Misura per Misura

 

"Un Angelo per un Claudio, morte per morte!".  La fretta paga la fretta, e la dilazione risponde alla dilazione, il simile rimerita il simile, e si dà misura per misura.  Atto V scena prima .(Shakespeare - Tutte le opere - ed. Sansoni '68 - pag. 864).

 

Vincenzo, Duca di Vienna, finge di recarsi in Polonia e affida il comando ad Angelo, il suo vicario, affinché provveda a reprimere il lassismo morale, in ciò aiutato dal vecchio consigliere Escalo. Si traveste da frate Ludovico e di nascosto osserva. Angelo non perde tempo: condanna a morte il giovane gentiluomo Claudio per aver messo incinta Giulietta prima di sposarla. Isabella, giovane novizia e sorella di Claudio, spinta dal fratello supplica Angelo affinché rinvii la sentenza. Questi però se ne invaghisce e le promette la vita del fratello in cambio dei favori di lei. Il condannato vorrebbe che la sorella si concedesse ad Angelo, ma il Duca, sotto le spoglie di frate Ludovico interviene e suggerisce a Isabella di accettare, ma di fare in modo che all'appuntamento vada al posto suo Mariana, una ragazza che aveva subito un torto da Angelo.  La trappola funziona: Il Duca "ritorna" e condanna a morte Angelo (pena sospesa), mentre Claudio viene liberato.
Diversamente da quanto accade in Re Lear, qui il regnante non abdica, ma cede momentaneamente il potere al suo vicario.  Interiorizziamo la vicenda: c'è una precisa gerarchia fra le "parti" che costituiscono l'uomo: prima viene l'intuizione, dopo viene la mente, poi i sentimenti ed infine il corpo. Se essa viene stravolta succedono disastri. Il vecchio Lear ne è un esempio. Ogni personaggio di Misura per misura sembra esser mosso dai sentimenti o dalle passioni. Shakespeare con questo suo ennesimo capolavoro pare volerci far toccare con mano cosa avviene quando ciò accade. Ma per far questo è costretto a recuperare quanto aveva fatto con Lear: il duca si assenta, e per combattere il lassismo morale di Vienna, impartisce la lezione da sotto le vesti del frate, aiutato dalle buone disposizioni della novizia. La morale viene recuperata attraverso i buoni principi della religione. E' proprio essa che invita ogni religioso a scrutar bene nella propria interiorità, a conoscersi, a dare un'occhiata al male che si porta appresso. Cosa che evidentemente Angelo, il vicario,  non ha fatto: non è sufficiente demolire tutte le case di ritrovo in Vienna per ripristinare i buoni costumi. Ognuno deve far funzionare la gerarchia di cui sopra, e lasciare che a comandare sia il comandante e ad eseguire sia il "servitore". I sentimenti non possono comandare sulla mente, né questa sulle intuizioni; ed il corpo deve solo eseguire gli ordini "superiori".  Mentre Claudio, il condannato, viene condotto in prigione dal Bargello, dice al suo amico Lucio che incontra per strada: "Come topi che trangugiano il loro veleno, le nostre inclinazioni perseguono un male assetante, e quando beviamo,  moriamo".  (Shakespeare - Opere: Misura per misura, atto 1° scena II, ed. Sansoni, pag. 836).  E' come se dicesse, ripercorrendo un po' l'iter platonico: la nostra anima è prigioniera del nostro corpo, che anziché ubbidire alla mente ben consigliata dal sole della ragione, va appresso alle ombre lunari create da istinti e sentimenti di bassa lega. Anziché guardare in alto, volgiamo lo sguardo in basso, e così facendo perdiamo l'equilibrio e cadiamo. Ed il veleno è costituito proprio dalle false disposizioni lunari, ovverosia dalle passioni, il fuoco divorante che consuma, il male assetante:  più ne commetti, più la sete di esso ti divora.
Il Duca, nella terza scena del secondo atto, racconta a frate Tommaso che lo aiuta a travestirsi da frate, di come le leggi per far rispettare le buone maniere esistevano ma che purtroppo non venivano applicate anche per colpa sua: "fu mia colpa lasciare che il popolo si sbizzarrirse" ( id. pag. 837). E quando il frate gli dice che sarebbe meglio che fosse lui a tirare le redini, gli viene risposto: "sarebbe tirannia da parte mia colpirli e castigarli per ciò che io ho ordinato loro di fare" (idem).
Questo, nella nostra metafora di interiorizzazione assume un significato molto importante. Nel momento in cui l'intuizione si accorge che le cose nel "regno" psico-fisico non vanno perché essa ha funzionato poco e male, allora deve lasciare sfogare il male fino alla …febbre, fino al punto in cui diventa necessario somministrare la medicina. Viceversa sarebbe come se un ladro che ha appena rubato insieme coi complici, anziché spartire il bottino, resosi conto di aver fatto male, si mettesse a predicare la morale. Il momento sarebbe sbagliato per quel tipo di discorsi. Dovrebbe cominciare a spartire il malloppo e nello stesso tempo, piano piano ed in modo sentito e suadente, mettere in evidenza le disgrazie cui andrà incontro il derubato; far capire che se qualcuno rubasse loro la cosa non  sarebbe certo gradita, ecc. ecc. E' quello che fa il Duca. Travestito da frate è in prigione per preparare e dare conforto al condannato Claudio:

Claudio: I miseri non hanno altra medicina che la speranza: io spero di vivere, e son preparato a   morire.

Duca (travestito da frate): Fate della morte la vostra certezza; così la morte o la vita saranno più dolci. Ragionate così con la vita…: un soffio tu sei, schiavo di tutte le influenze del cielo, che affliggono d' ora in ora quest'abitazione ove tu dimori. Tu non sei altro che lo zimbello della morte; ché questa t'affatichi d'evitare con la tua fuga, e non fai che correrle incontro…Il tuo migliore riposo è il sonno, e questo sovente tu sfidi; eppure grossamente temi la tua morte, che non è niente di più…Felice tu non sei; perché ciò che non hai, ti sforzi sempre di conseguire, o ciò che hai, dimentichi…  - Quando il Duca-frate ha finito di esporre "come" di parlare alla vita, dice a Claudio: "Amico…tu non hai giovinezza né vecchiaia, ma come un sonno pomeridiano, in cui sogni d'entrambe" (ivi pag. 847). E' questo, a parer nostro, il cuore del dramma.  La saggezza parla per bocca di un Duca attraverso gli abiti del frate. Shakespeare sta mettendo in evidenza l'importanza della religione. Senza di essa la moralità non può avere voce, perché la voce della coscienza è possibile udirla soltanto se il chiacchiericcio dei sensi è momentaneamente sospeso, e ciò accade solo se si sta un po' calmi e si medita, cioè se si lascia acquietare la mente, il cuore ed il corpo.
La ricerca del mistico, pare ci dica Shakespeare, deve tendere al silenzio mentale per ascoltare la voce coscienziale.  In questi brani citati è possibile ascoltare la voce di Qoelet, uno dei testi sacri della Bibbia, che deve aver lasciato nel nostro drammaturgo un solco profondo: "Vanità, vanità, tutto è vanità". Osservato dal punto di vista dell'ego, tutto è vano, perché la morte è l'unica certezza che c'è, e la vita è come un soffio, un sogno. Giovinezza, vecchiaia, e tutto ciò che esse comportano, altro non sono che scene di sogno. Questa constatazione può essere fatta solo da un risvegliato, e Shakespeare per noi lo è: ci spinge tutti sul palcoscenico del suo teatro per farci rivivere tutte le gioie e le sofferenze della vita da veri attori, da risvegliati alla nostra vera natura: un Essere infinito che coniuga Se Stesso attraverso i diecimila esseri, dando l'illusione, a ciascuna cosa, di essere altro dall' Essere. Ciò è impossibile, perché noi possiamo solo caratterizzare l'Essenza nel tempo e nello spazio secondo le regole del Suo divenire. Dal non comprendere questo nasce l'angoscia per la morte dell'ego, di quell'illusione che chiamiamo "io". Shakespeare fa come completare il discorso del Duca sulla moralità ad Isabella, che cerca di far capire a Claudio che l'onore vale più di qualche primavera in  più da vivere, considerato che la vita è un sogno: "Il senso della morte è più che altro nell'immaginativa, e il povero insetto che noi calpestiamo prova nella sofferenza corporea tanta angoscia quanto un gigante che muore". (ivi pag. 848).  Dunque, noi pensiamo di essere qualcosa che muore, che fa questo e che fa quello, mentre alla fin fine altro non siamo che abitazione di un Essere che si trasforma continuamente di vita in vita, in un gioco infinito, in una infinita rappresentazione. Forse il fine ultimo dell'uomo, in fondo, altro non é che rendersi conto di essere  una infinitesima parte di quell'Essere. Noi siamo Quello e non questo ammasso di illusorietà, questa maschera da teatro che nasconde noi a noi stessi.
Ma il Duca ha ancora qualche cosa da aggiungere dopo aver scoperto che Angelo vorrebbe condannare Claudio per un crimine che lui stesso ha commesso: "Onta a colui i cui colpi crudeli uccidono per reati a lui piacenti" (id. 853).  E qui torniamo all'inizio: per poter giudicare, occorre prima aver osservato lungamente se stessi, aver scoperto il proprio male, essersi perdonati oltre  che "puniti"; se no il rischio è quello di scaricare interamente tutta la propria spazzatura sugli altri, inconsapevolmente.   Adesso il dramma può dirsi concluso. Angelo è stato smascherato da un duca purgato dal saio, da un Duca che ha visto le radici del lassismo innanzitutto in se stesso. Ora la sua giustizia è davvero giusta e può essere resa misura per misura: "il simile rimerita il simile, e si dà misura per misura" (id. pag. 864). Non pare anche a voi che in ciò vi sia tanto dell'  "occhio per occhio e dente per dente" di antica memoria?

Grazie, Nat.

 

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