla Grande Madre e poté esporle il suo
caso: voleva incarnarsi in “quella determinata epoca storica ma non
vedeva da solo l’opportunità…poteva Lei aiutarlo?
“Ma certo Pè” gli rispose subito Eva, “Chi può offrire il
veicolo “giusto” ad un Salvatore dell’Umanità? Solo una coppia di
Salvatori! E sai bene quanto è difficile trovarne! Vieni, verifichiamo
insieme se c’è questa possibilità nel periodo che ti interessa…no,
nessuna coppia di Raggi Gemelli disponibili e svegli… vuoi aspettare
quarantacinque anni?”
“No, no! Non posso assolutamente…e poi uno dei quei due Raggi
Gemelli che dici sono Io, non lo vedi? Presto, presto fammi reincarnare,
i miei discepoli sono già tutti nati e mi aspettano per il
Servizio!!”
“Uh, quanta fretta! Credo proprio che dovrai adattarti. Il massimo che
posso fare è cercarti una “spirale” giusta di misura, ma non sarà
molto luminosa e i tuoi genitori non saranno Raggi Gemelli e nemmeno
Discepoli sul Sentiero…ma perché vuoi scendere proprio ora? Speri
magari in una bella crocifissione che ti faccia “Ascendere” subito?
In questo particolare periodo sono numerosissimi i Messia falsi che
passano per veri e la gente ormai ci ha fatto l’abitudine…un Messia
vero lo prende per falso e non lo guarda neppure…”
“Non mi interessa fare il Messia come dici tu, né tantomeno essere
crocifisso o altro…voglio solo completare il mio Servizio con i miei
discepoli” ribatté Pè.
Eva allora non replicò più. Compresse la “Sapienza” e ne fece un
semplice “punto-luce” e lo stesso fece con tutte le sue altre nove
Stelle, poi indirizzò Pè verso un modesto vortice d’Amore né troppo
grande né troppo piccolo, né troppo largo né troppo stretto (non era
luminosissimo, giusto quanto bastava) e…via!!
Una leggera spinta e Pè il futuro maestro Zen fu concepito! Per lui era
iniziata la vita sulla Terra, la grande DELIMITAZIONE.
Pè ne avrebbe attraversato tutte le fasi:
Si sarebbe “delimitato” nella famiglia per i primi 14 anni. Ancora
“delimitato” ma all’esterno, negli studi esoterici fino ai 28
anni.
Avrebbe “conosciuto” la delimitazione fino ai 35.
Sarebbe
stato lieto di esercitarla fino ai 42.
L’avrebbe
resa “dolce” per sé e per i suoi fino ai 49 nel Servizio vero e
proprio cercando di insegnare tutta la “Verità”…
E poi?
Beh, poiché la “Verità” è l’argomento del 61° esagramma come
finisce la storia di Pè… lo vedremo un’altra volta!!!
N.61
La Veracità intrinseca
Sigurd
è finalmente giunto dinanzi alla fatale grotta marina, tra alcuni
momenti vedrà al suo grande nemico: il Drago Fafnir. Di lui Sigurd non
sa ancora nulla. Non sa ancora nulla perché non l’ha mai visto…e
pur tuttavia sa tutto perché nelle sue lunghe peregrinazioni per terra,
per acqua e per aria, ha raccolto su di lui tutte le informazioni
possibili ed una cosa è certa, poiché su di essa tutti concordano:
Fafnir è terribile.
Alcuni dicono che abbia tre teste, altri dicono dieci. Il suo corpo è
come quello del serpente , loricato come quello del coccodrillo, ha le
ali del pipistrello e gli artigli dell’aquila, le corna del toro, vive
nell’acqua ma sputa fuoco… solo il suo fetore è mortale!
Ma perché Sigurd deve combattere il Drago?
Ma per ridiventare immortale!
La natura di Sigurd, come quella di tutti gli eroi è divina, ma c’è
stato un brutto giorno in cui il Drago Fafnir è penetrato nel Regno
degli Dei ed ha rubato la Perla Preziosa custodita nel forziere
d’oro… quella Perla è quella che dà l’immortalità a Sigurd…
così Sigurd è stato inviato dal Padre sulla Terra, dove si nasconde il
Drago, per scovarlo e riprendergli la Perla. Sigurd è in viaggio ormai
da anni; ha combattuto per terra,, per acqua e per aria ed è giunto
dopo un infinito peregrinare, alla dimora di Fafnir: deve ora sfidarlo e
vincerlo, altrimenti tutto, il sacrificio, la sofferenza, il duro vagare
e combattere, tutto, sarà stato inutile.
Egli sa dunque che è arrivato per lui il momento della Verità. Sì,
egli è di fronte alla sua Veracità intrinseca, di fronte alla sua
morte. Di fronte al Grande Nulla. Sigurd sta per affacciarsi
all’imbocco della Caverna ed è ancora pieno di dubbi: il Drago uscirà
o dovrà affrontarlo proprio dentro la sua tana? E la “Perla” dove
la terrà nascosta?
Si ode un gran boato, come un tuono vicinissimo, ma Fafnir ancora non
appare…però il fetore è già insopportabile.
Sigurd ha indossato lo scudo d’argento per proteggersi ed ha in mano
la spada d’oro per difendersi ed attaccare il mostro…
Ma non è pura follia quando si è diventati mortali combattere con il
Drago soprattutto quando si è quasi dimenticato il perché della lotta?
Sigurd esita, sta per retrocedere quando… tra i bagliori infuocati
della grotta scorge, legata alla roccia una donna bellissima, tutta
nuda, che lo chiama per nome e invoca la liberazione…
Sigurd riconosce allora la Donna! E’ la sua promessa sposa, la
principessa Seele, Ma come è finita in quell’orrido antro?
E’ mai possibile che il terribile Drago abbia potuto contaminare
quella bellezza verginale, quello splendore immacolato?
I richiami e le invocazioni della Donna si fanno ora più forti e
finalmente Sigurd oltrepassa la soglia della Caverna e la Donna gli
parla:
“Finalmente sei arrivato! Sono anni che ti aspetto.
Da quando hai lasciato il Regno di tuo Padre io ti ho seguito e sono
andata raminga per il mondo senza mai raggiungerti… poi, una volta che
camminavo sulla riva del mare chiamandoti disperatamente, perché il mio
desiderio di te era immenso, dagli abissi è uscito il mostro Fafnir che
mi ha rapita e imprigionata qui.
Liberami, te ne prego! Portami via con te. Io sono tua, sono parte di
te…non puoi lasciarmi languire in suo potere…”
“Certo che voglio salvarti” Le rispose Sigurd “e voglio anche
riconquistare la Perla dell’Immortalità! Ma “come” debbo
affrontare il Drago? Dimmelo, se lo sai!”
“Vedo” seguita Seele “che tu hai con te la Spada d’oro, simbolo
della vittoria sul mondo dell’aria:
è con quella che puoi sconfiggerlo; essa ha il potere del Verbo,
usala nel modo corretto. Fafnir ha tre teste, colpisci la testa centrale
tra gli occhi e subito dopo trafiggigli il cuore; non morirà, ma diverrà
docile e obbediente; noi lo cavalcheremo…solo così potremo tornare a
Casa… egli è parte di te, io l’ho imparato in questi lunghi anni di
solitudine… eccolo che viene! Presto, presto, spezza le mie
catene…”
Come Sigurd tocca con la Spada d’oro le catene di Seele, la Donna
diventa Libera e nello stesso momento compare il Drago, Fafnir.
Finalmente Sigurd lo “vede”. Lo vede come parte di se stesso.
Lo vede come Bestia da domare e sottomettere, non come nemico da
uccidere. E nel momento della Verità “conosce la Veracità
intrinseca”: si conosce, Si conosce; il Drago diventa umile,
restituisce la Perla rubata, si fa cavalcare dal suo Vincitore e dalla sua
Donna e li riporta, volando, nel Regno del Padre.
N.62
La
Preponderanza del Piccolo
Het
viveva in un soffocante e angusto appartamento di città presso un
vecchio affittacamere; sapeva di essere un Principe ereditario, ma la
sua reale condizione sociale in un clima di demagogia generale, che dava
importanza solo al denaro a al successo materiale, non poteva certo
essere tenuta in considerazione.
Egli cercava perciò di adattarsi alla sua situazione disagevole
e cercava soprattutto di imparare quanto più possibile dalle lezioni
che gli venivano da quello stato particolare. Ma come era arrivato in
così bassa condizione? Beh, per la verità non lo ricordava
esattamente, anche perché la cosa aveva purtroppo tutto l’aspetto di
un sogno poco gradevole. In un giorno non molto lontano (ma non riusciva
a ricordare quando) doveva aver fatto una scelta che l’aveva
allontanato dalla Casa Paterna e… poi, invece di tentare di ritornarci
subito, aveva iniziato una lunga peregrinazione di terra in terra, di
gente in gente, di esperienza in esperienza. Più volte aveva deciso
proprio di ritornarsene a “Casa”, ma non c’era mai riuscito perché
“aveva smarrito la “Via”, “perduto il Sentiero” cioè aveva
dimenticato “come”.
Ecco, per esempio, ora si
trovava in quell’appartamento con quel vecchio: che cosa ci faceva là
dentro? Non lo sapeva. Quel vecchio era per lui un vero enigma, pareva
saperla molto lunga… a volte sembrava lì li per informarlo di come
doveva fare per tornare nel suo regno… ma poi, niente, cambiava
discorso improvvisamente; a volte era come se volesse trattenerlo
apposta per farsi vanto della sua presenza con gli amici. …Già, poi
quegli amici!! Strani personaggi davvero!
Sembravano circondare il vecchio di mille premure: gli portavano doni,
parlavano di argomenti misteriosi, ma sempre, sempre con riferimenti
all’ospite illustre e questo lo sapeva di sicuro, perché ogni volta
che passava lodo dinanzi, smettevano i loro discorsi e lo guardavano
stupiti, ammirati, quasi impauriti, ma certo sempre affascinati.
A Het però tutta quella curiosità, quell’attenzione dava fastidio,
cosicché spesso se ne stava rinchiuso nella sua stanza senza farsi
vedere per giorni, a studiare o a leggere o a suonare il flauto, che era
una delle sue occupazioni preferite. Una volta che era in questo
particolare stato d’animo,
annoiato da tutti e da ogni cosa, più nostalgico che mai della sua
Patria e della sua Casa, il vecchio e i suoi amici presero a chiamarlo a
gran voce perché partecipasse ad un loro banchetto e alla loro
allegria; Het, chiuso nella sua stanza, dapprima non rispose, poi, persa
la pazienza, urlò: “Andatevene via tutti, voi non siete la mia gente!
Sono stufo di sentire le vostre sciocchezze! Basta!”
Nessuno ci crederà, ma in un battibaleno il vecchio, i suoi amici e il
soffocante appartamento di città scomparvero. Het si ritrovò in mezzo
ad una vasta pianura senza più casa. Essersi liberato del vecchio e
della sua combriccola era una gran bella cosa, ma ora? Sotto quale tetto
avrebbe dormito? Chi avrebbe provveduto ai suoi modesti pasti
quotidiani? Mentre così rifletteva sulle sue disavventure, scorse
sull’erba del prato una tartaruga che gli veniva incontro lemme lemme.
“Se desideri una casa tua, perché non te la costruisci? Così lo
apostrofò la tartaruga. Het rimase stupito assai, era la prima volta
che sentiva parlare una tartaruga…ma quella era tutta una situazione
straordinaria!
“Certo, me la costruirei volentieri da me una casetta, solo che non so
a chi rivolgermi…sai, io sono un Principe, non so fare le cose
comuni…”
“Lo so che sei un Principe, altrimenti non potresti comprendere il mio
linguaggio. Per farti consigliare vai dal Grande Architetto” Replicò
la tartaruga. “Ma dove si trova il Grande Architetto?” Domandò
ancora Het.
“Desidera essere alla Sua Presenza e Lo vedrai” Concluse la
tartaruga e dopo un attimo, non c’era più.
Het allora desiderò di essere alla Presenza del Grande Architetto e
subito si trovò dinanzi ad un Tempio immenso: in piedi, tra le due
colonne Jachin e Boaz il cui significato è (Dio) decide con forza, il
Grande Architetto lo aspettava.
“Het, finalmente ti sei deciso! Costruire la tua casa è l’unico
modo per tornare a Casa. E’ così semplice!”
“Allora te ne occuperai Tu della mia nuova abitazione?” chiese Het.
“Io? No davvero! Mio caro, devi tu diventare piccolo operaio e
costruirtela.
Proprio da te stesso. Ti avverto pure che è un lavoro molto faticoso e
pericoloso per chi non ha esperienza… tuttavia, poiché sei
“Principe” ti darò le quattro regole fondamentali che ti serviranno
da guida:
1) Conoscere
2) Osare
3) Fare
4) Tacere.
Inoltre, data la tua modesta condizione del momento, tieni presente
questo: Si facciano pure cose piccine, non si devono fare cose grandi,
Propizia è perseveranza. Non è bene aspirare verso l’alto, è bene
rimanere in basso. Gran Salute.”
Così detto, in Grande Architetto congedò il Principe ora “piccolo
operaio”. Het non aveva mai pensato che il Grande Architetto regalasse
case a chi le desiderava, perciò conoscere
le quattro regole fondamentali gli parve già un ottimo inizio;
ovviamente doveva studiare, doveva “vedere” come erano costruite le
altre piccole abitazioni dei Principi; doveva scegliere il progetto
“giusto” e prendere familiarità con tutti quegli accorgimenti che
fanno le case funzionali e funzionanti…dedicò sette mesi alla prima
regola, esplorò tutta la campagna circostante e, ovunque fosse una
piccola casa abitata da un Principe, chiedeva ospitalità: si informava
sui costi di costruzione e di manutenzione, disegnava schizzi degli
ambienti che lo attiravano per la loro semplicità e bellezza… poi
venne il giorno in cui decise di osare.
Acquistò il terreno; ordinò il materiale e, avutolo, lo dispose in
bell’ordine sul terreno, in modo da non ingombrare la zona destinata
alla costruzione; ovviamente aveva ordinato pietre e calce. Con squadra
e compasso misurò le pietre, poi le tagliò e le unì con la calce e
tutto da solo, perché non aveva la possibilità di far fare il lavoro
ad altri. La costruzione che stava venendo su era davvero modesta, ma un
Principe in esilio deve sapersi accontentare!
La
cosa veramente importante era la funzionalità e la perfezione dei
particolari, Het li curava con grande attenzione.
Il
suo fare durò sette anni. Al termine di quei sette anni, ecco come si
presentava la sua casa: un portico con due colonne, che riproducevano in
piccolo quelle viste ai lati del Grande Architetto; oltrepassato
l’atrio si penetrava in una stanza circolare, adibita alla Devozione:
vi ardeva una lampada argentea; all’interno di quella prima stanza era
situata una seconda stanza anch’essa circolare destinata alla
Contemplazione, Vi ardeva una lampada dorata; una terza stanza,
all’interno della seconda era ancora in preparazione in quanto, pur
avendo costruito la parete che la delimitava e la porta per l’accesso,
Het non c’era ancora mai entrato.
Quando la prima e la seconda stanza furono del tutto terminate, comparve
una scritta sull’ingresso della terza stanza:
“Ciò che è in alto è come ciò che è in basso.
Ciò che è in basso è come ciò che è in alto
Per fare il miracolo della Cosa Unica.” (1)
Het attese ancora sette giorni prima di entrare.
In quei sette anni, sette mesi e sette giorni Het si era trasformato:
aveva riconciliato in sé tutti gli opposti: l’attività e la passività;
il piacere e il dolore; il caldo e il freddo; l’andare e il venire; la
ricchezza e la povertà; l’alto e il basso; si era equilibrato: ora
ricordava quasi tutto del suo stato regale. Entrò allora nella parte più
interna della sua Abitazione, nel Santo dei Santi del suo Tempio e
finalmente nel più aureo Silenzio si ritrovò nella sua Patria, nella
casa Paterna, nel suo Regno.
(1)
Tavola di Smeraldo
N.63
Compimento
“E
dopo aver ricevuto l’aceto Gesù disse: “Tutto è compiuto” e,
chinato il capo, spirò” (Gv. 19,30)
Compiuta
la sua missione. Compiuta la sua vita terrena.
Compiute
le profezie. Ma non ancora compiuta l’Opera. Gesù compirà l’Opera
con la Resurrezione e l’Ascensione; al termine dell’Opera non sarà
più visibile ai discepoli e avrà lasciato i tre piani della
Manifestazione (fisico, astrale, mentale) per riunirsi al Padre; quindi
non ci sarà più per Lui un “dopo il compimento” né tanto meno un
altro “Prima del compimento” (64° esagramma dell’I King) a
ricominciare il “mutamento”…
Dunque dobbiamo distinguere tra quello che “compiuto” richiama un
nuovo inizio e quello che è definitivamente e ineluttabilmente
concluso. Tutti i
“compiuti” in manifestazione (escluso il compimento dell’Opera di
cui abbiamo portato l’esempio con il Maestro Gesù) hanno insito in se
stessi il nuovo inizio. Un giorno è terminato, è mezzanotte: tra poco
sorgerà l’alba del nuovo giorno; un lavoro si è concluso con la
parola “fine” (un romanzo, un film, un palazzo, un abito, un
esperimento ecc.), se ne comincerà un altro, perché la vita continua e
tutto si trasforma…
“…ma allora, ‘sta favoletta sul compimento, quando arriva?” mi
sento dire da più parti… Uh, quanta fretta!! Se l’avessi già
terminata, dovrei cominciarne un’altra, dunque…! Ma sì, vi
racconterò una storia, la storia di un personaggio “favoloso”,
ovviamente… la storia di “Compiut”…”
C’era una volta un ragazzo strano il cui nome era Compiut; era un
giovane di bell’aspetto, gli mancavano solo i capelli. Che erano
tratteggiati e visibili, ma non di sostanza “reale” come tutto il
resto del corpo…un ragazzo nel complesso molto simpatico…
Ma che vedo intorno a lui? Una folla di altri strani personaggi più o
meno sagomati, più o meno rifiniti, più o meno belli…sicuramente
“precipitati” di “cose” cominciate e non finite, sicuramente
“personaggi” che stanno pungolando e annoiando i loro autori per
avere un “compimento”…ma questi fanno parte di altre storie, di
favole che racconteremo forse un’altra volta!
Dunque torniamo a Compiut: è qui davanti a noi, ansioso di presentarsi,
di raccontarci qualcosa di sé!
“Buongiorno, Compiut, che cosa fai qui? Quando sei nato? Quando
diventerai tutto compiuto?”
“Buongiorno a te” mi risponde Compiut “Che domande mi fai! Come se
no conoscessi le risposte! Sono qui perché mi hai chiamato. Sono nato
da te quando hai iniziato a scrivere i racconti dell’I King e morirò
quando li finirai. Sono un’esigenza di Inizio e un tormento di Fine.
In realtà sono tuo figlio, parte della tua vita.
Sono come un bambino in carne e ossa:
corro verso la morte. Che fa un bambino? Nasce e cresce e quando
comincia a “capire” (si fa per dire, ovviamente, perché i bambini
capiscono sempre tutto, anche troppo) allora non vede l’ora di essere
e diventare grande, poi di
finire la scuola, di avere un lavoro e di sposare, poi di avere a sua
volta figli (per una sete di immortalità terrestre a cui difficilmente
sa rinunciare) per vederli grandi e sistemati onde perpetuare il
ciclo… insomma per tutta la vita egli non fa altro che inseguire la
sua morte, il suo “Compimento” vitale…
Certo, per noi figli della fantasia (racconti, poesie, quadri, musiche
ecc.) è alquanto diverso… noi non possiamo avere figli nostri
direttamente, ma anche noi possiamo in qualche modo avere
“eredi”…quando siamo “fecondi”. Allora diventiamo come semi,
che piantati nella mente di chi ci legge, ci guarda o ci ascolta,
possono germogliare a loro volta altre poesie, altri racconti, quadri o
musiche… perché di ciò che è “fertile”, nulla si cristallizza,
ma tutto si rinnova… Ecco, vedi, a ben pensarci, anche la
Manifestazione, l’opera del Creatore è tutta un enorme Compiut…
“Ma insomma, che vieni a dirmi,” lo interrompo “che tu sei alla
fine un piccolo “universo”? Non ti pare un po’ tanto
presuntuoso?”
“Per niente! Hai detto proprio bene: io, Compiut, sono come un
piccolissimo universo, specchiatura di te, Compiut, che sei un piccolo
universo, specchiatura del tuo Sé, Compiut, che è un universo,
specchiatura del Grande Sé, Gran Compiut, che è un Grande Universo…e
non dico la Parola al completo per non correre in qualche modo il
rischio di vedere sparire tutto…”
“Basta, basta, Compiut, fermati! Non dire altro… non puoi dire
altro!!
A sentire te, io allora non dovrei finirti, “Compierti” per non farti morire…sciocchezze! Io ti
“compirò” e poi…poi, se mi andrà, inizierò un altro lavoro
sull’I King, magari una serie di 64 lezioni-spettacolo, per continuare
il gioco, fino a che ne avrò voglia!”
“E’ quello che fa con te il tuo Sé” riprese dolcemente Compiut,
“quando ha finito, se ne fabbrica un altro; credo sia questo il motivo
per cui non compie l’Opera, perché altrimenti Gli finisce il
giuoco…”
A questo punto metà dei capelli di Compiut cominciano a prendere
consistenza; sono biondi e morbidi, setosi, belli, si possono già
toccare.
Ci guardiamo a lungo negli occhi, Compiut ed io…sì, lui ha un po’
paura di “morire”… ma via, non tanta! Certo quando l’avrò
finito, dovrà proprio svanire, ma non è ancora quel giorno; forse sarà
nel prossimo mese... Sono già più di cinque anni che stiamo insieme.
Ogni mese gli ho costruito un po’ di personalità, ora gliene manca un
sessantaquattresimo: ancora un po’ di capelli e… il libro “I
Racconti dell’I King” sarà
COMPIUTO.
N.64
Prima del Compimento
Nel
Monastero Zen c’è una certa agitazione…in un monastero Zen per la
verità non dovrebbe mai esserci agitazione, ma poiché, lo sappiamo
tutti, l’eccezione conferma la regola, proseguiamo: …nel Monastero
Zen, è un pomeriggio di domenica, c’è una certa agitazione: si deve
dare uno spettacolo; gli spettacoli sono ovviamente spettacoli Zen e
servono a far conoscere nel circondario che in “questa” sede si può
diventare Zenisti. I monaci arrivano da soli o a gruppetti di due o tre;
sono in tutto sedici, un numero certamente molto, molto cabalistico…
Eccoli dunque, ve li presentiamo in ordine di arrivo nel tempo: Marz e
Franz, Rauz e Elez, Ubaz e Letz, Natz e Fioz, Marcz e Rosz, Silz e Paoz,
Mauz e Paolz, Patz e Gioz.
Che genere di spettacolo devono
rappresentare?
A dire il vero non lo sanno neanche loro!
Perché? Perché è “Prima del Compimento”.
Sanno solo che devono dare una qualche rappresentazione per
l’onorevole pubblico ed è tutto.
E chi è questo pubblico? Questo possiamo dirlo subito: è uno sparuto
gruppetto di ospiti che (probabilmente alzatisi con la luna di traverso)
sono incappati in un annuncio di giornale con un invito insolito e
stuzzicante e che ora
ingenuamente sperano in un pomeriggio di divertimento domenicale…
Eccoli che bussano alla porta del monastero.
Toc-toc.
“Chi sei?” Viene chiesto immancabilmente ad ogni visitatore ma quasi
nessuno sa la Risposta…
“Sono un ospite e vengo per lo spettacolo gratuito”
“Sali, ma preparati a ricevere un colpo Zen…”
“Come, non avete promesso uno spettacolo con musica e poesia e
letture?”
“Ma sì, ma sì! Però è uno spettacolo per pochi, per creature fuori
del comune, per esoteristi, insomma!!”
“Io non sono un esoterista, grazie a Dio.”
“Allora va via, questo non è posto per te.”
E i più se ne vanno… ma a volte qualcuno azzarda:
“Io voglio vedere questo vostro spettacolo”.
“Dunque rimani, a tuo rischio e pericolo”. Gli viene detto. Se
l’ospite rimane, soffre per un po’ e poi parte. Salvo eccezioni.
Le eccezioni sono costituite da quei personaggi “strani” che
restano, tornano più volte e diventano monaci e danno spettacolo al
pubblico…
Ora ve li presento ad uno ad uno e per farlo li colloco (si fa per dire)
sull’Albero Cabalistico, affidando ciascuno di loro ad una Sephirah,
cioè ad una particolare emanazione Divina, disponendoli di conseguenza
sul Gran Palco per la Sacra Rappresentazione.
Cominciamo dal Kether: l’Antico degli Antichi da cui promana
l’Albero non può essere che Ubaz, saggio ed austero, armoniosa
mescolanza di cristica astrologia e Parsismo. Scendendo con la Shekinà
in Chockmah troviamo Silz, il Grande Padre, capo della colonna di
destra, teologia e regia fuse mirabilmente in un composto pieno di
simpatia ed entusiasmo. Quale Grande Madre Binah, in cima alla colonna
di sinistra abbiamo Paoz, la cabalista di ottima scuola e grande
versatilità artistica.
Scendiamo ancora: incontriamo tosto la Sephirah occulta Daath; se la
consideriamo terra di Atziluth e togliamo il velo, riusciamo a scorgere
Marz, la Coscienza dell’Albero nella sua esatta funzione
ultradecennale, se invece la consideriamo come fuoco di Briah allora
ritroviamo in Essa celato Natz, il super-intuitivo-musical-poeta.
In Briah non potevamo che collocare Mauz e Paolz, l’uno su Chesed e
l’altra su Geburah, quali aria ed acqua del mentale in bilanciata
complementarità e coagulazione spontanea di un teatro No di fatto.
Poi, come ognuno ben sa, la Shekinà scende in Tiphereth: la terra di
Briah accoglie Patz quale concentrato di razionalità tutto ispirato
alla Bellezza del Cuore dell’Albero, mentre il fuoco di Yetzirah
(estrosa contrapposizione) l’accomuna a Fiorz, impalpabile essenza
floreale di profumo sentimentale…
In Yetzirah i “luoghi” di Netzach e Hod vengono occupati dai
musicisti Gioz e Letz che per la fantasmagoria del piano ad essi
relativo si vedono e non si vedono, eppur ci sono!
Al Fondamento Yesodico attribuiamo Marcz quale terra di Yetzirah e Rosz
quale fuoco di Assiah con il dolce invito a non rimaner nell’atrio, ma
ad entrare nel Tempio lavorando, lavorando, lavorando…
E giù, giù in fondo all’Albero poniamo Rauz ed Elez e Franz, come
Malkuth, Base, Pietra dell’intero albero Cabalistico…
Dunque, venerabili monaci, siete soddisfatti della vostra collocazione
sul Palco? Avete 60 giorni (60 mesi, 60 anni ecc.) per presentare il
ricorso regolamentare… 60 = 10 x 6 = un intero albero (10) per il
Bivio (6), vale a dire: avete modo di mettere in “dubbio” la
sostanza e i particolari della vostra “parte”… come è ovvio e
doveroso in un Monastero Zen assolutamente “Vuoto e senza Santità”!
Ma… per poter mettere in dubbio l’Albero offerto e stabilirne un
altro, dovrete intanto rappresentarLo e dare Spettacolo…
Coraggio Signori, è tempo!
Lo Spettacolo ha inizio!
Si apra il Sipario!!
(applauso)
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