La
tempesta Farsi prendere dalla tempesta e lasciare che essa scuota tutto il nostro essere e poi chiedersi cosa rappresentano in noi, qui ed ora, i vari personaggi, vuol dire approfittare del genio di William per visitare la nostra terra (V.I.T.R.I.O.L. = Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem, cioè a dire: visita l’interno della terra, rettificando troverai una pietra occulta). Shakespeare è per noi un maestro, cioè uno che ha conosciuto se stesso, la sua essenza. Il perdono con il quale ha riempito il petto di Prospero non è, a nostro avviso, motivato da un banale sentimentalismo, ma da una profonda conoscenza: il vecchio duca di Milano sa benissimo come la vera Essenza, la vera identità di tutti i perdonati è tale e quale la sua: coscienza onnipervadente che dà vita ad infinite forme, ognuna delle quali, per un grossolano errore di valutazione e di presunta convenienza crede di essere vera ed eterna. Suggeriamo di osservare il vecchio duca non come personaggio fra personaggi, ma come coscienza, come burattinaio. Con tale commedia William crea l’ennesima ingarbugliata comitiva di burattini, e la muove a suo piacimento, per ricordarci che ogni essere, umano e non, è personaggio, e per costringerci a stare dal punto di vista impersonale dell’Essere. Il lettore a questo punto storce il naso asserendo che Shakespeare quando ha scritto tale capolavoro non era affatto un maestro illuminato, non pensava di dire tutte queste cose, ma voleva solo divertire? Bene, probabilmente ha ragione, ma, lo ripetiamo ancora una volta, per noi il punto non è questo, ma quanto, con la nostra piccola esperienza, riusciamo a tirar fuori dalla miniera. Continuiamo dunque dicendo che il nostro grande poeta sa bene come la vicenda colpirà solo mente e cuore di coloro che, incoscienti, assisteranno al suo dipanarsi. E’ per questo che, come sempre, usa una poesia somma per prendere al laccio tali addormentati e porli dietro un labirinto di perfette geometrie. La sua lirica è come una porta aperta sulla ricca simbologia che la storia cela, e costringe l’ascoltatore-spettatore a varcarla per cercarne il motore. Sono secoli ormai che l’anima di William, Miranda, se ne sta nell’isola di questa nostra scuola che è la vita, pronta ad innamorarsi e a far innamorare il principe (il ricercatore) che sbarca fortunosamente in essa nel corso della tempesta che ha sconvolto tutto il suo essere fin dal momento in cui ha imboccato la strada del ritorno a Casa... Ma torniamo alla vicenda.Essa scandisce bene la galleria di personaggi che volta a volta si presenta sul palcoscenico del teatrino mentale di colui che ha avuto il coraggio di "scendere in miniera".Il ricercatore scopre anzitutto di avere un fratello (Antonio fratello di Prospero) che vorrà soffocarlo in quanto duca, in quanto conducente, e prenderne il posto vendendosi ad un’autorità esterna (Alonso re di Napoli): un fratello che rifiuta con tutti i mezzi la neonata e distratta coscienza, colei che decreterà la sua fine (Prospero si chiude in biblioteca e trascura il ducato). Per fortuna Alonso ha un briciolo di intuizione e lungimiranza che lo salverà: egli ha Gonzalo, un consigliere onesto e saggio. Ciò che verrà da questo connubio è Ferdinando, il principe (il nuovo aspetto del re) che sposerà Miranda. Questa rappresenta l’anima del ricercatore, che attraverso tali nozze recupererà tutte le energie negative: Sebastiano, fratello del re di Napoli; Francesco e Adriano, nobili non certo di cuore; Trinculo e Stefano, buffone e dispensiere. Nulla andrà perduto; tutto fungerà da concime, ma prima occorrerà togliere ad ognuno il suo pungiglione.Per compiere la sua opera Prospero, mago e sapiente, utilizza uno spirito dell’aria (silfide), Ariele, il quale ha al suo comando una schiera.Ma il duca, quando raggiungerà il suo scopo, abiurerà la magia, rinunciando all’uso di un immenso potere che potrebbe comprometterne la realizzazione: durante l’esistenza corporea-egoica la caduta è sempre possibile.Ora però è il caso di sottolineare come tale tempesta metta a dura prova il ricercatore serio. Essa lo lacera, lo sballottola di qua e di là, e l’ego che viveva di sensazione, prefigurando la sua fine, manda in prima linea il meglio del suo repertorio: per il tatto e l’avvenenza, il buffone; per la gola, il dispensiere beone; per la lussuria, il gran mostro Calibano; e così via per invidia, orgoglio, ira, ecc. L’Amore, il cuore puro, Miranda, li sconfiggerà tutti comprendendoli e perdonandoli.Quanto a Prospero, alla fine, come il maestro zen dell’ultimo quadro dei dieci tori, si mescola col pubblico (il maestro zen andava al mercato) affacciandosi dal proscenio e chiede; "liberatemi da ogni ceppo con l’aiuto delle vostre mani": William Shakespeare con la sua magica arte di commediografo ha creato un personaggio, per l’appunto Prospero, che se ne sta ancora lì, in quell’isola che è un teatro, e chiede al pubblico un applauso per liberare tutti (se stesso, personaggio e spettatori) dall’incantesimo. A questo punto ci va di citare Elemire Zolla (Verità segrete esposte in evidenza): "Senza la premessa della possessione quale via di conoscenza, come spiegare l’origine del teatro, la funzione dell’attore sacro?....... Ci si fermi alla possessione da parte di un archetipo che incendia, ci si spinga alla conoscenza assoluta spezzando la possessione: la materia prima, d’arrivo o di partenza, è pur sempre una visione, uno scenario, un mito". Per concludere, invece, visto che lo abbiamo scomodato, lasceremo parlare il maestro zen: "Scalzo e a petto nudo mi mescolo alla gente del mondo . I miei vestiti sono a brandelli, pieni di polvere ed io sono sempre immerso nella beatitudine. Non adopero alcuna magia per prolungare la mia vita; ora davanti a me gli alberi diventano vivi...Vado al mercato con la mia bottiglia di vino e torno con il mio bastone. Visito la bettola ed il mercato; chiunque io guardi diviene illuminato". N.M. |