Il
cielo può attendere
di Ernst
Lubitsch (1943)
Attori:
Don Ameche, Charles
Coburn , Gene Tierney
Titolo
originale:
Heaven Can Wait
(Dalla
commedia Birthday di Lazlo Bus-Fekete)
E’ una commedia che,
riassumendo in flashback i 60 anni di vita di un uomo, ostentatamente
pretende di "non dire nulla", ma "è la ricapitolazione di moltissimi
motivi e figure archetipiche che hanno ossessionato Lubitsch fin dagli
inizi: il mito di Don Giovanni, quello di Faust, quello del Doppio, la
funzione della donna come Madre e come Morte" (G. Fink).
Trama: Henry (Enrico) Van
Cleve, muore e si presenta a Mefistofele per essere ammesso all’inferno,
convinto di non meritare altro, ma Sua Eccellenza non sembra
intenzionato ad accoglierlo, tuttavia e’ disposto ad ascoltare la sua
storia.
Enrico racconta di essere nato in una ricca famiglia di New York e di
essere stato fin dall’inizio coccolato e viziato dalle donne della sua
vita: la madre, la nonna, la tata, l’amichetta Mariolina, che a sette
anni o giu’ di li’, dopo aver ricevuto in regalo da lui ben due scarabei
dorati, gli ha insegnato che per poter essere “benvoluti dalle donne
occorrono molti, molti scarabei”. A quindici anni poi, la cameriera
francese lo ha iniziato in francese ai piaceri dei sensi e da
allora la sua carriera di “libertino” e’ continuata indisturbata fino al
26esimo compleanno. Un posto particolare tra le persone che lo hanno
viziato spetta al nonno che ha vissuto di riflesso in lui tutte le
marachelle che non aveva mai fatto in vita sua e che tanto avrebbe
voluto fare, e che spesso lo ha finanziato nelle sue allegre avventure.
Ugualmente il padre, invece di disciplinarlo e pur essendo di indole
totalmente opposta, l’ha sempre giustificato e assecondato. Nel giorno
del 26esimo compleanno Enrico ha rapito e sposato Marta, innamorata
della sua intraprendenza e galanteria, fidanzata del cugino Alberto, a
cui si era promessa solo per sfuggire all’atmosfera soffocante e
litigiosa della sua famiglia. Il matrimonio con Marta ha fatto di
Enrico, a detta della madre nel suo 36esimo compleanno, un buon figlio,
un buon padre, e anche un buon marito, a parte qualche scappatella
perdonata con molta saggezza da Marta. A cinquant’anni e’ rimasto vedovo
e, malgrado la palese disapprovazione del figlio, che pure nella prima
giovinezza aveva seguito il suo esempio, ha ripreso la vita di
impenitente donnaiolo, giocatore, bevitore, nottambulo, fino a settant’anni,
quando, dopo il banchetto della festa di compleanno, ha sognato di
essere invitato a partire su un bastimento che naviga su un mare di
whisky, da una bellissima bionda mentre la musica suona il valzer della
“Vedova allegra”. Lui ha accettato di ballare e cosi’, dolcemente, e’
morto.
Questa la storia; Mefistofele non trova Enrico degno di abitare nei
sotterranei infernali e spedisce su l’inquilino perché’ piu’
adatto ai piani di sopra la’ dove l’aspettano sicuramente Marta e
il nonno, e tutte le persone che lui ha reso felici.
Nella
recensione di questo film di
naporsocapo abbiamo
trovato che:…Il
titolo appare tuttavia inspiegabile alla luce della storia ma nasconde
una fra le tante azioni di censura dei tempi che ha imposto il cambio
della scena finale (nella versione originale tagliata Henry incontrando
una bella donna in ascensore ... che scendeva ... diceva appunto "Il
cielo può attendere”)
“Il cielo puo’
attendere” ovvero il Faust di Ernst Lubitsch
Avendo approfondito
il mito di Faust (v.
www.taozen.it
appuntamenti) e avendo ridotto l’opera di Goethe a piece teatrale adatta
al ns/ teatrino del Cis (v.
www.teatrometafisico.it
copioni) c’e’ tornato alla memoria, dopo tanti anni, l’Enrico di
Lubitsch de “Il cielo puo’ attendere”, l’abbiamo rivisto con grande
divertimento e tanta simpatia ed ecco qui quello che ne abbiamo ricavato.
Enrico (= capo di casa) e’ il nome che prende Faust dopo aver bevuto
l’elisir che lo fa tornare giovane. Enrico e’ il nome del protagonista
del film.
Marta (= padrona della casa) e’ il nome della donna che spinge
Margherita a disobbedire alla madre e a darsi a Faust-Enrico. Marta e’
il nome della protagonista del film, Enrico e’ attratto da lei perché
racconta le bugie alla mamma.
Faust-Enrico induce al peccato Margherita, facendola innamorare di se’.
Enrico Van Cleve induce Marta a lasciare il fidanzato e a seguirlo,
mettendola contro la famiglia e la morale corrente.
Faust-Enrico rende felice la sua Gretel-Margherita e lei lo perdona
anche quando la lascia. Enrico Van Cleve rende felice la sua Marta e
lei lo perdona anche quando la tradisce.
Gretel-Margherita accetta di espiare la sua colpa e muore condannata al
patibolo. Marta accetta la sua malattia con molta dignita’ e muore
ancora giovane.
Dopo la morte di Margherita Faust continua la sua vita di avventure per
molti anni. Dopo la morte di Marta Enrico continua la sua vita di
libertino.
Faust muore nel godimento dell’attimo fuggente. Enrico muore
nell’adempimento delle sue funzioni di gaudente.
Goethe non fa pentire Faust dei suoi peccati, ma il perdono celeste gli
viene attraverso Margherita. Lubitsch fa altrettanto col suo Enrico,
sara’ Marta ad intercedere per lui, ma il piu’ tardi possibile (il cielo
puo’ attendere!)
Tutte queste analogie ci fanno
pensare che col suo film Lubitsch volesse veramente dare la sua
versione del mito di Faust, ma ovviamente, rivisitandolo secondo il suo
genio delicato e umoristico. Una delle differenze piu’ importanti la
troviamo nella caratterizzazione dei due diavoli, entrambi a servizio
della Divinita’: il Mefistofele di Goethe e’ crudele, odioso e
antipatico. Sua Eccellenza di Lubitsch e’ raffinato, un po’ snob
e decisamente simpatico. Lubitsch ha poi introdotto nella vicenda un
personaggio, il nonno di Enrico, che assume, insieme a Mariolina, alla
cameriera francese e all’odioso cugino Alberto (sia pure questo al
negativo, infatti Enrico fa tutto quello che Alberto non fa) il
ruolo di “maestro” del protagonista… Il nonno e’ la radice “malandrina”
del giovane Van Cleve, il padre quella “buona” di Alberto, (da evitare);
Enrico e’ l’attuazione del male di Lubitsch. un “male” che si compie
per spirito di avventura, per sfuggire alla noia, o solo perché fare
“male” e’ gradevole e divertente. Ma nel film c’e’ poi un altro
personaggio, il figlio di Enrico e di Marta che, in un certo senso,
trasforma il mito e lo redime: mentre il figlio di Faust e Margherita,
il figlio della colpa, muore annegato dalla stessa madre, il figlio di
Enrico e Marta il nipote, (l’ultimo dei Van Cleve) concilia in se’ le
caratteristiche buone e cattive del padre e del nonno del protagonista:
attento e vivace discolo da bambino, accorto e prudente libertino da
giovane, diventa equilibrato e saggio nella maturita’; per amore della
madre, che gli aveva fatto promettere sul letto di morte di rendere
felice il padre, gli perdona le sue scappatelle e lo lascia libero di
vivere come piu’ gli piace. Questo personaggio con il suo equilibrio
rispecchia il pensiero piu’ profondo del regista: come se egli fosse
consapevole della necessita’ di far sfogare una certa energia (il male)
fino a che essa stessa non giunga alla sua quiete, alla sua morte, alla
chiusura del cerchio dell’esistenza, al punto cioe’ in cui tutto cio’
che si e’ allontanato dalla Sorgente ad essa ritorna per l’esaurirsi
della spinta che da Quella l’ha allontanato. Ecco, pensiamo sia questa
la concezione della Vita dell’uomo di Lubitsch e l’abbiamo sintetizzata
ponendo i personaggi di questo film sull’Albero Cabalistico cosi’:
ALBERO CABALISTICO
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