LA BELLA E LA BESTIA
(Azzardi
interpretativi di Maurizio)
Il tema
principale della fiaba, quello che subito appare evidente, sembra essere
relativo all’arroganza: un giovane principe rifiuta aiuto e
considerazione ad una vecchia mendicante che - in realtà - è una fata
mascherata, la quale lo punirà per la sua durezza di cuore. Quest’episodio
può ritrovarsi con mille varianti in infinite storie e miti che,
sostanzialmente, raccontano sempre una ‘prova’ imposta dal divino: un
dio, un mago, una fata, un personaggio in ogni caso trascendente e
numinoso - in ambito cristiano persino il Cristo - si cela dietro una
sorta di travestimento che generalmente è proprio quello del mendicante,
e mette alla verifica il comportamento etico dell’uomo.
Un mendicante e un dio
appaiono ad un primo esame agli antipodi, figure del tutto opposte.
Nessuno oserebbe scacciare un dio, mentre di fronte ad un poveretto che
non ha nessun potere, nessuna bellezza, che non offre concreti vantaggi,
siamo soliti manifestare le intenzioni più istintive e meno evolute del
nostro cuore. E’ qui la difficoltà: riuscire a vedere il divino
nell’emarginato, oppure nella persona sofferente, quella che – spesso –
è anche poco attraente. Tutta l’etica cristiana, in fondo, si basa su
questo riconoscimento: il Maestro ha insegnato a vederLo nei poveri, nei
piccoli, negli esclusi, nei dimenticati. In senso forse più filosofico e
ontologico che etico, anche il buddhismo Mahayana - con il suo gusto dei
paradossi incentrato sulla fusione degli opposti - ritiene che il
‘comune mortale’ sia identico al ‘Buddha’. Anzi, viene anche asserito
che il comune mortale è il ‘vero Buddha’, mentre il Buddha come immagine
ipostatica e sovrumana non è altri che un ‘Buddha provvisorio’.
‘Fata’ è un termine che viene dal latino ‘fatum’, ‘destino’:
l’arroganza e l’insensibilità verso il prossimo sono soggetti alla legge
karmica che impone di imparare e di crescere anche sperimentando
in negativo il risultato del nostro comportamento. Il principe è
trasformato dal suo destino in ‘bestia’, perché ha dimostrato
ignoranza – nel senso di ‘avidya’, nescienza spirituale –
riguardo alla necessaria compassione per gli altri. Nel buddhismo lo
stato di coscienza corrispondente al ‘mondo d’animalità’ (in giapponese
‘chikusho’) è, appunto, connotato dall’ignorare. Tutto l’ambiente
del protagonista perde di vita e di colore, diviene negativamente vuoto,
silente, solitario, e persino le persone che lo contornano, domestici e
servitori, sono cambiati in ‘oggetti’, sia pure animati. In effetti ciò
corrisponde proprio alla visione di chi non trova in sé compassione ed
empatia per il prossimo: gli altri sono considerati alla stregua
d’oggetti e l’isolamento è il destino correlato.
Nel principe mutato in ‘bestia’, però, permane una possibilità residua
di sviluppo e di riparazione: la rosa. Il simbolismo della rosa è ricco
e vasto, ma in questa sede ne evidenziamo il collegamento con il
sentimento profondo; in senso più esoterico, con la ‘fioritura’ - ‘hua’
per i taoisti - dell’alchemico ‘campo mediano di cinabro’ o del ‘chakra
del Cuore’ (Anahat) dello Yoga. Però esiste un’urgenza: oltre una certa
data – quella della maturità, 21 anni – il fiore appassirà se il
protagonista non avrà trovato in sé il rimedio supremo: l’Amore. Alla
morte della rosa , l’incantesimo della fata non sarà più spezzato e la
bestia rimarrà tale. Nel buddhismo ciò corrisponde all’aver ‘bruciato il
seme della buddhità’, in altre parole all’aver perso una grande
occasione di crescita.
Qual è la prova che deve superare la ‘bestia’? Sostanzialmente deve
vivere l’episodio del ‘mendicante’, quello in cui lui ha mancato in
qualità di principe, questa volta sperimentando la parte
dell’emarginato, vale a dire di chi è escluso e giudicato negativamente
dalla superficiale opinione comune. Deve provare la sofferenza di essere
valutato soltanto in base al suo aspetto, ad elementi esterni e
apparenti. In questa situazione, inoltre, deve riuscire a suscitare un
amore impossibile, sempre se giudicato con i parametri dell’apparenza e
dell’illusione: quello del suo opposto polare, di una fanciulla tanto
sensibile, bella e generosa quanto lui è animalesco, repellente e chiuso
in se stesso. Anche questo tema ricorre in molte storie, favole e
racconti, con esiti differenti: pensiamo, fra tutti, al noto dramma di
‘Notre Dame’. Nella realtà il compito assegnato alla ‘bestia’ non è
tanto difficile quanto sembra: per suscitare amore, basta dare amore con
sincerità e in maniera disinteressata. La ‘bestia’ passa attraverso
varie fasi nel suo rapporto con Belle: inizialmente la ‘imprigiona’, poi
comincia a comprenderla, a venirle incontro in vari modi, fino ad
immedesimarsi nella sua preoccupazione per il padre e, quindi, si
dimostra disposto a lasciarla andare, a perderla, sacrificando se stesso
al bene di lei, come lei aveva precedentemente fatto per il suo
genitore.
Lo scontro con il ‘rivale’ Gaston è lo scontro fra due apparenze: l’uno
feroce e bestiale, l’altro coraggioso e bello, sono nella realtà
l’esatto opposto del loro aspetto. In ambedue l ’identità profonda
differisce dall’aspetto esteriore. La ‘bestia’, rivelando in questo
conflitto una capacità di immedesimazione nell’altro ormai acquisita e
consolidata, ‘muore’ al suo personaggio animalesco e rinasce a l suo
‘vero io’: in realtà, combattendo con Gaston, egli combatte e vince con
se stesso o, piuttosto, con la sua vecchia personalità, quella che bada
soltanto al potere egoico e alla superficie delle cose. Per questo
motivo, dopo che il principe si è ritrovato, anche gli ‘oggetti’
recuperano umanità, la rosa rifiorisce e può realizzarsi la ‘conjunctio
oppositorum’ dell’io purificato con l’Anima che, nella sua grande
capacità d’amore e di compassione , giustamente è chiamata ‘Belle’.
Se volessimo situare questa favola in un màndala riproducente le
‘virtù ’ del Buddha associate simbolicamente alle età dell’uomo,
dovremmo posizionarla nel settore ‘adolescenziale’, legato all’alba e
alla gioventù, dove l’Illuminazione si concretizza nell’imparare ad
andare oltre l’immagine esteriore, oltre l’apparenza e l’illusione. Non
a caso l’alba della Coscienza è tradizionalmente ascrivibile
all’Oriente, punto dove il sole sorge, e dove – abbandonata l’oscurità
della notte e dell’inconsapevolezza – è possibile l’’apertura degli
occhi’ e il Risveglio alla propria vera identità.
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