L'occhio del diavolo
Don
Giovanni
Da Mozart a Bergman, attraverso Kierkegaard.
Nel 1630 nasce ufficialmente
il personaggio di Don Giovanni. Il padre di esso é Tirso de Molina con
l'opera El Burlador de Sevilla y Convidado de pedra. Leggendone
la trama (in Carotenuto 94) è possibile scorgere quella che sarà la
vicenda del libretto d'opera di Lorenzo da Ponte per il Don Giovanni di
Mozart. Tale figura ha affascinato generazioni di artisti e psicologi.
Si sono occupati di lui oltre a Mozart e Korsakov in campo musicale,
Goldoni, Molière, Byron, Sthendal, Dumas, Kierkegaard, Delacroix,
Bergman, e tanti altri. Il suo fascino, dunque, ha mietuto vittime non
solo in campo femminile…Ciò che rimane un mistero è il segreto di tale
fascino. Perché questo personaggio ha attratto tanta arte? Registi,
pittori, scultori, scrittori, attori, musicisti, librettisti di ogni
tempo hanno contribuito a creare il mito di esso, spinti da un fascino
irresistibile.
Don Giovanni è un seduttore. Per il momento dimentichiamo tutti i suoi
tanti difetti (assenza di scrupoli, egoismo esasperato, sensualità
sfrenata, cattiveria, imbroglio, ecc. ecc.), e focalizziamo la nostra
attenzione sulla facilità con cui riesce a conquistare le donne.
Prendendo uomo e donna dal punto di vista simbolico, cioè come maschile
e femminile, come le due polarità del Tao, dell'Energia Cosmica
Universale da cui tutto promana e che tutto sostiene, la causa del
fascino che tale personaggio esercita è da ricercare proprio nella
estrema facilità con cui egli riesce, unendo tali due polarità, a
"rendere manifesto" il Tao, o, in termini cabalistici, a costruire il
tempio per la Shekinàh, lo Spirito di Dio. Anche qui siamo costretti a
dimenticare per un attimo la conseguente e quasi subitanea distruzione
di tale tempio da parte del nostro seduttore. Egli infatti abbandona
regolarmente le sue "vittime" secondo uno schema che è la caratteristica
propria del nostro sciupacuori: conquista-abbandono-nuova conquista-
nuovo abbandono-…
Quindi egli ha la capacità di creare una sorta di Tai Chi (simbolo della
doppia natura del Tao), riuscendo ad incarnare un Eros dalle ali sempre
in moto ma dalle frecce "avvelenate".
Ecco cosa ha spinto tantissimi artisti ad occuparsi di lui, e tantissimo
pubblico a "seguire" le loro opere: tutti, creatori e fruitori,
desideravano una sola cosa, e cioè che tale tempio rimanesse sede
permanente di un Eros nel senso classico, che tale Tai Chi cantasse
costantemente l'eterna canzone del Tao, che la Shekinàh dimorasse nello
spazio sacro della coppia (nel sacramento del matrimonio)
permanentemente. Ma nonostante tale formidabile collettivo desiderio
leggittimo, tutti dovevano regolarmente fare i conti con la propria
assoluta convinzione della irrealizzabilità di esso. Ecco il paradosso:
desiderare l'impossibile. Impossibile perché, per sua natura, un
seduttore, non può essere fedele: a spingerlo alla conquista non è Eros,
Don Giovanni è senz' anima. Egli usa la fascinazione del serpente. Per
lui il momento della conquista costituisce l'apice della sua quotidiana
"battaglia": nel momento il cui la donna si arrende ai suoi forsennati
assalti, egli incassa un nome su una rubrica, aumenta la sua forza di
conquista e nello stesso tempo vampirizza quasi la sua vittima,
rendendola priva di ogni volontà. Quindi la forza del personaggio sta
tutta nella rievocazione della biblica tentazione di Eva da parte del
serpente. Don Giovanni è ingannatore e bugiardo, non può non esserlo,
perché il suo comportamento induce in errore la vittima di turno. Avere
una propria volontà vuol dire avere il lume della ragione, ma il lume
dell'intelletto altri non è che Presenza costante del Divino. Stiamo
parlando di Amore (Dio) e di Adamo-Eva. Il serpente altri non
rappresenta che le forze infere, oscure. L'Ombra, una sorta di luna che
ponendosi fra Sole e Terra, fra Dio e noi, crea "l'eclissi" . Il
fascino di D.G. è come un serpente che sussurra nell'orecchio della
donna bugie che la inducono all'obbedienza. Ma così facendo la
"navigazione" è compromessa: a guidare la rotta non sarà più la stella
polare, ma un buco nero che tutto divora. D.G. è diabolico e quasi
irresistibile, e diciamo quasi perché Donna Anna rappresenta colei che,
avendo scelto l'amore anziché l' istinto animalesco, ha condannato alla
sconfitta il seduttore. Ma qui è il caso di fermarsi e chiarire un po' i
termini della vicenda, perché senza quasi accorgercene siamo passati da
un discorso generale e introduttivo alla vicenda più nota, a quel
Dissoluto punito ossia il Don Giovanni di Mozart - Da Ponte, che
tanto ha contribuito alla creazione del mito.
Noi siamo convinti che Bergman, prima di dar vita al suo D.G. nel film
L'occhio del diavolo si sia documentato bene sulla figura del
seduttore così come presentato dai vari artisti. Naturalmente alla fine
s'è scavato parecchio ed ha tratto fuori dai suoi inferi il suo
D.G., ma prima si è imbevuto del mito. La stessa cosa aveva fatto con
Il settimo sigillo, laddove una profonda lettura dell'Apocalisse di
Giovanni gli aveva preparato il terreno insieme con una serissima
ricerca storica.
E' indubbio (lo si sente fra le righe) che Bergman abbia letto il Don
Giovanni la musica di Mozart e l'eros di Kierkegaard ed abbia più
volte riempito il suo animo delle musiche del divino musicista. Non
dimentichiamo che a questo grandissimo maestro ha dedicato un altro film
geniale, Il Flauto magico, in cui è riuscito a "legare" la musica
all'anima, intrecciando i visi, gli occhi, le menti dell'uditore e la
poesia della Natura alle note musicali, che come un magico filo
tessevano la trama di un "non film", di una vicenda apparentemente
assente. La grandezza di tale regista sta proprio nell'esser riuscito a
creare una non-vicenda, una sospensione dell'anima che potesse far
precipitare le magiche armonie celestiali del Flauto magico, in una
terra vergine sedotta, questa volta, da Eros in persona. Questa
parentesi ci deve guidare verso l'intreccio Mozart-Kierkegaard-Bergman,
il vero padre dell' Occhio del diavolo.
Ovviamente, per capire meglio il nostro lavoro sarebbe auspicabile una
lettura del filosofo dopo un attento ascolto-visone del musicato dramma
giocoso in due atti di Lorenzo Da Ponte.
Cominciamo da Mozart. Egli musicò il libretto di Da Ponte dal Marzo al
27 Ottobre 1787 (Paldi 85). Per potere capire l'entusiasmo con cui il
filosofo Kierkegaard accoglie la musica di Mozart del Don Giovanni,
occorre conoscere sia un po' di biografia del più grande figlio di
Copenaghen (di cui parlaremo dopo), sia il modo in cui il grande
musicista austriaco intendeva l'opera. Per Mozart il libretto d'opera
era un mero pretesto per far musica. In tutte le sue opere, la musica è
protagonista assoluta. Libretto, personaggi, vicenda ed eventuale mito
cedono tutti la loro essenza alle note ispirate, di modo che, alla fine,
la parte musicale dell'opera riesce ad essere l'incarnazione di un nuovo
Mito nato dalle ceneri del tutto. Come se, considenrando i vari
componenti come Caos, Mozart-alchimista riuscisse a trarre da
esso dapprima l'elisir di lunga vita per l'anima, ed infine la Pietra
Filosofale. Massimo Mila, nella sua Breve storia della musica ci
spiega tutto questo attraverso il filtro di un grande conoscitore di
partiture, di estetica e di bellezza: "l'Opera si configura per Mozart
prima di tutto come un gioco, dominato dalla musica in qualità di
assoluta signora, cui la parola si sottomette come devota ancella.
Qualunque passione, per quanto forte, deve evitare di trascendere in un
volgare realismo, per non violare le leggi supreme di bellezza, da cui
la musica è sempre retta, anche nel teatro" (pag. 190). Lo stesso
Massimo Mila in Lettura del Flauto Magico (pag. 19) a proposito
delle tre grandi opere scritte da Mozart su libretto di Da Ponte (in
Italiano), ci dice che "Mai si era visto una così spettacolosa
coincidenza di suono e vicenda drammatica; mai si era visto la musica
creare i personaggi e letteralmente riempirli, impastarli di sé con
tanta evidenza e continuità.. Lo spettacolo della vita umana fatto
musica, questo è il segreto dei capolavori italiani di Mozart…"
Mentre condividiamo ogni parola del Mila, ci piace aggiungere che per
noi Mozart più che creare, ricrea in senso alchemico, come prima si
diceva, utilizzando quella Materia Prima che tutto anima, quella
Bellezza, quell'Amore che come una leggera pioggia accompagnò sempre
Wolfgang Amadeus Mozart, come la Nube Divina accompagnava l'Arca
dell'Alleanza di Israele. Il 28 Maggio del 1787 muore Leopold Mozart,
il padre del nostro compositore. Il dolore è grande (suo padre lo aveva
sempre seguito, sin da piccolo, sia musicalmente - era un bravo
musicista - sia come figlio). Lui sa che l'unico modo per riuscire a
sopportare la grave perdita è immergersi nella composizione, nella
musica. Avendo già preso un impegno per la scrittura di un'opera, non
gli manca che procurarsi un buon libretto. Da Ponte, che aveva già
scritto per lui le Nozze di Figaro, gli propone Don Giovanni. Mozart lo
legge e si fa catturare dalla vicenda. Cesare e Ida Paldi, con il loro
Le grandi opere liriche di Mozart ci informano che il nostro
geniale musicista "compose l'opera in uno stato di continua eccitazione.
Egli amava in modo straordinario il suo Don Giovanni tanto che scrisse:
…Il mio cervello s'infiamma…il soggetto si crea davanti a me tutto
intero…Io non sento una dopo l'altra le parti dell'orchestra, ma tutte
insieme. Con quale gioia, non posso esprimerlo. Mi sembra di avere un
meraviglioso sogno. E' forse il più grande dono del quale io debba
essere riconoscente a Dio".
Queste poche parole di Mozart sono lo specchio in cui viene riflessa
tutta intera la sua grande umiltà: egli riconosce la sua piccolezza resa
felice da un dono celeste. La "sua musica" non è sua, è divina. Ecco
perché il divino Mozart. Ma torniamo al suo Don Giovanni. Per
capirlo ancora meglio, bisogna sapere anche che nei suoi rapporti con le
donne "Mozart fu un innamorato infelice" (Aloys Greither, 62), e che il
suo rapporto con la morte fu molto stretto. In una famosa lettera,
scritta al padre già gravemente ammalato, il 4 Aprile 1787, confessa:
"…Non vado mai a dormire senza riflettere che forse il giorno dopo, per
quanto io sia giovane, non ci sarò più…" (idem pag. 59). Quanto alla
sua religiosità, egli fu un massone convinto e "quando fu sul punto di
morte, nessun prete della parrocchia di St. Peter volle andare da lui
per somministrargli l'estrema unzione.(idem 57). Tutto questo nonostante
a quei tempi parecchi ecclesiastici frequentassero le logge massoniche.
I suoi prinicipi religiosi, i suoi rapporti con le donne e con la morte,
influirono molto, a nostro parere, nel fargli amare oltremisura il
personaggio di Don Giovanni. Quello che Giulio Confalonieri dice del
nostro compositore nella sua Storia della musica, noi lo
sottoscriviamo, come pensiamo lo abbia sottoscritto 'anticipatamente' il
filosofo danese: "…il più gran genio musicale, io credo, che non solo
le età storiche abbiano creato sino ad oggi, ma che ancora potranno mai
creare lungo il corso venturo dei secoli…" (pag. 326)
Dopo questa breve parentesi Mozartiana. Parliamo un po' di Kierlegaard.
Egli era un uomo fuori del comune e sapeva di esserlo. Il suo esser qui,
su questa terra gli dava la sensazione di trovarsi aldisopra delle righe
rispetto a tutti gli altri uomini. Era un uomo "di confine", come
Nietzsche; un poeta, come amava definirsi; uno a cui Dio aveva affidato
una missione; uno che ha rinunciato all'amore , perché già fidanzato a
Dio fin da bambino. Tutte affermazioni queste che è possibile cogliere
nel suo Diario: La mia sofferenza , in un certo senso, dipende dal
fatto ch'io veramente non sono un uomo: io sono troppo spirito…Il mio
unico rifugio è Dio. Ecco perché Egli mi tiene in suo potere in un modo
così tremendo…" oppure: "E' evidente che chi è rivestito di
autorità divina , può andare infinitamente più avanti di un uomo
comune…" (pagg. 51, 65), o ancora "…io sono stato dotato di
un'intelligenza eccezionale..(72). Ovviamente Kierkegaard non era
un bullo o un buffone, era davvero una persona eccezionale, come lo era
Nietzsche. Chi nasce grande, sa di esserlo, e lui lo sapeva. K. Si era
innamorato di una ragazza, si chiamava Regina, con cui avrebbe voluto
condividere solo le felicità. Siccome si rese conto che ciò era
impossibile, poiché non poteva escluderla dalle sue malinconie, e
siccome aveva già una missione da compiere, cioè quella di creare presso
i suoi simili quello spazio che avrebbe permesso a Dio di manifestarsi,
ha deciso di farle credere di non amarla, arrivando persino ad inventare
calunnie sul proprio conto. Ovviamente non pretendiamo di avere svelato
con queste due parole l'animo del filosofo danese, per la cui conoscenza
è bene leggere le sue numerose opere. Abbiamo voluto solo inquadrare K.
come abbiamo fatto per Mozart. Ora, solo un genio può capire un altro
genio. Ecco perché il nostro pensatore si è accostato a Wolfgang: era in
grado di capire la sua febbre compositiva, il suo furore creativo, la
bellezza della sua musica. Ma il suo accostarsi al Don Giovanni è stato
anche stimolato dal suo rapporto con l'amore. Come Mozart riesce ad
annientare la pochezza del libretto d'opera, la passionalità dei
personaggi, la buffoneria di alcuni di loro, e soprattutto tutte le
ansie, le paure, i desideri sfrenati, la sensualità, l'impreparazione
alla morte del Don Giovanni, nelle sue ispirate note; allo stesso modo,
nella sua opera, Kierkegaard riesce a riconvertire in AMORE l'amore
terreno. Il filosofo Danese, come Mozart aveva rapporti particolari con
la chiesa: "Si è sostituito l'individuo, il Singolo col 'genere'; in
ciò sta la differenza fra il Cristianesimo della Cristianità e quello
del Nuovo Testamento…La corruzione fondamentale dei nostri tempi
consiste nell'aver abolito la personalità" (Diario pag. 264-265;
pensieri 3301, 3313). "Questo" Kierkegaard si è accostato al Don
Giovanni di Mozart, si è innamorato della musica, e tutte le sue
impressioni e intuizioni le ha raccolte in un libro che non poteva che
essere affascinante, anche se a volte non condivisibile al 100%: Don
Giovanni - la musica di Mozart e l'eros, su cui ora spenderemo
qualche parola. E' sicuramente un lavoro per certi versi paradossale, e
Remo Cantoni, nel suo saggio introduttivo dell'edizione Mondadori, ce lo
dice in due parole: "Resta il fenomeno curioso di Kierkegaard
cristiano, che eleva un inno alla musica, nella quale riconosce
l'elemento antireligioso e demoniaco, dialetticamente escluso dal
cristianesimo" . Una cosa che si deve sapere subito è che per
Kierkegaard "l'idea più astratta che si possa pensare è la genialità
sensuale" (pag. 57 op. cit.) e l'unico medium che la possa
rappresentare è la musica. Essa non è racchiusa nel momento ma nella
successione di momenti, è costante movimento epico, essa si muove
costantemente nell'immediatezza. La può rappresentare solo la
musica, perché questa ha in sé un momento del tempo, eppure non
scorre nel tempo se non in senso improprio, perché la storicità del
tempo non riesce ad esprimerla. Queste idee, il filosofo danese le ha
affidate alla introduzione al suo Don Giovanni, ma a giudicare dal
titolo (Introduzione che non dice nulla) pare non fosse poi
riuscito ad esprimerle come voleva. Tuttavia, l'entusiasmo con cui parla
delle musiche di Mozart racchiude perfettamente ogni sua idea relativa a
quelle note. Forse Kierkegaard avrebbe voluto semplicemente dire che
Mozart era riuscito ad incarnare uno "spirito" allo stato puro, senza
rivestirlo di carne (!). Cosa un po' paradossale pure questa, ma per uno
che ama le musiche di Amadeus, è accettabile. Dopo avere dimostrato che
questo Don Giovanni musicale è opera classica (unica nel mondo
musicale) per concludere il suo pensiero in proposito, Kierkegaard, come
un innamorato che non riesce a staccarsi dal volto dell'amata, ritorna
sull'argomento continuamente: egli è stato talmente sedotto dalla
musica, che l'animo suo esige pensieri ed analisi continue dell'opera. E
tutto questo ce lo fa capire in una frasetta buttata lì come per caso: "Questa
analisi è come un'appassionata disputa d'amore intorno a un nulla,
eppure ha il suo valore - per gli innamorati" (pag. 58). Insomma,
Kierkegaard voleva, parlando del Don Giovanni musicale mozartiano, che i
suoi pensieri ed il suo scritto raggiungessero la stessa intensità
lirica, la stessa classicità racchiusa nelle note. Sperava che il suo
innamoramento potesse fargli raggiungere lo scopo prefisso, ma sapeva
benissimo che, parlando da oltre le righe, non sarebbe stato capito: "Quel
lettore, dunque, non potrebbe simpatizzare con la lirica del mio
pensiero, che è talmente eccessiva che va oltre il pensiero". (pag. 59).
Ma come dicevamo, il filosofo danese è un borderline, un uomo di
confine come Nietzsche, come Tagore, come Rilke, come Kafka, e per lui
non è facile essere compreso. Attenzione però, stiamo parlando di
comprensione e non di condivisione. Io posso capire il pensiero di una
persona e non condividerlo.
Ma torniamo in argomento. Tutti questi nostri discorsi vogliono solo
dimostrare (è la nostra tesi) che Bergman, consciamente o meno, ha
costruito il suo Don Giovanni sui fuochi cretivi di Mozart e di
Kierkegaard, sulle amplificazioni che entrambi - l'uno con la musica,
l'altro coi pensieri - hanno prodotto al mito. Ecco perché adesso sono
costretto a citare un piccolo periodo di K: "Dire che il
cristianesimo ha portato la sensualità nel mondo mi pare una tesi molto
arrischiata. Ma anche qui vale il detto: chi osa ha già vinto mezza
battaglia; lo si capirà appena ci si convinca che ogni posizione
indirettamente pone ciò che essa esclude". Sono su frasi come
queste che i gran geni della psicanalisi alla fine hanno costruito la
loro disciplina. Kierkegaard, Nietzsche, gli scrittori russi e americani
insieme con una schiera di filosofi di ogni tempo e paese (per non
parlare dei testi sacri e di saggezza) sono i veri studiosi dell'anima,
coloro che - per dirla con Hillman - hanno più di tutti fatto anima.
Insomma, a questo punto K. è autorizzato a dire che la musica è arte
cristiana, e quanto il cristianesimo ha escluso da sé (genitalità
erotico-sensuale) è esprimibile solo da essa, che diviene così il
demoniaco. Kierkegaard fa poi un'altra importante considerazione, e cioè
che la musica non esiste se non nell'istante in cui viene eseguita
(72). Una pittura, una scultura, un'architettura è lì nello spazio
e non ha bisogno di alcun tempo per esprimersi. La musica, unica, ha
invece bisogno del tempo. Essa è una fenice, e la sua scrittura, anche
se si è in grado di leggerla perfettamente non potrà mai produrre
l'effetto di una esecuzione. Prima di ogni esecuzione è "morta" e riposa
nella tomba del silenzio, e le note che la imprigionano sono come una
lapide di cimitero scolpita. Nel momento in cui l'esecutore la
interpreta, rivive sempre in modo nuovo, fresco, limpido, imprevisto.
Essa varia anche a seconda dell'umore dell'uditorio: è l'incarnazione
del silenzio perfetto, la più sublime delle arti, la più vicina a Dio.
La musica esprime sempre l'immediato nella sua immediatezza (73).
Chi va a leggere questo magnifico libro di Kierkegaard si renderà
conto di come l'autore, nell' Introduzione che non dice nulla si
accosti al Don Giovanni di Mozart in punta di piedi; nell' Eros nella
musica lo osserva dalla finestra; negli Stadi erotici,
attraverso l'analisi di altri personaggi (il paggio delle Nozze di
Figaro; il Papageno del Flauto Magico) ne scruta la nascita; nell'
Idea del Don Giovanni e la musica di Mozart sta al cospetto del
seduttore e lo osserva stupito: "Don Giovanni è, mi sia lecito dirlo,
l'incarnazione della carne o la spiritualizzazione della carne mediante
lo spirito stesso della carne" (Pag. 98). Il monte di Venere è un regno
- ci dice Kierkegaard - il cui primogenito è Don Giovanni. In esso si
odono soltanto la voce elementare della passione, gli scherzi del
piacere, il selvaggio clamore dell'ebbrezza (99). Questa
sensualità, questa ebbrezza, questo piacere, si dissolvono nel tempo,
ecco perché, per essere manifestati, hanno bisogno di un'arte che si
dipani nel tempo e non nello spazio: la musica. Godimento, passione,
gioia, concupiscenza, tentazione, possono solo essere ascoltate e non
raccontate o viste: solo la musica può rappresentarle. Noi ci fermiamo
qui per non appesantire troppo. Tuttavia raccomandiamo di leggere questo
libriccino di Kierkegaard per approfondire ancora di più l'argomento.
Siamo così giunti all' Occhio del diavolo di Ingmar Bergman. Il
regista svedese, dopo essersi imbevuto di Mozart e di Kierkegaard, dopo
cioè essersi tuffato nel mare di seriosità dei due, ha ritenuto bene
ridimensionare il tutto, arricchendo il mito di leggerezza. In passato
Don Giovanni era stato incorniciato da una goffa buffoneria che lo
appesantiva e lo ridicolizzava. Una geniale ironia completa il mito,
alleggerendolo del troppo classicismo. Nei titoli di testa definisce il
suo film un "rondò capriccioso". Ora, tale forma strumentale
risalente al rondeau medievale, che nel rispetto della tonalità, prevede
un ritornello fisso alternato da couplets diversi per melodia, fa
pensare all'idea ossessiva del Don Giovanni (ritornello-seduzione)
alternata da sempre nuovi desideri sullo stesso tema (stessa tonalità).
(Gatti-Basso 1978, pag. 877). Per Bergman Don Giovanni era morto come
mito, era fossilizzato, per cui bisognava rianimarlo, reincarnarlo. Va
dunque all'inferno (scende nelle profondità buie di se stesso) prende in
giro la sua Ombra (satana sofferente per un orzaiolo a causa di una
vergine virtuosa di nome Britt Marie), ed invertendo i termini
dell'equazione (nell'opera, il Commendatore sprofonda all'inferno il
seduttore) tira via dall'inferno Don Giovanni, per portarlo ancora una
volta sulla terra e costringerlo alla seduzione. E qui ci ricolleghiamo
a quanto aveva detto Kierkegaard a proposito del cristianesimo e della
sensualità. Se questa era stata scacciata dalla chiesa, per B. era ora
che tornasse all'interno di essa: Ad ospitare Don Giovanni, il suo servo
Pablo ed il diavolo-monaco è un pastore protestante. Sarà proprio il
servo a sedurre Renata, la moglie del pastore, facendo rientrare così
dalla finestra ciò che era stato sbattuto fuori dalla porta. Quanto a
Britt Marie, il parallelo con donna Anna dell'opera appare scontato. La
virtù di entrambe condanna Don Giovanni all'inferno, e la pena,
nonostante il tentativo di Bergman di uno sconto di 300 anni, rimane
inalterata. Però, mentre donna Anna non solo non accetta la subdola
corte ma cerca di smascherare l'intruso, Britt Marie accetta di giocare
e fa scoccare una scintilla che, finalmente, umanizza quello che era un
mito-fossile: Don Giovanni si innamora della ragazza e non può più
sedurla. Dopo le dichiarerà il suo amore disperato, ma lei dirà di non
provare nulla per lui, se non pietà. Marie ama Jonas, il suo fidanzato
agronomo.
Le potenze del male sono irrimediabilmente sconfitte, il fascino del
"serpente" non funziona più. La storia sembra finire, ma "Orecchione",
un diavolo dall'udito formidabile sente qualcosa provenire dalla terra:
Britt Marie sta dicendo al fidanzato di non aver mai baciato nessuno: è
una bugia. L'occhio del diavolo guarisce. Il cerchio si chiude. Bergman
è riuscito a diradare quella fitta nebbia fatta di classicismo che
musicista e filosofo avevano creato attorno al personaggio, e ha fatto
in modo che, dopo di lui, nessuno si potrà più accostare a quest'opera
nel modo drammatico consueto. Il Don Giovanni di Lorenzo Da Ponte e di
Wolgang Amadeus Mozart, torna ad essere un normale dramma giocoso in due
atti, un comunissimo rondò, che lascia sì preponderare il ritornello
della seduzione, ma che fa anche distrarre con la furbizia e le trovate
di Leporello-Pablo, con la freschezza di Zerlina e Masetto, e che lascia
riflettere con l'inquietante figura del Commendatore. Tutto torna
normale. Il lavoro di restauro di Bergman è finito. Il mito è stato
rivisitato per l'ennesima volta, ed è tornato a vivere come il Piccolo
Principe dell'aviatore francese. Ma alla fine, per nostalgia del suo
piccolo pianetino, per tornare alla sua sfera mitologica, lui,
seduttore, ha subito la seduzione di una vergine che neanche lo amava,
e…avvelenato d'amore (lo stesso veleno che aveva fatto secernere a tutte
le sue vittime) si ritrova fra le nebbie del mito della seduzione, che
non è lui stesso come Kierkegaard aveva lasciato immaginare, ma un
archetipo senza volto né maschera che si chiama "specchio", "Nulla". Don
Giovanni rifiuta di ascoltare la voce del freddo e pietrificato
Commendatore, il fantasma della sua moralità uccisa all'inizio della sua
avventura. Don Giovanni è radice incapace di immaginare le proprie
fronde alte nel cielo, ignaro di una luce che lo nutre tanto quanto la
terra buia. Di fronte a tanta ottusità e insensatezza non si può che
sorridere con ironia. Ed è proprio quello che Bergman ci suggerisce di
fare.
Ma una considerazione finale va fatta. Per tutto il tempo dedicato a
Mozart e a Kierkegaard, il nostro breve saggio ha avuto le
caratteristiche della musica così come intesa dal filosofo danese.
Quando siamo passati a Bergman, siamo stati costretti a rientrare fra le
righe; lo spazio ha vinto sul tempo. Per fortuna ci rimangono le musiche
di Mozart e le opere di Soren Kierkegaard.
Grazie Nat.
Testi citati
- Giulio Confalonieri -
Storia della musica -Ed. Accademia;
- Massimo Mila - Breve
storia della musica - Einaudi;
- Aloys
Greither - Mozart - Einaudi;
- Massimo
Mila- Lettura del Flauto Magico - Einaudi;
- Mozart
- Tutti i libretti d'opera - Newton
- Stinchelli
- Mozart la vita e l'opera - Newton;
- Cesare
e Ida Paldi - Le grandi opere liriche di Mozart - F.lli Palombi Editori;
- Aldo
Carotenuto - Riti e miti della seduzione - Bompiani;
- Soren
Kierkegaard - Don Giovanni, la musica di Mozart e l'Eros - Mondadori;
-
" " -
Diario - Rizzoli;
-
" "
-Aut-Aut - Mondadori;
- Ingmar
Bergman - L'occhio del diavolo. |