Non ti pago
(di Eduardo de
Filippo)
Scritta e presentata al
pubblico nel 40 la commedia “Non ti pago” esordisce sul palcoscenico
del Teatro Quirino di Roma. Tre anni dopo, nel 1943, ne viene realizzata
la versione cinematografica, per la regia di Carlo Ludovico Bragaglia.
Le vicende dell'opera ruotano attorno ad uno dei fenomeni piu’
caratteristici della tradizione partenopea: il gioco del lotto.
Al centro della storia e’ Ferdinando Quagliolo, gestore di un banco del
lotto, giocatore incallito e inesorabilmente sfortunato.
Non e’ cosi’ per Mario Bertolini, suo dipendente, che ama, riamato la
di lui figlia, Stella. Infatti, non trascorre giorno che l'uomo non
riceva nel sonno numeri fortunati e vincenti, che naturalmente non
trascura di giocare.
Il colmo si verifica quando l'impiegato vince una forte somma con una
quaterna datagli in sogno proprio dal padre del suo futuro suocero. Don
Ferdinando e’ esasperato da questa situazione e, geloso e invidioso
non accetta che il padre abbia dato i numeri a quel Mario che ancora non
fa parte della famiglia e che lui non vuole come genero.
“Non ti pago!” gli urla inferocito, “O bilietto E’ mio! Manco nu
squadrone 'e cavalleria m'o leva dint' a sacca. T''o viene a piglia’ 'ncopp'
'o Tribunale”.
Si rifiuta assolutamente di pagare la vincita, tiene in consegna la
cartella, affermando che quello del defunto padre e’ stato solo un
errore di persona....Contrasti a non finire, tra malintesi e colpi di
scena con moglie, figlia, collaboratori domestici, prete e avvocato,
fino alla felice conclusione.
(sintesi tratta da sito Rai
Due)
“Non ti pago”
interpretazione cabalistica
Tutta la vicenda ruota intorno
al giuoco del lotto. Che cosa puo’ significare questo “fenomeno” in
chiave simbolica per un ricercatore spirituale? Una volta che avremo
risposto a questo interrogativo anche tutti i personaggi e le loro
azioni e passioni acquisteranno un significato simbolico.
Tutti i giuochi d’azzardo, le scommesse, le lotterie hanno sempre avuto
un grande successo e i vari governi dopo aver cercato di proibirli in
tutti i modi alla fine li hanno legalizzati tassandoli e rendendoli
insieme appetibili e facilmente accessibili. Che cosa spinge la gente a
sperare in una possibile (anche se assai poco probabile) vincita che
potrebbe portare ad una ricchezza favolosa con una piccola “giocata”?
L’esigenza di ricerca del “paradiso perduto”, della felicita’ che molti
credono possa realizzarsi con la ricchezza materiale e che invece di
essere ricercata la’ dove e’ il suo Regno, lo Spirito, viene
volgarizzata e svilita nel “denaro”. E se qualcuno altro, che non siamo
noi, riesce a “vincere” e a guadagnare per “caso” o per sua “fortuna”
una bella somma, ecco che si sviluppa uno dei vizi capitali piu’
pesanti: l’invidia.
Con la commedia “Non ti pago” Eduardo ha fotografato in un Albero
cabalistico la nascita, la crescita la maturazione e anche, grazie alla
sua presa di Coscienza, l’ estinzione di questo vizio. Saverio (=
splendente), Ferdinando (= coraggioso nella pace) e Mario (= forte,
virile), Concetta (= pura) e Stella (= dea), Lorenzo (= d’alloro) e don
Raffaele (= guaritore divino) con gli altri personaggi minori
rappresentano tutte componenti interiori dello stesso Eduardo che in
quest’opera si e’ conosciuto nella contraddizione interna di “parti” in
lotta tra loro per “invidia”: Ferdinando, il padre, (Chesed, la mente)
e’ benestante, con una bella moglie (Geburah) e una bella figlia (Yesod),
ha aiutanti e dipendenti e un avvocato (Hod) e un prete (Netzach) dalla
sua: gioca al lotto (tenta la fortuna) tutti i “sabati” e tutti i
sabati perde, si arrabbia e invidia il giovane Mario (Tiphereth), il suo
futuro genero, che vince tutti i “sabati”. Si sa, il “Cuore” vince
sempre sulla “mente”. Ferdinando in particolare invidia Mario perche’
il defunto nonno Saverio (Daath) gli ha fornito la quaterna vincente:
una serie di numeri da giocare: 1-2-3-4 che Mario ha giocato e con la
quale ha vinto tanto da potersi ora considerare “ricco” = pieno d’oro.
Noi sappiamo che tutti i numeri sono “sacri”: tutti i numeri vivono di
lettere sacre perche’ la vita e’ sacra e tutto e’ Vita e si dovrebbe
poter “vincere” con tutti i numeri, purche’ li si conoscesse veramente,
ma assai di rado abbiamo un “nonno” che ci comunica la quaterna
“giusta” al momento giusto: certamente 1-2-3-4 , essendo i primi 4
numeri fondamentali (1+2+3+4=10), sono la base della “ricchezza”, con
essi si forma tutta la Kabbalah e si realizza la conoscenza del Mondo,
ma solo“Mario”( Il Sole,Tiphereth), sposo di Stella (la Luna, Yesod)
puo’ “giocare tale quaterna” tutte le altre componenti invece debbono
collaborare alla riuscita della vincita senza interessi particolari o
invidie o ripicche: l’Albero e’ Uno e solo quando la vincita diventa
“dote” di Stella tutte le “maledizioni” si sciolgono e la pace e la
prosperita’ tornano in famiglia. Eduardo si e’ accresciuto
nell’armonia reciproca delle sue Sephiroth raggiunta nella
comprensione, sopportazione e collaborazione.
L’invidia si e’ riconvertita in Amore e l’Albero e’ sbocciato.
Grazie. F. V.
Non ti pago -
Interpretazione esoterica
…"E se l'automobile esistesse
solo come metafora della creazione? Ma non bisogna limitarsi
all'esterno, o all'illusione del cruscotto, bisogna saper vedere ciò che
vede l'Artefice, quello che sta sotto. Ciò che è sotto è come ciò che è
sopra. E' l'albero delle sefirot.
"Non me lo dica."
"Non sono io che dico. Esso
si dice. Anzitutto l'albero motore è un Albero, come dice la parola
stessa. Ebbene, si calcoli il motore di testa, due ruote anteriori, la
frizione, il cambio, due giunti, il differenziale e le due ruote
posteriori. Dieci articolazioni, come le sefirot…"
( Umberto Eco - Il
pendolo di Foucault - Bompiani, pag. 399).
Aldilà dell'indagine storica,
della satira, della chiara presa in giro del mondo dei cosiddetti
occultisti, quest'opera trasuda divertimento. Eco, a scriverla, deve
essersi divertito. A volte sembra che essa sia nata attorno ad un tavolo
di trattoria, mentre l'autore e due tre suoi amici burloni come lui
consumavano un piatto di trippa accompagnato da buon vino. Cosa c'entra
tutto questo con "Non ti pago"? Ebbene, le stesse risate che Umberto Eco
si è fatte prendendo in giro i Rosa-Croce, i massoni, o i cabalisti, a
nostro parere se l'è fatte Eduardo de Filippo prendendo in giro quell'immenso
e inesauribile teatro che è la napoletanità.
Detto questo, possiamo, o
chiederci come Eco: e se "Non ti pago" fosse metafora della ricerca? E
da qui partire per divertenti "smorfie" di ogni scena della divertente
commedia, per ricavarne "numeri" da "giocare", sciogliere in uno strano
cabalistico commento. Oppure cercare di capire quel puro gioco che ha
nome "Don Ferdinando Quagliolo". Noi ci buttiamo a capofitto sul
Quagliolo, concedendoci di tanto in tanto qualche puntatina sul glifo
cabalistico. Ora, poiché parlare di don Ferdinando vuol dire parlare di
Napoli, diciamo subito che tale città è un teatro a cielo aperto. Essa è
il palcoscenico più grande del mondo, dove in diretta e per 24 ore al
giorno si recita la vita. Se l'albero sefirotico rappresenta l'individuo
coi suoi quattro livelli di coscienza (fisico, astrale, mentale,
spirituale), quello di un napoletano dovrebbe subire delle leggere
modifiche. Se a Milano o a Bologna le gerarchie prevedono che lo spirito
comandi alla mente che a sua volta domina sui sentimenti che precedono
il fisico, a Napoli le cose stanno diversamente: Spirito e sentimento
stanno insieme in alto, ed alle loro dipendenze stanno mente e fisico
accorpati. D'altronde, se non fosse così, Napoli non sarebbe quel
grandioso palcoscenico a cielo aperto che é. Ma volendo andare oltre,
possiamo azzardare l'idea che questi due insiemi di stadi di coscienza
(spirito-sentimento e mente corpo), nel napoletano possono essere
ridotti alla perfetta unità: Quagliolo Ferdinando è una geniale massa
amorfa che racchiude in sé una shakerata dei quattro stati di coscienza.
E' davvero incredibile come l'invidia di don Ferdinando comandi alla
mente e al corpo così bene. Il ragionamento illogico con cui egli cerca
di giustificare l'indebita appropriazione della giocata vincente (una
quaterna) e l'assurdo "non ti pago" (Ferdinando è titolare della
ricevitoria del lotto in cui sono stati giocati i quattro numeri),
diventa comprensibile solo se ci si ricorda della differenza dell'albero
cabalistico vigente a Napoli: se prima viene l'invidia, tutto trova
giustificazione, ed ogni ragionamento illogico, diventa tremendamente
logico e serio. Perché Mario Bertolini, un suo impiegato e fidanzato
della figlia, ogni settimana azzecca una vincita, e lui, Ferdinando
Quagliolo, che sale persino sui tetti in compagnia del suo inseparabile
amico Aglietiello per trarre auspici dalle nuvole in movimento, non
vince mai? L'invidia qui assume i contorni di vera "ricerca"(!): perché
quello sì, e lui no? Lui che gioca tantissime giocate e che quasi è uno
studioso del lotto? A Napoli tutto questo non è giusto, è inconcepibile,
e l'unico rimedio cui Ferdinando Quagliolo può mettere mano una volta
che ha scoperto la grave ingiustizia è: non ti pago! e sequestro della
giocata.
Tanto più che stavolta il
Bertolini ha ricevuto i numeri in sogno dal padre di Ferdinado. E' stata
la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E proprio qui possiamo
osservare la particolarità dell'albero cabalistico napoletano: mondo di
veglia e mondo di sogno stanno insieme, si confondono. Quagliolo tiene
duro per un po', ma alla fine deve cedere alle insistenze di tutti: dà
la giocata a Bertolini ma scaglia una maledizione alla persona del
vincitore: la sua invidia può trovare pace solo con l'eliminazione
fisica del "rivale", fortunato al gioco, o con la sua sofferenza…Alla
fine però trionferà Napoli…: Ferdinando Quagliolo ha ragione…
Grazie Nat.
“Non ti pago” di
Eduardo de Filippo int. di Marijana
In una serie di studi e lezioni sul tema
dell’umorismo, Baudelaire scriveva: “Il riso è profondamente umano,
dunque è diabolico. Gli angeli non ridono (sono troppo preoccupati in
numero inverosimile sulla punta di uno spillo); il diavolo sì. Ha tempo
da perdere, tutta un’eternità per coltivare il proprio disagio. Al
comico che chi ride si sente così sicuro della sua verità da poter
guardare con superiorità alle contraddizioni altrui. Questa sicurezza,
che ci fa ridere delle disgrazie di un’inferiore, è naturalmente
diabolica.”
Quale sorta di ridere provoca l’umorismo
di Eduardo de Filippo con il suo rovesciamento grottesco e buffonesco?
Mi ricordo delle compagnie teatrali
italiane che venivano in Jugoslavia a presentare le opere di Eduardo de
Filippo. Per noi andare a vedere “Filumena Marturano”, “Napoli
milionaria”, “La grande magia” era una festa; significava regalarsi una
serata particolarmente piacevole e partecipare ad un autentico viaggio
attraverso l’italianità. Il pubblico di Eduardo de Filippo, da tutte le
parti del mondo, spontaneamente rinunciava al distacco e alla
superiorità di cui parlava Baudelaire, proprio perché Eduardo proiettava
la sua Napoli nella sfera senza confini dell’esperienza umana e questa
città diventava un microcosmo, una metafora del mondo, così come lo è
per Joyce la Dublino dell’Ulisse, “l’ombelico del mondo”.
Quando domenica scorsa ho assistito alle
immagini misteriose, arcane, prive di colonna sonora della vecchia
commedia “Non ti pago” (anche se ho trovato un po’ di difficoltà con il
dialetto e mi stavo ricordando delle parole dello stesso Eduardo che una
volta disse: “Le commedie quanto più sono in dialetto, tanto più
diventano universali”) ho avuto la sensazione che la commedia si
avvantaggiasse di questo modo così ipnotico di riproporlo. I personaggi
e le situazioni che venivano da un tempo remoto (che però, conservava
gli aspetti essenziali dell’opera classica) avevano assunto una castità
e una leggerezza incredibili.
C’è un soggetto tradizionale e grottesco
nello stesso momento, trattato con il modo del buon teatro
d’osservazione e di carattere. Si chiama Ferdinando ed è il gestore del
botteghino del lotto. Gioca sempre, ma non azzecca mai il numero, mentre
il suo impiegato Mario vince sempre. Per colmo, indovina una quaterna
che gli ha dato in sogno proprio il padre di Ferdinando. Quando
Ferdinando si rifiuta di pagargliela e si tiene la cartella perché
considera sua la vincita, si realizza un rapporto tra i due personaggi
apertamente farsesco. Eduardo de Filippo ha creato questo rapporto
complicato e concitato con un crescendo di fantasie paradossali, litigi,
trovate spiritose e lazzi sfrenati. Secondo la logica paradossale di
Ferdinando, suo padre ha sbagliato persona perché Bertolini abita
proprio nella casa dove abitava lui quando suo padre era ancora vivo.
Ricorre anche all’avvocato e al prete nel tentativo di trovare
l’appoggio alla sua tesi. Chiede aiuto allora, al proprio padre
rivolgendosi al quadro appeso al muro. E questo aiuto pare che proprio
arrivi: ogni volta che l’impiegato tenta di incassare la vincita, arriva
una disgrazia. Da un lato c’è il modo napoletano di reagire all’angoscia
e alla miseria del vivere, dall’altro ineluttabile presenza della morte
attraverso l’esorcismo o, per meglio dire, la superstizione. Eduardo de
Filippo ha creato un personaggio complesso rappresentando la sua ira
sbalordita, la convinzione testarda e l’irragionevolezza, salendo dai
toni che suscitano il riso a quelli che sfiorano il dramma.
Lui stesso ha interpretato Ferdinando e
l’ha fatto con una ambigua prodigiosità, non lasciando mai scoprire il
limite fra passione e ragione, follia e simulazione, esibizionismo e
delirio. In tale modo ha portato la commedia verso una specie di
dolorosa esasperazione di comicità, lasciandola però, qualche volta,
alla ricerca della più folle ilarità.
Proprio per questa ilarità ancora una
volta ero piena di gratitudine verso questi attori, di quella
gratitudine che si prova verso chi fa del bene. E non sono forse i de
Filippo, benefattori dell’umanità, come Totò o come tutti coloro che
sanno smemorarti e riproporti un momento liberatorio attraverso il
ridere?
Anche se in questo modo forse tradiamo la
nostra parte diabolica di cui parlava Baudelaire.
|