Narciso
Figlio
del fiume Cefiso e della ninfa Liriope, Narciso era bellissimo. Di lui
si innamoravano maschi e femmine, ma respingeva tutti. Pure la ninfa Eco
si innamororò di lui, ma le toccò la stessa sorte degli altri, e dal
dolore morì dissolvendosi nell’aria: ne rimase solo la voce.
Un giorno, una delle tante ninfe da lui respinte chiese “ giustizia” a Nemesi, dea della vendetta, la quale fece in modo che
Narciso si specchiasse nell’acqua e vedendo la sua immagine riflessa
se ne innamorasse. Egli morì consumato dall’amore per
quell’inafferrabile immagine riflessa.
Prima che venisse bruciato, il suo corpo scomparve, ed al suo posto
spuntò un fiore giallo coi petali bianchi.
Pare che l’indovino Tiresia avesse previsto lunga vita per lui,
a condizione che non avesse conosciuto se stesso.
Un’ultima cosa su Cefiso (suo padre).
Era e Poseidone si contendevano la terra. Per dirimere la controversia,
in qualità di giudice, Cefiso decise (insieme ad altri fiumi) che la
terra apparteneva ad Era. Poseidone ne rimase contrariato, e per
vendetta lo prosciugò.
Interpretazione
Ognuno
di noi è Narciso: un’anima incarnata che ha scambiato la sua immagine
per la totalità del suo essere. La nostra individualità ha teso una
rete a maglie fittissime, attraverso le quali non passa più alcun
ricordo di ciò che eravamo (che siamo) prima d’avere un corpo.
La consapevolezza di Essere non ha immagine, e muta, “ fredda” , “
vuota” , non ha nome, né tempo: è una sorta d’infinito spazio che
tutto abbraccia; un amore impersonale che è il vero senso dell’Uno:
un Dio che non sta seduto da nessuna parte, perché non ha parte in
niente (pur essendo la matrice di tutto), essendo indiviso, imparziale,
fuori dal tempo spazio, oltre ogni immaginazione, oltre ogni pensiero ed
intuizione. Tale consapevolezza è alla disperata ricerca di un veicolo
che possa manifestarla, ma uno dopo l’altro crea corpi, individui,
esseri, che scordando di cantarne le lodi, anziché armonizzare e dar
vita ad Amore, disarmonizzano dando vita a proiezioni.
Narciso sono io quando, anziché osservare la vita che scorre ed esserne
presente, punto lo sguardo su un me stesso che nello specchio
dell’immaginazione mi prefiguro secondo i desideri. Narciso sono io,
quando mi lascio divorare dal tempo e muoio giorno dopo giorno in un
corpo che ciecamente
si ostina a non vedere la Vita Immortale che lo anima. Tutte le
volte che mi lascio afferrare da ciò che altre persone mi rimandano
come “ me” , io sono un povero Narciso innamorato di mille virtuali
identità. Ecco chi sono e chi siamo: riflessi di riflessi.
Il
nostro disperato tentativo di amare noi stessi attraverso tali
identificazioni è votato al fallimento, perché l’Amore vero è un
oceano in cui si riversano tutte queste pseudo forme-fiumi. E’
impossibile amare se stessi: l’Amore non è riflessivo, ma dilagante,
creazione in atto: ogni centro di coscienza è una piccola parta di
quella grande sinfonia che è il gioco dell’Assoluto, cantato a
scuarciagola dai mille budda che nel corso dei tempi hanno realizzato di
esserLO.
Narciso è punito per non aver voluto-potuto amare. Punizione questa
per chi,
avendo scelto di essere un corpo-chimico-biologico e basta, ha
dimenticato di essere Amore, rifiutando richiami d’amore.
Narciso
è chiunque non ama, è il figlio di un fiume prosciugato, un serpente
che si morde la coda, un tempo che divora se stesso nello sterile gioco
situato fra passato e futuro. Narciso è assenza di presente, è un
elastico teso fra ieri e domani, una perenne aspettativa ingoiata dalla
“realizzazione” (!) di essa. Narciso è un’ossessione corporea,
una smania avida di autopossesso, una delirante Luna
che canta lo specchio che é. E’ un triste sentirsi più in là, un
consumarsi al fuoco fatuo dell’impossibilità, un contratto con
l’effimero, una nebbia che soffoca gli attimi, un essere assenti, un
bere le forme, un lento suicidio dell’io per mano dell’io. Narciso:
egoismo disperato, che ha posto se stesso sull’ara, e s’incensa, e
chepensa di essere vero. Assurdo riflesso di vecchi riflessi.
Narciso
è un gioco inquietante, un tarlo scomposto che mangia se stesso; un
fiume bloccato: un
vecchio ritratto di Doryan, che poi d’improvviso si ruga e trapassa
nel vano.
Grazie.N.M.
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