Enrico IV di L. Pirandello
(interpretazione cabalistica)
Questa in sintesi la trama del
dramma e lo sviluppo, perfettamente riuscito, del tema favorito di
Pirandello: contrasto tra vita vera e apparenza, tra persona e
personaggio, tra realta’ e finzione.
Ma come riconoscere in questo “Enrico IV” un possibile viaggio
iniziatico, un processo di “individuazione” per Luigi Pirandello e per
il suo pubblico, e cioe’ per tutti noi? Quale “vizio” e’ stato qui
vivisezionato e “risolto” (sciolto) nel finale drammatico? Perche’ la
scelta del personaggio storico di Enrico IV che lotto’ contro il Papa e
si umilio’ a Canossa?
Rispondere a queste domande (e le risposte sono implicite, come ben
sappiamo, nelle domande stesse) ci dara’ la soluzione del problema che
ci siamo posti.
Iniziamo col chiederci perche’ il “Re Enrico IV”. Nella scala sociale il
Re rappresenta la massima autorita’, la massima potenza; Enrico (= ricco
in patria) la massima ricchezza e IV in uno schema a 4 come l’Albero
cabalistico, l’elemento Fuoco, l’elemento dominatore. Questa scelta
indica che l’ambizione o “superbia” e’ il vizio messo a fuoco da
Pirandello in questa opera. Il personaggio storico lo conferma: la lotta
contro il Papa, massima autorita’ religiosa e spirituale, il voler
competere con lui sull’investitura e la nomina dei vescovi,
caratterizzano la smodata ambizione di questo re che si punisce poi con
l’umiliante (l’Umilta’ e’ la virtu’ che si contrappone alla superbia)
attesa nella neve a Canossa.
Considerando tutti i personaggi dell’ Enrico IV specchiature dello
stesso Pirandello e il fatto che egli costringe il Luigi-protagonista ad
una follia di 12 anni per una “caduta da cavallo” provocatagli da un
suo “rivale in amore” e rileggendo le sue descrizioni....”Era cosi’,
un po’ strano, certo; ma perche’ ricco di vita: estroso!... S’esaltava
spesso veramente... e si vedeva subito lui stesso, nell’atto della sua
esaltazione... a volte aveva scatti di rabbia comicissimi contro se
stesso!...Quella subitanea lucidita’ di rappresentazione lo poneva
fuori, ad un tratto, di ogni intimita’ col suo stesso sentimento, che
gli appariva come qualche cosa a cui dovesse dare li’ per li’ il valore
d’un atto d’intelligenza...appariva incostante, fatuo e anche ridicolo,
qualche volta”, “questo” Enrico mostra una profonda incapacita’ di
conquistare cio’ che veramente ambisce, come Matilde (= forte in
battaglia) del resto, sua componente femminile, che rifiuta l’amore
vero perche’ non ha il coraggio di “credere agli occhi che guardano
con una promessa di sentimento duraturo, sentimento a cui credere
sarebbe stato pericolosissimo”. Essere ambiziosi e non avere
il coraggio di afferrare l’occasione che permette la realizzazione della
cosa ambita, provoca la “caduta” qui “da cavallo” (ricordiamo che il
cavallo simboleggia il mondo astrale dei sentimenti e delle passioni, e
cadere da cavallo indica l’incapacita’ di gestire tale mondo). Passati i
12 anni di sonno o di espiazione, c’e’ una seconda possibilita’ di
affrontare la vita, quale essa ora si presenta da vivere, ma rimanere
attaccati ad un passato ormai passato, impedisce anche questa seconda
possibilita’ e obbliga ad una scelta di “finzione” considerata come
unica via d’uscita per non affrontare la realta’ vera: ambire e
conquistare cio’ che dovrebbe essere ambito e conquistato: la Verita’,
l’Amore, la Vita. Per 8 anni Enrico si accontenta di “finzione
cosciente” e si crogiola in una storia certa, in cui si e’ “fissati
per sempre: che vi ci potete adagiare, ammirando come ogni effetto segua
sempre la sua causa, con perfetta logica, e ogni avvenimento si svolga
preciso e coerente in ogni suo particolare”. E’ questa
l’accettazione della “cristallizzazione” della immobilita’ psichica e
mentale, totale e agghiacciante, che non puo’ durare per sempre; infatti
ecco che viene offerta una terza possibilita’ di “salvezza”: il
protagonista puo’ ancora una volta, l’ultima, uscire dalla sua prigione,
dal rifugio Kafkiano in cui si e’ rintanato, ma i suoi 4 fidi, gli unici
che sono riusciti a fargli confessare la finzione, ai quali il
personaggio Enrico si e’ un po’ affezionato, cioe’ le sue stesse forze
(Landolfo = lupo di terra; Bertoldo = Chiaro e esperto; Arialdo =
saggio d’aria; Ordulfo = lupo di fuoco), i Consiglieri Segreti, lo
“tradiscono” e lo fanno perche’ cortigiani, vassalli infedeli, degni
servi del loro debole re.
Cosi’ scatta la molla della vendetta: il desiderio inappagato e
inappagabile di riavere quanto e’ stato perduto per indolenza,
incapacita’ e paura, cioe’ Matilde-Frida =( Forza-Pace), spinge
Enrico-Luigi a provocare, smascherare e di conseguenza a colpire a morte
quella parte di se’ che egli considera la causa della sua sconfitta, il
fatuo e insignificante barone Tito ( = difensore e, per estensione,
capro espiatorio) . Il delitto condanna “per sempre” alla parte di
Enrico IV, il protagonista senza nome, che avrebbe dovuto ricominciare a
vivere e che invece e’ stato costretto dal suo autore a scontare la pena
(per analogia dantesca) di essere re folle per forza, nel suo inferno
personale.
Grazie. F.V. |