Pensaci Giacomino
(L. Pirandello)

 

Perché una persona che ha una forte propensione al Divino si imbarca nel commento di una commedia come questa, divertente sì, ma apparentemente lontana mille miglia dalla  strada che porta alla Realtà?  I motivi sono tanti. Prima di tutto perché ogni artista ha sempre qualcosa da dire sulla Verità. In secondo luogo perché non si può stare ventiquattr' ore al giorno su testi sacri, filosofici o di saggezza. Poi perché è possibile trovare "percorsi metaforici" di spiritualità in ogni opera d'arte. Infine perché il teatro è stato da sempre un "luogo magico", un atanor dalle pareti trasparenti, che dà l'esatta misura di ciò che accade nella vita di tutti i giorni ad ognuno di noi: delle nostre ebollizioni, dei nostri cambiamenti di stato, delle trasmutazioni che avvengono nella "nostra" psiche, la quale alla fin fine è il contenitore dei mille burattini del teatro dell'esistenza. La realtà è che noi non siamo questi pupazzetti abilmente manovrati dai tre guna, ma è divertente vedere come ci danniamo su quelle tavole della quotidianità ad impersonare ora questo ora quel personaggio, e ad identificarci di volta in volta con essi. Sapere di essere una piccola scintilla del fuoco cosmico, della luce di quel primo e intramontabile "Fiat Lux", non risolve il problema, e non basta nemmeno averlo intuito. Occorre realizzarlo, ma siccome è il Vento (dello Spirito) che soffia dove vuole, a noi non rimane altro da fare che aspettare pazientemente, come un buon alchimista, che un alito di Vento ci investa ed alimenti un fuoco soffocato dalle mille distrazioni di Maya. Quel Vento è l'Alito della Verità, il solo capace di far risplendere la piccola fiammella che, perfetta immagine di Dio, noi siamo. Ed ecco che nell'attesa, fra un'aspirazione al Divino e l'altra, assistiamo alla recita della commedia di Pirandello, per l'appunto "Pensaci, Giacomino!", e poi ci sforziamo di commentarla, cercando di vedere in essa ( spesso non ci riusciamo e l'attesa diventa amara), una metafora di ricerca che può concludersi a volte bene e a volte no. In fin dei conti, l'alchimia non è altro che attesa, preghiera e lavoro su di sé.
Una cosa è certa: un lavoro di questo genere equivale a spalancare le finestre nell'attesa che la Luce entri e con Essa il Vento dello Spirito che sempre L'accompagna. "Ora et labora"  non è che un modo come un altro di far sentire al Padre che il figlio è pronto a ricevere. Ma è anche un modo di tendere l'orecchio spirituale, nella speranza di sentire la Voce dell'Atman gridare "Io Sono la Pura Consapevolezza, Io Sono te", e di vedere così dissolversi ogni briciolo di ignoranza, di tenebra, al sorgere del Sole. Se Giacomo è il discepolo che vuol toccare la piaga del suo Maestro Gesù per poter meglio credere, Giacomino potrebbe rappresentare quel particolare discepolo, quel particolare ricercatore che, prima di fare di tre uno, prima di creare una vera famiglia, prima di riuscire a vedere in essa la vera essenza (l'Amore), deve essere esortato dal professore (dal Maestro) ad un pensiero intuitivo più che discorsivo. Il Maestro mostra col suo esempio cosa sia questo Amore, ma la schiera degli ignoranti combatte tale Amore in nome di un amore egoico e quindi falso. L'attacco che il nostro vecchio professore fa allo Stato (il discorso sulla pensione da lasciare ad una giovinetta che funga da moglie di comodo, e quello sulla misera paga d'un insegnante) altro non rappresenta che l'amara ironia di chi vede il sovvertimento dei valori operato da chi dovrebbe favorire la saggezza piuttosto che l'ignoranza. Da che mondo è mondo si è sempre guardato a specchi riflettenti piuttosto che alla sorgente della luce. Chi fa più chiasso ha più seguito, ma a patto che non si dica nulla di metafisico, che non si parli di sottigliezze: cose concrete, "vere"(!), ecco quello che conta. L'anima? Cos'è quest'anima? Dov'è? Di che parliamo? Il corpo, ecco l'unica verità: la terra. Il Cielo? Vuoto, nulla, niente. Ecco come deve chiassare lo "specchio", e lo fa, lo ha fatto e lo farà. E questi polverosi specchi assomigliano tanto a degli strumenti che, anziché rendersi conto di non poter suonare senza un musicista, sono convinti che le vibrazioni dovute allo sternuto di questo o al gracchiare di una cornacchia, siano musica celestiale. La scintilla divina che è in noi è il musicista, è la mano che muove le corde di uno strumento, è il fiato che anima l'oboe, è la Vita che muove il direttore d'orchestra.
Ecco, ognuno di noi piccoli ricercatori deve convincersi di essere un Giacomino che, avendo sentito l'invito alla meditazione del maestro, ha solo diritto di tacere, di"pensare" e di Amare, perché l'Amore soltanto può accordare lo strumento, e l'Amore è Numero, é Armonia e Melodia, Sinfonia. Pensaci…!

 

Grazie, Nat