Enrico IV di L. Pirandello
(interpretazione esoterica)
Tutte le sere, per assecondare
Enrico IV nella sua follia, si presenta all'imperatore un tizio che
recita la parte del monacello. Questa volta, però, (siamo alla scena
finale del 2° atto) ai quattro che recitano la perte dei consiglieri
segreti è già stato rivelato dalla stesso Enrico che lui non è matto e
che la sua follia, causata vent'anni prima da una caduta da cavallo
durante una festa mascherata, è durata solo dodici anni, avendo lui dopo
continuato a fingersi pazzo. Quando, dunque, sta per entrare il
monacello, dopo aver ascoltato le parole di Arialdo (" Ah, è Giovanni, è
Giovanni, che viene come ogni sera a fare il monacello!") e di Ordulfo
(che stropicciandosi le mani: "Sì, sì, facciamoglielo fare!
Facciamoglielo fare!"), Enrico IV, con severità dice: "Sciocco! Lo vedi?
Perché? Per fare uno scherzo alle spalle di un povero vecchio che lo fa
per amor mio?". E dopo le parole di Landolfo ("Dev'essere come vero! Non
capisci?"), aggiunge: "Appunto! Come vero! Perché solo così non é più
una burla la verità!"…"Avanti, avanti padre!".
Mi sono soffermato su questa scena perché voglio sottolineare un fatto
importante.
Nel teatro della vita, spesso, nostro malgrado, siamo costretti a
recitare ruoli che mai ci saremmo sognati di impersonare. Ora, ciò
accade per un fatto singolare: uno spazio tempo unico, dei particolari
contatti umani, un clima speciale, un'atmosfera psichica ben definita,
fanno sì che quello e solo quello sia il ruolo da recitare. Ma
attenzione, questo succede solo ai "personaggi", a coloro, cioè, che
ignorano d'essere "attori". In due parole: chi dorme è un burattino, un
Pinocchio che come una farfalla si lascia trasportare dai venti degli
e-venti. Non cambia nulla che Enrico sia matto o no, il burattino
Giovanni farebbe lo stesso. Loro però, i consiglieri segreti che come
dei discepoli sono stati condotti alla soglia della verità, hanno la
possibilità di provare a se stessi che la parte può essere recitata
ancora meglio, anzi in maniera perfetta, "come se fosse vera".
Sì, il luogo del teatro è quello spazio magico che ospita la verità, e
recitando la si afferma, ma a condizione che il personaggio venga reso
vivo e vero dall'anima dell'attore. Quando un attore s'adira, attinge ad
un archetipo con volontà e forza, e lo stesso quando ama: Marte e Eros
s'incarnano in lui, con lui regista. Quando una persona si lascia
prendere dall'ira o dall'amore, è assente, medianica, e tutto diventa
negativo, falso, non vero. Il teatro è il luogo degli archetipi e dei
miti. In esso non c'è medianità, passività, assenza, ma solo
consapevolezza, vita, Verità: "Appunto! Come vero! Perché solo così non
è più una burla la verità!…". Ora questa frase, che prima ci era
incomprensibile, diventa chiara. Ora ha un senso.
Questo mondo sarebbe il più bel palcoscenico se ognuno di noi,
svegliandosi alla propria natura di "attore", smettesse di identificarsi
costantemente con quel personaggio in cui un giorno (per dirla
pirandellianamente) si è compiaciuto. E invece no: esso è una tremenda
finzione , una burla collettiva. Con Enrico IV, il grande drammaturgo ce
lo dice chiaro e tondo: "Guai a colui che non sa portare la sua
maschera, sia da re sia da papa": chi non sa di essere "attore" dei suoi
personaggi, chi non sa di essere l'agente, colui che agisce nei suoi
burattini, dalla vita avrà solo guai, perché credendo nella maschera che
porta diventerà finzione di sé e porterà in fronte il marchio di Caino,
di colui che non seppe recitare la parte di sacrificatore ed orante.
Il fascino che gli attori da sempre hanno esercitato è dovuto proprio a
questo: alla capacità di sapere ogni volta sgusciare fuori dalla
maschera, dal personaggio, e ritornare attori. Aver fuoco dentro, avere
un'anima, è la premessa indispensabile per potere "sacrificare" la
propria esistenza sulle tavole del palcoscenico della vita. Chi è senza
fuoco "crede di vivere, ma rimastica la vita dei morti". Essere "attori"
sta a fuoco, come essere "personaggi" sta ad acqua. Un personaggio
senz'anima, senza fuoco, è una bugia. Un personaggio infuocato, è la
verità. Ma c'è ancora un'altra cosa. Chi ha un'anima è anche ricco
d'immaginazione, e l'"attore" che immagina le parti dei personaggi che
andrà recitando, ha dato vita ad una storia con avvenimenti fissati per
sempre, "una storia in cui ogni avvenimento si svolge preciso e coerente
in ogni suo particolare", ed allora il mutamento diviene modulazione
musicale e l'armonia che la vita di quell' "attore" sprigiona è evidente
agli occhi di tutti. Ma il rischio è grande, perché il mondo à fatto per
la quasi totalità di vuoti e acquosi personaggi privi di anima, ed ogni
volta che un vero attore si presenta sulla scena e comincia ad intonare
note fuori dai righi musicali, viene preso per matto, additato da tutti
come diverso, strano. "Non si può aver sempre ventisei anni,
madonna!" dice Enrico IV alla fine del II° atto. Chi si inventa un
personaggio da vivere e poi lo vive scordandosi di essere attore, avrà
sempre 26 anni. La vita va "inventata" giorno per giorno, il nostro
essere é sempre lì dove noi siamo, perché l'Essere è dappertutto: non
esserci, o il solo pensare di non esserci, vuol dire essere scemi e
miopi.
"Al ponte Mirabau passa la Senna. I giorni se ne vanno ed io rimango",
diceva Apollinaire. Grande verità quella racchiusa in questi versi: e
per "io" intendiamo "Essere".
Che ciascuno cerchi la propria storia nello spicchio di mente in cui si
è rifugiato. Forse un giorno scopriremo che essa, come destino o Karma,
sta scritta tutta, dalla A alla Z, nei nostri geni. Così come siamo, con
questa mente, con questo corpo, con questa famiglia, con questo tempo,
con questo spazio, la nostra vita non può che essere quella che sarà per
essere. Oppure,chissà, forse domani, grazie a semplici calcoli
matematici, usando tutti questi dati, avremo la soluzione di essa. Ed
allora sì che la reciteremo bene: non potremmo fare a meno di essere
"attori", e ci sentiremo "vivi, vivi veramente…" dentro la nostra storia
e in quella del mondo.
Grazie. Nat |