CENERENTOLA
(azzardi
interpretativi di Maurizio)
E’ probabile che le favole siano dei ‘farmaci’,
balsami che l’umanità ha da sempre elaborato per lenire il dolore, le
problematiche dell’esistenza, per fornire la consapevolezza degli
strumenti interiori atti ad affrontare le difficoltà, indicando al
contempo le possibili linee di sviluppo dell’individuo. Esse sono, in
fondo, messaggi spirituali metaforici e velati di simbolismo,
imparentate con i sogni, i miti, le parabole. Anzi, potremmo raffigurare
in un màndala la crescita evolutiva della coscienza individuale
attraverso questi quattro modi del racconto simbolico:
Consideriamo la linea
orizzontale dello schema come la separazione fra le zone inferiori e
quelle superiori della coscienza: in basso quanto è più legato
all’inconscio e all’istintualità, in alto quanto è maggiormente
consapevole e correlato alla ratio e al pensiero, fino ad
arrivare – nel trascendimento e unificazione dell’intero schema verso
l’alto - all’Idea come ‘Visione’ e Illuminazione. Considerando, altresì,
la linea di separazione verticale, a sinistra riscontriamo quanto è
maggiormente introverso, connesso con l’io e con il soggetto, e a destra
quanto si relaziona con il mondo esterno, con l’altro da sé, con
l’oggetto. Nel settore in alto a destra, dunque, fra coscienza e mondo
esterno, abbiamo il racconto metaforico più consapevolmente costruito:
la parabola, mezzo d’ammaestramento morale, d’indottrinamento, veicolo
dichiarato di un messaggio sapienziale. In basso e a sinistra, fra mondo
interiore soggettivo e inconscio, vediamo indicato il sogno, il racconto
onirico, dove la mente cosciente e la relazione con l’esterno hanno la
minore incidenza possibile. Gli altri due settori sono, per così dire,
intermedi fra questi due estremi: l’uno, il racconto favolistico,
traspone in una storia consapevolmente inventata ed espressa - con
variazioni sul tema e gusto della narrazione – le tematiche
dell’interiorità, dell’io, del soggetto, come per una costruzione
‘onirica’ architettata dalla coscienza; l’altro, il mito, è come un
sogno ‘collettivo’, legato a tematiche sociali oppure d’origine del
mondo – quest’ultimo non visto come un’entità soggettiva, ma oggettiva -
e di spiegazione dei grandi temi esistenziali.
Per venire alla favola in esame, va detto che Cenerentola è una novella
di cui esistono moltissime versioni, pare circa 350, a testimonianza
della sua ‘archetipica’ universalità, e con la quale si sono cimentati
alcuni grandi autori come i fratelli Grimm e Perrault, favolisti
italiani come Giovambattista Basile ("La Gatta Cenerentola") e persino
compositori come Gioacchino Rossini. La versione a disegni animati di
Walt Disney – datata 1950 - si basa su quella del 1697 di Charles
Perrault, nella quale i riferimenti a prìncipi, re e regine è
particolarmente convincente perché il novellista viveva alla corte del
Re Sole, Luigi XIV. La fiaba, però, pare che sia d’origine cinese e
risalente al IX secolo: questa provenienza estremo-orientale
spiegherebbe il particolare del piede minuto della fanciulla
protagonista, la cui forma ne rende in qualche modo riconoscibili le
nobili origini. Per quale motivo i cinesi annettevano tanta importanza
alla misura dei piedi femminili, tanto da arrivare – in certe epoche non
proprio illuminate – ad architettare vere torture pur di ridurne le
dimensioni? Probabilmente perché un piede grande e forte, con la sua
possibilità di movimento, di corsa, di lotta (vedi arti marziali
orientali) era considerato troppo yang per una donna, le cui
caratteristiche più apprezzate erano invece di tipo yin.
Cenerentola, in effetti, è molto yin: dolce, gentile, remissiva e
sottomessa rispetto alle angherie della matrigna e delle sorellastre,
queste ultime senz’altro parecchio più yang - aggressive,
volitive, violente - di quanto necessario. Nel taoismo, in ogni modo, la
‘virtù dell’acqua che scorre’– associabile con il Wu-wei, l’azione-non
azione avente la qualità di un ‘puro yin’ - rappresenta la
qualificazione principale per ottenere la distillazione del ‘Vero Yang’,
la ‘Vera Luce’ e la conseguente ‘Pillola dell’Immortalità’ (in termini
buddhisti l’Illuminazione). In altre parole, si parla della capacità di
superare gli ostacoli, le soffer enze, le limitazioni, senza
contrapporre le resistenze tipiche del piccolo ego (‘falso yang’), ma
aprendosi alla comprensione di ciò che la vita vuole insegnare,
conoscendo sé stessi e il proprio mondo attraverso una aperta
disposizione all’osservazione e all’accoglienza. Cenerentola, anche nel
nome vestale e custode delle ceneri del focolare - in fondo ‘alchimista’
della propria situazione - non lascia che il fuoco sacrale si spenga:
ancor prima dell’incantesimo della fata madrina è già capace di
valorizzare ogni elemento – anche sgradevole o umiliante - della sua
esperienza quotidiana, e di utilizzare la trasfigurante magia della
coscienza e dell’amore con gli animali di cui è circondata: topi, gatti,
cani, cavalli. La trasformazione della zucca in carrozza, dei vestiti
strappati in uno splendido abito da sera e della condizione di schiava
in quella di principessa non è che la logica conseguenza della sua
capacità di ‘vedere’ oltre le apparenze illusorie, trasmutando il
‘metallo vile’ in ‘oro’, risorgendo come fenice dalle ceneri. Tuttavia
l’incantesimo è possibile solo ne lla notte, al buio, nel mistero,
nell’interiorità, nella fantasia: a mezzanotte finisce perché proprio in
quell’ora inizia il nuovo giorno con il suo concreto principio di
realtà, profondamente diverso dalla dimensione del sogno, del mito,
della fiaba, della parabola. Al di là degli elementi clichè
simili a quelli di altre favole, penso che questa sia l’indicazione più
coinvolgente di quella di Cenerentola, il motivo della sua enorme
diffusione e dell’interesse che suscita: l’individuazione della linea di
separazione fra ‘ideale’ e ‘reale’, fra il desiderio e la sua
improbabile realizzazione. Questa fiaba, inoltre, offre a questo
proposito una visione confortante e piena di speranza: i sogni, i
desideri, la fantasia, il mondo immaginativo, hanno concretezza e
possono produrre effetti tangibili, influendo attivamente su quella che
si ritiene la ‘dura realtà’ e dimostrandosi anche più reali di questa
che, in fondo, è solo apparenza. Il puro yin si trasforma in vero yang.
Per dirla con un adagio del buddhismo Mahayana: "i desideri terreni sono
Illuminazione".
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