Romeo
e Giulietta
(Interpretazione
Esoterica)
Nella scena terza
del secondo atto, Shakespeare fa pronunciare a frate Lorenzo le seguenti
parole: "sotto la tenera buccia di questo fragile fiore, risiede
nello stesso tempo un veleno e una virtù medica; poiché se tu
l’odori, risveglia in te una gioconda eccitazione di tutto il senso;
se tu lo gusti, ti uccide, insieme col cuore, tutti i sensi.
Anche nell’animo dell’uomo, come nelle erbe, stanno accampati, in
continua guerra fra di loro, due re nemici: la grazia e la volontà
brutale; e la pianta dove la peggiore di queste due potenze trionfa, è
divorata dal verme della morte".
In queste poche righe è tutta intera racchiusa la tragedia di cui ci
stiamo occupando. Quanti di noi hanno avuto il coraggio e la forza di
scendere nei propri inferi? Quanti, una volta discesi nelle buie caverne
della propria anima, hanno incontrato il mostro che tutto divora
famelico? E quanti , infine, hanno saputo dire "io sono pure
quello"? Parte proprio dalla presa d’atto del proprio male, del
porprio "veleno", la volontà di combattere e di incatenare
tale orrendo animale odioso. Una persona che dice di essere spirituale,
religiosa, mistica o Dio sa cos’altro, e che non ha preso coscienza
del proprio lato oscuro, è semplicemente un’illusa. Nella Bagavad
Gita, Arjuna, quando vede schierate le forze del (proprio) male sul
campo di battaglia, sconfortato lascia cadere il suo arco e le sue
frecce a terra: non vuole combattere contro i suoi "parenti":
Come dire, il male è una brutta cosa, ma è pur sempre mio, quindi come
faccio a uccidere la mia stessa "carne"? Ed è proprio così:
ognuno di noi si "affeziona" al propio mostro e lo tiene
rinchiuso nella caverna, da dove lo lascerà uscire quando l’occasione
lo richiederà. Se la tragedia"Romeo e Giulietta" rappresenta
un Albero Cabalistico, e quindi un individuo con i suoi quattro livelli
di coscienza, possiamo vedere in essa, per l’appunto, lo scatenersi
della lotta all’ultimo sangue fra i due "re nemici, come li
chiama frate Lorenzo. Shakespeare, da quell’insuperabile genio che è,
riesce talmente bene ad incarnare tale lotta, che quasi ci confonde. Di
fatti i due re non sono Capuleti e Montecchi coi rispettivi seguiti, ma:
Romeo e Giulietta, l’Amore, da una parte; e Montecchi-Capuleti,
l’odio, dall’altra. E tutto questo avviene perché la coscienza, il
Principe di Verona, non sa ben contenere le odiose sbuffate del drago.
Osserviamo da vicino i due
innamorati. Ognuno, nella propria famiglia, è ritenuto virtuoso,
amabile, buono. Questo ci autorizza a dire che, sebbene saltuari, i
tempestivi interventi della Coscienza (il Principe), piano piano hanno
fatto nascere nel cuore stesso del male una fiammella d’amore, che è
ancora immatura, ma che potrà, se lo si vorrà, dissolvere ogni vizio,
ogni ombra, ogni mostro. Purtroppo il cuore del male batte per il male,
ed ignaro del dolce tepore di questa flebile fiamma, nel momento in cui
essa cerca di esternarsi, la soffoca. Ma l’AMORE è la forza più
forte d’ogni forza al mondo. Esso tutto vince, perché tutto"
comprende", e là dove vi è separazione, unisce, cementa, lega
indissolubilmente.
Questo formidabile archetipo, quando scaglia la sua freccia, quando cioè
si incarna, si manifesta, deve sacrificare una parte di sé (il suo
dardo che non uccide, ma fa ri-nascere). La freccia Giulietta-Romeo, la
fiamma d’amor vivo, donerà se stessa al combustibile- male, fino a
che questi sarà definitivamente consumato, ed essa con lui: l’amore
vince il male non odiando ma amando, comprendendo, trasmutando.
Dalle ceneri del male si leverà alta la fenice, pronta a nutrire, col
proprio sangue, i suoi piccoli. Anche preso alla lettera, questo
capolavoro Shakespeariano conserva immutato il suo messaggio: l’odio
uccide, separa, annienta, crea dolore e disperazione; l’Amore dona la
Vita, unisce, riempie, crea gioia e grazia. Due parole su Mercuzio. Egli
è amico di Romeo, ma è anche parente del Principe. Rappresenta, perciò,
una sorta di luce coscienziale riflessa, opaca, distorta: è la luna
dell’albero che attaraverso l’argentea ed insufficiente sua
lanterna, delle cose fa scorgere solo i contorni. Mercuzio è uno strano
poeta, uno strano visionario, un insoddisfatto , che con il suo acume,
la sua fantasia e la sua immaginazione, riesce ad illuminare il gruppo
dei suoi amici, ma che purtroppo non ha la costanza solare, né
immobilità e immutabilità: la luna è volubile, incostante, cambia
continuamente, ed è insoddisfatta perché sa di riflettere una luce non
sua. Marcuzio è la causa prima
della tragedia, il suo necessario sacrificio scatenerà la grande
battaglia. Ma a questo punto, ahimé, i conti non mi tornano: come può
Romeo, il bene, uccidere Tebaldo (cugino di Giulietta)? Cerco di
rispondermi così: egli non si è ancora unito alla sua amata, pertanto
è una sola polarità squilibrata: fresco dell’incontro con Giulietta,
il suo complementare, riesce a perdonare il nipote di Capuleti, ma alla
vista del sangue di Mercuzio, la sua natura yang, perde il contatto con
lo yin, e squilibratamente agisce. Per concludere due parole sulle
bellissime musiche di Nino Rota. Esse sono piene di quella commozione
che l’intera tragedia, ricca di altissima poesia, lega lo spettatore
alla vicenda e quindi…a
se stesso, perché sempre, il poeta, riesce a penetrare nell’intimo
dell’animo umano per fargli sposare la sua poesia che è verità.
Quanto a Zeffirelli, forse ha fatto bene ad alleggerire la tragedia,
risparmiandoci le morti: della moglie di Montecchi (di crepacuore per
l’esilio del figlio Romeo), e di Paride (nobile che il Capuleti aveva
destinato a sua figlia Giulietta), per mano di Romeo, nel corso di un
duello svoltosi lì accanto al corpo inerte della sua adorata.
Nonostante l’odio, le morti, le sofferenze, alla fine, davanti alla
coscienza, l’individuo ha capito che dentro di sé albergano due re, e
che il sovrano dell’odio, davanti al sacrificio d’amore, diviene il
drago che sacrificherà se stesso, ponendosi davanti alla caverna del
cuore, a guardia del Vello d’oro: l’Amore lo ha addomesticato, e lui
lascerà passare solo Amore: l’odio, riconosciuto, sarà investito dal
fuoco della sua stessa fiamma: il cuore del puro non può ricevere odio,
perché l’Amore scaccia via le tenebre, come in alto, così in basso.
Grazie Nat
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