CENERENTOLA

 

L'uomo, ognuno di noi, possiede una doppia natura, una umana e una divina. Nel Vangelo di Giovanni il Maestro Gesù, riportando un passo dell'Antico Testamento, dice "…Voi siete dèi" (10, 34), ma da qualche altra parte dice anche che non possiamo servire contemporaneamente due padroni, e qui parla apertamente della  nostra doppia natura: quella divina che ama servire Dio, e quella umana che ama servire mammona. Nel "Fondamento della Sapienza" (Il Leone Verde, pag. 24) Paracelso, ponendo l'accento sulla nostra natura divina dice: "Noi, invero, siamo Dio, e dunque dobbiamo da soli sperimentare ciò che è in noi: Egli è di se stesso, e non nostro; ci ha formato il corpo, dato la vita e insieme la sapienza, e da lui provengono tutte le cose". E più avanti (pag. 46): "L'uomo non è un animale, ma l'immagine di Dio…Certo, è un animale, essendo mortale: in lui però non è mortale l'uomo, ma la bestia…". Infine, a pag. 61: "L'uomo ha un Padre eterno e deve vivere secondo questo e non secondo la bestia; questo Padre lo ha fatto animale non perché in tal stato abiti, ma perché ne tragga vita".
Non c'era certo bisogno di scomodare Maestri e sapientoni per parlare di questa doppia natura che tutti noi sperimentiamo giornalmente: ogni volta che serviamo la "terra", ci comportiamo da bestie; quando serviamo il "cielo", ci comportiamo da uomini. Ad ogni istante noi vediamo fluttuare la nostra anima fra Cielo e Terra, ma alla fine notiamo con rincrescimento che essa si mette quasi sempre al servizio del caduco. E qui siamo costretti ancora una volta a parlare di quel fantomatico ego, che fin da piccoli ci invitano ad innaffiare per renderci competitivi, e che da grandi custodiamo come la cosa più preziosa al mondo. Questa fiaba, come del resto mille altre, ci rappresenta la situazione "normale" in cui viene a trovarsi l'anima  di ognuno di noi: essa è al servizio di mammona, dell'ego, della materialità, ed è costretta a restare in cucina per gran parte della giornata, per preparare cibi succulenti a tale fantasma che si ingrassa di quell'Energia che dovrebbe solo intonare canti di gloria  all'Altissimo. Possiamo dire, senza paura di essere smentiti, che ognuno di noi (tolti  pochi saggi ) non fa altro che preparare pasti per alimentare tale illusione. Ma allora, direte voi, letta una fiaba sono state lette tutte. No, non è così, perché ogni fiaba mostra il percorso irripetibile dell'anima dell'autore, mostra quel particolare momento di crescita, indica una sua metodologia, una peculiare tecnica. In questo particolare caso, Cenerentola rappresenta l'anima di chi un bel giorno, dopo aver sentito forte il richiamo del Cielo, per prima cosa comincia a farsi alleati gli istinti (cane, cavallo, topolini, e persino il gatto, che, nonostante tutto è costretto ad ubbidire). Tali alleati non riusciranno a spianare la strada che la porterà all'incontro col principe (Spirito). Chi ha scritto questa favola, più che la mente usa il cuore e l'immaginazione: nella situazione di partenza, a Cenerentola viene lasciata la sola libertà di sognare. Ora, sognare il Bene vuol dire "creare" quel magnete che infallibilmente Lo attrae, e nel momento in cui i suoi sogni sono bagnati da lacrime di disperazione e marciscono in una profonda e pesante malinconia che non lascia fiorire le erbacce dell'ira e dell'odio, in quello stesso momento, tutto il Cielo si muove perché i suoi sogni si avverino. La fata Smemorina rappresenta quell'energia sovrumana capace di vincere ogni ostacolo, quella fede che riesce a smuovere le montagne e a far trasmutare le cose. Cenerentola ha "prodotto" l'elisir, e da lì a poco, sposando il Principe, sarà in possesso della Pietra Filosofale, o per meglio dire, la Vita Universale prenderà stabile possesso di lei, il Cristo si incarnerà ancora una voltà, nascerà un Buddha.     Ma adesso diamo un rapido sguardo ad alcuni particolari:

-    Tutti i topolini hanno in testa il berretto frigio, lo stesso che avevamo già visto indossare dai sette gnomi di Biancaneve: sono i sensi che, ribellandosi al corpo-ego (quel copricapo è dunque simbolo di rivoluzione: vedi quella francese…), invertono tendenza;

-    E' il Re che decide di volere dei nipotini, cioè è la Grazia che ha deciso di scendere per incotrare i meriti, ovvero, con le nostre sole forze non potremmo far niente di niente: da qui la raccomandazione dell'alchimista di pregare con tutte le forze l'Onnipotente;

-    Quando la Grazia scende, ogni fanciulla in età da marito "dovrà intervenire": guai a chi non risponde alla chiamata;

-    Il piede piccolo di Cenerentola simboleggia un Malkuth molto "piccolo", cioè un'anima progredita che, avendo ormai alzato lo sguardo al Cielo, dà alla terra solo il necessario;

-    Il cane Tobia ci ricorda le vicende narrate nell'omonimo testo sacro dell'Antico Testamento, laddove Tobi ed il suo figliolo Tobia, grazie all'aiuto dell'Arcangelo Raffaele, riescono a risolvere i loro problemi ricchi di simbologia: il padre riesce a riacquistare la perduta vista, il figlio riesce a sposare Sara, a cui erano gia morti sette mariti, uccisi da Asmodeo, un demonio. Il tutto ci vuole solo ricordare che, nel momento in cui un'anima decide di ritornare a casa, il Cielo provvede a costituire per lei gli "Aiutanti".

-    Infine veniamo al momento culminante della fiaba: l'incontro ed il matrimonio col Principe. Di nozze mistiche ci si può fare scorpacciate leggendo la vita dei mistici di tutte le tradizioni religiose. Ogni Santo o Santa parlando del momento dell'unione, dell' estasi, usa un linguaggio d'amore. Perché? Perché il serpente è stato inchiodato sulla croce, la Kundalini è stata definitivamente elevata. Il suo sibilo è prodotto dall'energia che scorre dentro i canali sottili del corpo; il vento che essa produce fa muovere tutto il corpo in preda a spasmi "amorosi", ed il mistico o la mistica, avendo la sensazione di abbracciare una controparte sottile, un'amante invisibile, non può parlarne che in termini amorosi. Elemire Zolla (autore fra l'altro del densissimo "I Mistici dell'Occidente" - Adelphi) ha dedicato a tale fenomeno una parte di un altro bel libro, che ha titolato proprio "l'Amante invisibile" (Marsilio Editore). Nel capitolo "La conoscenza della dama nelle grandi religioni", riportando l'esperienza estatica di alcuni grandi mistici (Teresa d'Avila, Giovanni della Croce, Maria Maddalena de' Pazzi, Ruysbroek), sottolinea, citando le parole degli stessi, come "l'anima estatica fa vibrare di piacere il corpo".

-    Ma accade spesso che, "uscito dall'Egitto" il ricercatore, ritrovandosi in un "deserto" insopportabile, si rivolga a Dio per rinfacciarGli il proprio stato pietoso dovuto alla ricerca di Lui. Allora l'Assoluto manda "serpenti velenosi", cioè smuovendo l'Energia fa si che si attivino nel malcapitato quei vizi la cui carica non è stata ancora trasmutata (cosa questa provata dal rimprovero mosso all'Altissimo). La ricerca verrà compromessa, e si dovrà ricominciare daccapo. E' questo il succo di quanto leggiamo nell'Antico Testamento, in Numeri 21, 4-9. Mosé farà quanto Dio gli dirà (innalzerà un serpente di rame sopra un'asta e chiunque, fra quelli morsi, lo guarderà, sarà guarito). Il Maestro Gesù riprende l'argomento in Giovanni 3, 14: "E come Mosé innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna".

-    Ma l'estasi è il bacio di Dio e non l'abbraccio. Essa è pericolosa, perché la mente sta sempre in agguato, ed anziché fissare lo sguardo in alto, può sussurrarti all'orecchio la bontà dell'esperienza corporea appena avuta: cosa da riprovare al più presto! Ed ecco come un'esperienza estatica può inchiodare il ricercatore, costringendolo a segnare il passo. La danza estatica va superata, Cenerentola non deve accontentarsi del ballo col principe, deve andare oltre: fondersi con Lui, sposarlo, perché si compia ancora una volta il miracolo della Cosa Una.

-    La goccia d'acqua deve sciogliersi nell'oceano, affinché possa esser detto "la goccia è scomparsa", ovvero "la goccia è l'oceano". Ma a dirlo non può essere la goccia in quanto tale, perché da sempre essa era l'Oceano.

-    Un'ultima cosa avrei da dire sul male. E' assoluto come suggerivano gli gnostici? E' privatio boni, come suggerisce il cattolicesimo? E' una creatura di Dio, come suggerisce il libro di Giobbe? E' cosmico? Individuale? Ecc. Tralasciando l'aspetto macrocosmico di esso (se esiste), credo che noi possiamo solo parlare del male personale, quello che ognuno di noi più o meno frequentemente alimenta coi i propri vizi. Ora, se è vero che un albero è composto da radici, fusto, rami, foglie, frutti, e se è altrettanto vero che mai  e poi mai potremo fare a meno delle radici, non occorre altro da fare che dar da mangiare alle nostre radici tutto il maggior "concime" possibile che una presa d'atto di ogni aspetto negativo riuscirà a liberare. La conoscenza della nostra ombra non deve essere un mero esercizio intellettuale fatto di autoanalisi o di contorcimenti mentali, ma un momento alimentativo, un atto di nutrizione, o meglio di concimazione: non ci si deve soffermare al puzzo di tale concime, occorre "cuocerlo",  darlo in pasto alle radici, e trasmutarlo per tutto l'inverno, e attendere la Primavera: momento di bianchezza alchemica, che permette al composto caotico e fumoso, che lì sottoterra si decompone in qualcosa d'altro, di cominciare ad emanare una certa volontà di luce che ha tutte le caratteristiche della "Luce Solare", la quale, attratta da tanto magnetismo, non può che manifestare tutto il suo Amore attraverso il verde della vegetazione. E saranno dapprima germogli, poi rametti, poi foglie, fiori e frutti. Quando si è troppo piccoli e si guarda il ricamo da sotto - diceva Padre Pio - non si può capire che quella disarmonia è necessaria perché nella parte superiore del telaio appaia l'armonia. Se ci si ferma al caosa del sotto telaio, si rimane nelle radici, se si  sta sopra, si respira l'aria pura e ci si nutre di Luce, ma in ogni caso, sotto-ricamo e radici sono indispensabili e non possono esssere tagliate. Ecco perché nella Bibbia l'Arcangelo Michele non uccide il male, ma lo incatena per mille anni.

-    La favola di Cenerentola, senza matrigna e sorellastre non avrebbe alcun senso!

 

Grazie, Nat.

 

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