Mahabharata
" Il teatro e’ un alleato estermo del cammino spirituale, ed esiste per offrire bagliori, inevitabilmente brevi, di un mondo invisibile che permea quello di tutti i giorni, ed e’ normalmente ignorato dai nostri sensi" (Peter Brook — La porta aperta — ed. Anabasi) E’ per un duplice motivo che, in preparazione del gruppo di studio sulla Gita, assistiamo insieme alla rappresentazione teatrale del Mahabharata Di Carriere-Brook. Prima di tutto perche’ il Canto del Beato e’ il cuore di questo poema, e poi perche’ Brook, Carriere e tutti coloro che hanno partecipato alla sua realizzazione ci sembrano persone che hanno fatto del teatro un mezzo di autoconoscenza, di ricerca, di spontaneita’ molto prossima all’azione-non-azione del Taoismo o al vivere zen: " l’essenza del teatro — spiega Brook nello stesso libro — e’ contenuta in un mistero chuiamato ‘momento presente’ . Il momento presente e’ sbalorditivo". Quando fra poco cominceranno a scorrere le stupende immagini di questo capolavoro di saggezza e teatrale facciamo attenzione ad una cosa che potrebbe passare inosservata: tutti i personaggi sono animati da quello stupore infantile che riesce a passare con immediatezza cio’ che infiniti discorsi o lunghe sproloquiate non riuscirebbero a dire. La semplicita’ con cui Carriere ha tessuto la geniale sceneggiatura, la capacita con la quale Brook riesce ad inchiodarci a quello che lui ama chiamare ‘racconto a piu’ voci’, e cioe’ a quel sottile presente che con questa forma teatrale e’ riuscito ad esprimere nel protagonismo del raccontare, altro non sono che una fedele interpretazione di principi zen o di insegnamenti del vedanta. Uno degli attori della compagnia, quello che fra poco vestira’i panni di Drona, Yoshi Oida, nel suo libro "l’Attore fluttuante- editori riuniti" cosi dice: "Il mio vero scopo e’ purificare e trasformare coloro che vengono al teatro". Ma ora veniamo all’opera. Come ha fatto Vyasa a concepire un’opera cosi’ eccelsa? A nostro parere, con l’occhio della mente, egli e’ riuscito ad andare oltre quel muro di nebbia che divide questo mondo materiale da quello piu’ sottile che lo permea, ed essendo stato un grande saggio e’ riuscito a purificarsi ad un grado talmente alto, da essere stato letteralmente risucchiato dalle zone piu’ elevate di quel mondo, quelle popolate da Potenze e da Archetipi immortali. Il contrario di quello che oggi accade a certo tipo di visionari, che non avendo operato su se stessi alcuna purificazione ed essendo in quanche modo riusciti ad attraversare la cortina di nebbia, sono rimasti impantanati in cio’ che credono aver superato. Ma torniamo al nostro figlio della nebbia e figlio di una vergine…Nel momento in cui scopre il Mahabharata, Vyasa diviene il Mahabharata, e tale capolavoro non puo’ che essere figlio di quella Mente pura, sempre vergine, che contenendo lo stampo di ogni cosa in Archetipi e Potenze, in un infinito Presente crea ogni cosa: luce di Una Coscienza, al cui interno tutte le forme nascono e muoiono in una danza incessante. Questa luce incarnata in ogni cosa e’ la Sacra sillaba OM, e’ il Verbo, il Fiat-Pronunciamento: e’ nel ragazzo (inventato con genialita da Carriere), e’ in Vyasa, in Ganesha, in ogni personaggio ed in ogni cosa: Krisna e’ dietro la maschera di ogni cosa, dietro la nostra maschera, la nostra persona. Il racconto sta per cominciare, e con esso la battaglia che vedra’ schierati da un lato i figli di Kunti, i Pandava, le qualita’ indispensabili per la vittoria finale, per il compimento della Grande Opera: la distruzione dell’ignoranza, e dall’altro i figli del re cieco Dritarastra, per l’appunto l’ignoranza da sconfiggere. Le simbologie sono tante e appetitose:buon lavoro a tutti.
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