Colloquio con la madre  


 

Questo episodio del film Kaos dei fratelli Taviani, carico com'è di poetiche tonalità affettive, muove, in chi ha visto morire la propria madre,la propria terra, onde di struggente malinconia. La poesia che questi due geniali fratelli riescono a produrre catturando immagini naturali o creandone di nuove, non può essere raccontata attraverso parole semplici. Per rendere l'idea di come tali loro "versi" smuovano acque profonde, occorrerebbe essere poeti, e noi purtroppo non lo siamo. In più, per un siciliano come me è facile vedere come questi due maestri di vita riescono a cogliere l'anima di quella Sicilia narrata da Luigi Pirandello, e sono davvero pochi i non siculi capaci di far questo. Questo episodio è commovente perché riesce a porre davanti a ciascuno di noi quelle strane realtà che pur albergando nella memoria hanno maggior peso delle cosiddette cose reali.
Spesso sentiamo dire dalle madri che i loro figli sono stati parte di loro, ma non mi risulta che noi figli abbiamo fatto sentire il nostro punto di vista, e cioè che le nostre madri sono state parte di noi. Quando un legame naturale così forte si spezza, quando una corrente d'affetto viene interrotta,  subentra nel figlio un senso di aridità, di sradicamento totali. Sì, la vita continua, ma una parte di noi è andata perduta per sempre, e questo "per sempre" ci prosciuga acque d'amore. In una sua bellissima poesia del 1937, Se tu mio fratello, Giuseppe Ungaretti così canta:

 

Se tu mi venissi incontro vivo,

con la mano tesa,

ancor potrei,

di nuovo in uno slancio d'oblio, stringere,

fratello, una mano.

 

Ma di te, di te più non mi circondano

Che sogni, barlumi,

i fuochi senza fuoco del passato.

 

La memoria non svolge che le immagini

E a me stesso io stesso

Non sono già più

Che l'annientante nulla del pensiero.

 

Pirandello, nel colloquio di questa novella,  dice a sua madre che lui non si sente più vivo, perché lei, ormai morta, non può più pensarlo. Il suo è certamente un amore con andata e ritorno, ma in cui il ritorno ha più peso dell'andata. Siamo ai limiti del narcisismo. Nel suo prologo all'alchimista, Coeho, dopo aver fatto morire Narciso, fa piangere disperatamente il lago in cui è annegato. Le ninfe del bosco si meravigliano del suo pianto, visto che lui è stato l'unico a poter ammirare la sua bellezza. "Ma Narciso era bello?" chiede il lago alle ninfe stupite. "Chi altri meglio di te potrebbe saperlo?…in fin dei conti, era sulle tue sponde che Narciso si sporgeva tutti i giorni". E qui, finalmente, il lago spiega il perché del suo pianto: "Piango per Narciso, perché tutte le volte che lui si sdraiava sulle mie sponde, io potevo vedere riflessa nel fondo dei suoi occhi la mia bellezza". Pirandello dice una grande verità, Coelho l'ha ben capito, e rifacendo il mito di Narciso ha aperto il sipario sul suo Alchimista. Questo modo di amare, che è di noi tutti, ci rattrista perché ci pone di fronte alla nostra incapacità di Amare davvero come un Uno che tutto comprende in abbraccio. E' una mancanza di Dio, una penosa assenza di Divino che ci rende soli e unici ascoltatori della nostra disperata richiesta di Vero, d'Amore. Ed ecco che

 

L'uomo, monotono universo,

Crede allargarsi i beni

E dalle sue mani febbrili

Non escono senza fine che limiti.

 

Attaccato sul vuoto

Al suo filo di ragno

 Non teme e non seduce

.Se non il  proprio grido.

 

Ripara il logorio alzando tombe,

E per pensarti , Eterno,

Non ha che le bestemmie,

 


per dirla ancora una volta con il grande Ungaretti (La pietà, 1928).
Luigi chiede alla madre di raccontargli ancora una volta la storia del loro esilio, della partenza frettolosa, del viaggio per mare, dell'isola della pomice. E La madre racconta. Nel racconto di essa vi è una sorta di ricreazione di avvenimenti che, detti e ridetti nel corso dell'infinita e pur veloce infanzia, hanno assunto i colori del mito. Nella memoria di ognuno di noi, tale tipo di ricordi occupa un posto speciale. Sono cose "immortali" che conserviamo gelosamente pur sapendo che tutto è illusorio. Ed ancora una volta è Ungaretti a ricordarcelo in versi:


 

 ……………………

 

Non c'è, altro non c'è su questa terra

Che un barlume di vero

E il nulla della polvere,

Anche se, matto incorregibile,

Incontro al lampo dei miraggi

Nell'intimo e nei gesti, il vivo

Tendersi sembra sempre.

(Monologhetto)

 

Quello che Pirandello vuol risentire attrraverso la voce della mamma non è alla fin fine il racconto in sé, ma il modo di esso. E' la voce di sua madre che lo rende speciale, le sue cadenze, il suo riviverlo. Quel racconto è vivo perché la mamma di Luigi vi infonde vita. Esso diviene così bello e vero, diventa speciale, mitico, diverso. E i due registi, bravissimi, riescono a regalarci proprio il senso del vero e del bello che in esso si annida. Quell'innocente gioco di fanciulli sulla montagna di pomice, con le sublimi note di Mozart diventa una danza. Gesti usuali si trasformano in passi di danza, un volteggiare che  è il succo della bellezza e della verità. Questi racconto ricoda tanto quello della nonna del Carducci in Davanti San Guido:

 

O Nonna, o nonna! Deh com'era bella

Quand'ero bimbo! Ditemela ancor,

ditela a quest'uomo savio la novella

di lei che cerca il suo perduto amor!

Deh come bella, o nonna e come vera

È la novella ancor! Proprio così.

 

Ecco come la poesia che, sola, potesse rendere giusto omaggio ai fratelli Taviani per quel capolavoro che è Kaos, si è manifestata quasi da sola. Forse con questo capolavoro loro volevano solo, dapprima stordirci con lo stupore, e poi, approfittando dello stordimento poetico, abbandonarci in quel caos che in alchimia è vero inizio dell'Opera.


Grazie. Nat.

 

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