LA
DODICESIMA NOTTE
I
personaggi di una commedia sono delle vere e proprie anime
"immortali", Archetipi d'uomini, Forze cui prestare la propria
persona; sono vibrazioni capaci di creare forme nella sostanza mentale
del lettore o dell'osservatore; sono pensieri-sentimenti emessi con
forza nell'Etere da un autore
Traboccante d'Amore, di Spirito, di Vita; sono sculture della mente
creativa, "vive forme" di
Silenzio, "Essenza visibile", figli del Caos del Principio. In
un certo senso, l'autore è quasi costretto a donare loro la propria
Vita, il proprio Tempo, il proprio Amore, perché essi sono certamente
figli di Eros che a sua volta è figlio di Afrodite, della Bellezza.
Bellezza e Amore, dunque. Ecco da dove nascono gli
"immortali". Portando ai limiti estremo la nostra idea
potremmo azzardare l'ipotesi secondo cui le anime di tutti gli uomini
sono state create "In Principio" , e di tanto in tanto, delle
persone particolari (artisti stracarichi d'Amore, di Spirito) riescono a
sbirciare nell'archivio del Creatore; oppure l'altra ipotesi secondo la
quale qualche volta, dal palcoscenico del teatro del Padreterno
"scappano" alcuni personaggi per irrompere nella mente
dell'autore amorevole (Pirandello
ne ha tratto " I Sei Personaggi in cerca d'autore"). L'Amore
è proprio il lievito che fa distinguere i personaggi di spessore da
quei gusci vuoti che sempre più spesso siamo costretti a incontrare nei
films e nelle tv: i primi sono pagnotte ben impastate, ben salate, ben
cotte, ben lievitate; i secondi, pasta cruda, non cotta, non lievitata e
con poco sale; i primi sono caldi, i secondi freddi; gli uni anime vive,
gli altri "anime morte" per dirla con Gogol. Ebbene, tutti i
personaggi di W. Shakespeare sono nipoti di Venere perché figli di
Eros, sono vivi, veri, eterni. Ma il suo genio è risucito a fare ben
altro: di volta in volta, tali pesonaggi li ha posti in ambiti
particolari, in "contenitori archetipali" ben definiti:
"Romeo e Giulietta" nell' Amore, "La Tempesta"
nel Perdono, "Amleto" nell' Odio, "La Dodicesima
notte" nel Divertimento. E' proprio di quest'ultimo
capolavoro che adeso ci occuperemo, e mentre godremo della bellezza
dell'opera d'arte, cercheremo di approfittare degli intricati percorsi
proposti dall'autore per dare un'occhiatina all'interno della nostra
"terra" al fine di meglio conoscerci, perchè siamo convinti
che le opere d'arte ispirate possono essere "adoperate" come
picconi per scavare nella "miniera". Ma bando alle
chiacchiere, e veniamo al dunque.
Nel corso della vita di ogni uomo, prima o poi, scoppia una tempesta. Il
mare dei sentimenti si gonfia a causa di tempestosi venti mentali,
la "barchetta" comincia a prendere acqua da tutte le
parti per poi inabbissarsi, ed i principi complementari gemelli che
garantivano l'equilibrio a tutto l'essere psicofisico, lo yin e lo yang,
si separano e naufragano in posti diversi. Alla fine si
riincontreranno per ristabilire l'equilibrio e l'armonia non solo
all'interno della piccola "barchetta" ma in tutta la
consistente flotta d'imbarcazioni che incrocia i mari del nostro
scafetto. E' proprio fra questi due estremi (perdita del primitivo
equilibrio e ritrovamento di un equilibrio diverso) che va collocata la
nostra bellissima commedia, rappresentando essa il tempo delle
metamorfosi psichiche che accadono all'individuo in
"ebollizione".
Tutto l'universo manifesto è figlio di queste due supreme forze
complementari, ogni increspatura che misteriosamente appare
sull'infinito mare coscienziale è figlia dell'Essere e del Non Essere,
del Suono e del Silenzio, del Chiaro e dello Scuro, del Maschile e del
Femminile, dello Yang e dello Yin, del Cielo e della Terra.
"La dodicesima notte o quel che volete" Cosa c'entra un titolo
del genere con tutta la commedia? A quale particolare notte si
riferisce? E perché "O
quel che volete"? A parer nostro, l'autore ha solo voluto
racchiudere le grosse burle (quella della vicenda d'amore e l'altra
della beffa a Malvolio) in una sorta di ouverture che mettesse
sull'avviso lo spettatore: "questa commedia è puro divertimento,
è un sogno non catalogabile come qualunque fatto della vita" .
Ogni uomo può indossare
allegramente i panni del pazzo o del buffone, e subito dopo vestire
quelli del savio e del virtuoso.
William fa dire al Feste, il simpaticissimo e 'profondo' buffone: "
O Spirito, se ti gira, mettimi in vena. Tutti questi spiritati che
pensano di averti in tasca, a volte sono proprio matti; e io che mi
sento così povero forse posso passar per savio" e ancora: "
Tutto ciò che si emenda è rappezzato. E come la virtù che degenera ha
le toppe di peccato, così il peccato che si emenda ha le pezze di virtù"
(atto I - v). In queste poche parole ci sembra stia tutto intero il
contenuto della commedia: l'amore portato fino agli estremi diviene
cieco e 'peccaminoso', mentre la beffa spinta oltre i limiti diventa
quasi saggezza. Il nostro geniale autore non prende la vita troppo
seriamente, perché la vede fuggitiva, sfuggente, mutante, ed una
coscienza può godere dei suoi baci
fino a che un corpo le permette di essere manifesta. Ecco perché
nel secondo atto fa cantare al buffone Feste:" Vero amore non è
ben sicuro; la
gioia d'oggi deve oggi gioire: ridere
adesso è ridere sicuro; domani
è un giorno che non sempre arriva.
Baciami
allora cento volte, bella, la
giovinezza è un'ombra fuggitiva".
E
a noi, qui, a giovinezza piace dare il senso di tempo di vita corporale,
tempo d'incarnazione d'anima, tempo di possibilità: per lo Spirito, di
materializzarsi e per il corpo, di spiritualizzarsi.
La vita per Shakespeare è incomprensibile, è come la parola, un
discorso. Ce lo manda a dire sempre tramite il buffone nel III atto,
scena prima: " Una
frase è appena un guanto di capretto per uno che sa parlare: fa presto
a voltarne il dritto al rovescio e il rovescio al dritto" e più
avanti: " …le parole sono diventate così false che proprio non
me la sento di servirmene per dimostrare la verità".
Siamo in pieno Zen, in pieno paradosso: non si serve delle
parole, ma se ne serve…!
E mentre ci pone sul piatto della follia la pietanza della saggezza per
bocca di Feste, subito mischia le carte e ricomincia il gioco: "
Quest'uomo è saggio assai per fare il matto, e a farlo non ci vuole
poco spirito. Di quelli che berteggia ha da osservare abiti, qualità,
persona, tratto, e, qualche falco, cogliere ogni piuma che gli voli
sugli occhi. Il suo mestiere dà più travaglio che a gran saggio
d'arte. E se fa il saggio, il pazzo è savio in parte. Saggio che
impazza perde ogni sapere". Tutto questo lo fa dire a Viola.
Ecco dunque come una cosa sembra esser quella cosa, ma di fatto
non lo é. La realtà oggettiva, secondo il nostro geniale autore, non
esiste. Ce lo dice per bocca del buffone, di Feste, all'inizio del IV
atto: " …Niente, insomma è ciò che è".
Ha proprio ragione Calderon de la Barca
" La Vita è sogno" , ma i sogni non sono che ombre proiettate
dalla luce della Coscienza sullo schermo mentale, non sono che
illusioni, traiettorie di un punto, eco di qualcosa che non è, e che
per essere è costretta a tradirsi apparendo per quello che non è.
" La Dodicesima notte o quel che volete " è forse il punto più
alto non solo della tecnica teatrale di Shakespeare ma anche dlla sua
filosofia, che, come accennato qualche riga fa, sfiora la realizzazione
Zen esprimibile solo attraverso Koan paradossali, o dialoghi che
prendono in giro il dialogare. Arte, vera arte, vuol dire anche "
esserci", vuol dire avere capito di essere dei vuoti gusci al
servizio della saggezza, che per esser vera deve avere i connotati della
follia. E questo il nostro divino autore ce lo canta continuamente per
bocca di Feste, uno dei personaggi più simpatici di tutta la sua
monumentale opera. Quanto all'interpretazione che può esser data della
commedia, ancora non siamo entrati nel vivo, perché vogliamo
condividere ogni atomo di divertimento frutto di quella divina follia
che piove inevitabilmente su chi ha finalmente capito di non avere alcun
io permanente, ma di esser padrone solo di alcune possibilità di
maschere. E dico possibilità, perché non tutti possono
indossarle e recitare consapevolmente quella strana commedia che
è la vita fisica di ogni uomo. La maschera può essere indossata solo
dall'attore, da colui che sa di essere una …possibilità e di poterla
rappresentare. Ma una 'commedia' senza sale è meglio non
rappresentarla: se negli armadi del vostro teatro mancano i costumi di
Feste, sir Toby, Maria, la vostra vita deve essere proprio una noia. E
degli amori di Orsino e Olivia? E di Viola e Sabastian? Non diciamo
niente? Il fatto
è, ce ne rendiamo ben conto, che ogni volta che affrontiamo
questo autore non possiamo fare a meno di esternare tutta la nostra
ammirazione per il suo genio, e ciò impedisce di entrare subito in
tema. Ma rimediamo subito.
Accennavamo prima al fatto che questa commedia potrebbe darci
indicazioni su ciò che accade al ricercatore nel momento di una
profonda trasformazione, fra la perdita di ogni punto certo di
riferimento e la riconquista di un nuovo equilibrio ad un punto più
alto della spirale.
Dicevamo come tutto comincia con il " naufragio " delle due
forze complementari yin e yang. E', in alchimia, il momento del caos ,
che altri non è se non la primissima materia, il punto di partenza,
l'inizio della Grande Opera. L'individuo "non ci capisce più
niente", non ha più la certezza di avere un centro attorno a cui
ruotare, la sua anima (psiche) sembra essere 'posseduta' da qualcosa di
'esterno', qualcosa di più grande, qualcosa di diverso e imprevedibile.
Jung direbbe che è il
momento in cui si manifestano gli Archetipi dell'Inconscio Collettivo,
che possono più o meno 'possedere' la coscienza. Per noi invece, accade
proprio qualcosa di completamente opposto: quella che era stata
scambiata per coscienza, altri non era che un falso centro attorno a cui
si aggregava la personalità (persona=maschera) dell'individuo, mentre
quello che era chiamato Inconscio è la Coscienza che finalmente si
manifesta per vero 'centro' dell'individuo, ed è un centro che
sta in nessun luogo e dappertutto. L'individualità sembra essere
stata inghiottita come un'onda dal mare sconfinato. Si diventa
consapevoli di se stessi, spettatori di sé, come se si fosse anche
fuori. Ci si sente in comunicazione con tutto. Ma diciamo subito che,
siccome siamo all'inizio di un processo di trasformazione, questi
"sconfinamenti" accadono e scompaiono, non sono abituali, e
creano soltanto sbandamenti e angosce al falso centro, al così detto 'io',
quella maschera che si è formata nel tempo attraverso una
sedimentazione di 'materiale' che nulla ha a che vedere con la nostra
vera essenza. Dal punto di vista del falso centro, questa
"nuova" e più grande Coscienza è inquietante e non può
essere accettata: l'ego sente che accenttandola scomparirebbe, per cui
comincia ad opporsi con tutte le sue forze a tale nuovo stato, e da qui
le mille battaglie che si scatenano, così bene descritte nei trattati
alchemici con strane terminologie chimiche, che hanno come solo scopo
quello di confondere gli sciocchi. Ed eccoci alla commedia: come dal
nulla, sul palcoscenico della psiche nascono degli strani personaggi, i
quali per adesso sono solo una folla caotica e mascherata…
Solo alla fine, con la riconquista del nuovo equilibrio, ogni parte
riconoscerà l'altra e l'individuo potrà godere un po' di riposo fino
al prossimo Caos, che immancabilmente si ripresenterà nel corso della
vita. Ora, se i due gemelli, come abbiamo già detto, rappresentano
le forze yin e yang che separandosi danno inizio al Caos, Orsino e
Olivia possono essere considerati come le stesse forze sublimate, 'nobilitate'.
In alchimia essi sarebbero le due componenti del mercurio filosofico:
c'era un mercurio volgare composto da Sebastiano e Viola, che dopo il
naufragio e l'approdo all'isola dovranno unirsi con un elemento nobile
per andare a formare per l'appunto quello filosofico.
La forza yang dovrà affinarsi con la musica, l'arte e la 'pulizia' ,
prima di unirsi alla forza yin che dovrà dal canto suo purificarsi 'mascolinizzandosi',
cioè tendendo all'opposta forza. L'incrocio finale di Olivia e
Sebastian e di Orsino con Viola, può essere considerato come un doppio
incrocio di queste due forze in due centri della 'neutra' colonna
centrale, un doppio incrocio dei due serpenti intorno alla verga di
Mercurio. Ma qualcosa accade pure a "livelli più bassi".
L'ego adesso può essere osservato nelle sue due componenti quella della
virtù e quella del vizio: è il momento della conoscenza del bene e del
male; ci si rende conto della doppia natura che alberga dentro la
maschera, la personalità, la quale non fa altro che passare da un polo
all'altro continuamente. E qui, il seguito di Olivia rappresenta proprio
queste due parti in continua 'lotta' fra di loro, le quali si scambiano
di ruolo. Feste, Maria, sir Toby de' rutti e sir Andrew gotafloscia,
rappresentano la componente dionisiaca, diavolesca, cornuta, quella del
briccone, del buffone. E' quella parte della personalità che va
continuamente verso lo 'smembramento' attraverso l'eccesso (del bere,
del cantare, del 'buffonare', dell'esagerare in genere). Di contro,
Malvolio rappresenta la componente virtuosa. Queste due parti designano bene la parte volatile del composto alchemico. Alla
fine della commedia, quello che sembrava virtuoso diventa ridicolo e
buffonesco, e viceversa, quello che sembrava essere bricconesco, diventa
virtuoso: è il serpente che si morde la coda, lo scambio dei ruoli. I
contrari si sono toccati e si sonoscambiati i 'vestiti'. Morale della 'favola':
la virtù che poggia sulle fondamenta della personalità e non in 'alti
luoghi' è condannata a subire i contraccolpi della propria ombra, del
vizio. La vera virtù sta aldilà del bene e del male ed è figlia della
Sapienza.
Con le unioni finali si raggiunge il nuovo equilibrio: la persona è
cambiata, ha conosciuto più a fondo quella Coscienza Luminosa, quella
Chiara Luce dei Tibetani, che altro non è se non la Mente del Budda, la
nostra vera Essenza, ciò che incomprensibilmente in psicologia è detto
Inconscio. A questo proposito meglio Jung che Freud, perché
quest'ultimo parla di inconscio personale, mentre il primo parla di
inconscio collettivo e quindi impersonale, il che è molto simile al
concetto di Coscienza della scuola vedanta.
" Ciò ch'è stato ed è passato, può mai dirsi non sognato?
". (Calderon de la Barca).
Grazie.N.M.
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