Così è se vi pare - di L. Pirandello
La bellissima parabola in tre
atti che ci accingiamo a commentare, potrebbe essere nata così come ve
la raccontiamo in prima persona, fingendo di essere Pirandello.
Un giorno, la mia immaginazione era particolarmente accesa, e sullo
schermo della mia mente apparve una porta posta alla sommità di sette
scalini. Era chiusa. Sullo stipite di essa c'era scritto "FILOSOFIA".
Non era una casa, non era un castello, ma solo un'apertura luminosa su
un fondo nero. Là dentro dovevano certamente esservi tutti i filosofi
che nel corso dei secoli avevano dedicato la loro vita alla ricerca
delle Cause Prime, alla ricerca della Verità ultima. Improvvisamente
uscirono tre personaggi strani. Avevano un'aria distratta, come se la
loro mente fosse distante da loro mille miglia. Erano sicuramente tre
filosofi greci che discutevano animatamente. Appena mi videro, si
avvicinarono, e uno di loro mi disse: "Perché non entri? Là dentro ci si
diverte da morire. Pensa, siamo tantissimi, e per ognuno di noi,il
Principio di tutte le cose è diverso. Per me, per esempio, è "l'Acqua" (Talete),
per lui è "l'Infinito" (Anassimandro), e per quest' altro è "l'Aria" (Anassimene).
Ma in quella grande sala c'è chi pensa che l'essenza di tutte le cose
sia il "Numero" (Pitagora), chi dice che la sola realtà è "l'Essere" (Parmenide),
chi vede il principio di ogni cosa nel "Fuoco" (Eraclito), oppure nei
"Quattro Elementi" spinti ad aggregarsi o a disgregarsi sotto la spinta
di "Amicizia" oppure "Odio" (Empedocle). Poi c'è chi parla di particelle
invisibili dette "Omeomerie" (Anassagora), chi di "Atomi" (Democrito).
Per non dire poi di certi Scettici, secondo cui la verità non può essere
oggettiva, e la scienza non ha principi universali. Per essi, il
pensiero è tutto. Credimi, se entri, ti divertirai". Ciò detto, andarono
via. Mi ero quasi convinto, e stavo per mettere piede sul primo scalino,
quando qualcuno mi posò una mano sulla spalla, mi superò, salì sul
secondo gradino, e da lì mi disse: " Non ho potuto fare a meno di
ascoltare: non dare retta a quei tre, là dentro nessuno ragiona, quindi
non entrare. Ti basti sapere questo: "La vera natura dell' uomo è 'Ragione',
e con essa puoi conoscere te stesso e il mondo" (Socrate). Detto questo,
salì gli altri gradini e scomparve dentro. A questo punto da quella
apertura sbucò una specie di cameriere con camicia bianca, pantaloni
neri, papillon, un tovagliolo bianco ad un braccio, ed un rotolo di
pergamena in una mano. "Di tipi come lei, signore, a queste scale, se ne
presentano tanti - mi disse -. Rimangono lì come imbambolati, e non si
decidono mai ad entrare. Il mio compito è di stimolarli a farlo. Io,
signore sono un…butta dentro. Mio compito è di stimolare il suo appetito
intellettuale e di "costringerla" al pasto filosofico". Srotolò la
pergamena e prima di cominciare a leggere, "questo è il menù" -disse-
"abbiamo:
-
Trascendenzidealismo gratinato, con
contorno di anima prigioniera al forno
(Platone);
-
Frittura mista di dualismo al macero
di anima e corpo (Aristotele);
-
Atomi tritati alla Ben=Piacere e
Mal=Dolore (Epicuro);
-
Materia e Forza alla brace (Democrito);
-
Uno in salmì, con insalata di Idee,
Anima Mundi et Materia (Plotino);
-
Minestrone romano parafilosofico
alla parolaia bullonesca;
-
Patristica alla Buona Novella, con
Madre=Nonna et Figlio=Padre dogmati con panna;
-
Agostino alla platonesca;
-
Panteismo neo-Platonico al cartoccio
(Giovanni Scoto Eriugena);
-
Dimostratio Dei alla griglia
(Anselmo);
-
Qui lo dico e qui lo nego all'aquinate
(Tommaso);
-
Provare per credere alla Ruggero (Bacone);
-
Coincidentia Oppositorum alla
Nicolò (Da Cusa);
-
Arrosto alla Campo de' Fiori in
terra tunda et sole fermo, o a scelta, Monadi pre-
Leibniz al sugo, con contorno d'inquisitio sadicato
alla cainesca (G. Bruno)."
Stava per srotolare
ulteriormente quell'infinito, strano menù filosofico, ma con un cenno
deciso lo invitai a tacere: "no, grazie - gli dissi - per ora non ho
appetito".
"Il mio dovere, signore, io l'ho fatto. Non mi resta, pertanto, che
rientrare ed aspettare fino al prossimo titubante. Buona sera". E andò.
Io stetti un po’ lì davanti alla piccola scalinata. Poi dissi fra me e
me: " Di certo fame non ho, ma conoscere gli autori di così prelibate
pietanze, non mi dispiacerebbe affatto." Salii le scale in fretta, ma
giunto all'ultimo gradino, sulla soglia apparve un uomo robusto, con dei
baffi enormi. La sua statura ed il suo aspetto mi intimorirono, ma
quando posò i suoi occhi sui miei, un senso di grande pietà mi inondò.
Il suo sguardo mi ricordava quello di mia moglie, ma c'era in più
qualcosa di strano, di misterioso, come se la sua follia non fosse una
malattia ma una "benattia" (mi si perdoni il conio): come se a causarla
fosse stato un eccesso incontenibile di Bene. Di solito si ammattisce
per male, quello lì era diventato folle, per bene. Era Nietzsche con
tutta la sua fragile potenza, con tutta la sua potente fragilità, con
tutta la sua "sana" follia. Avrei voluto dirgli subito che il suo
pensiero era stato frainteso, che le sue parole non erano state capite
da nessuno o quasi, ma prima che potessi aprir bocca, disse fra sé, ma
non tanto da non farsi sentire:" Eccone un altro. Nemmeno a questo,
dunque, hanno detto che la Verità è morta?". Abbassò il capo, mi guardò
per un attimo, e poi rientrò.
Varcai quella soglia con molta tristezza nel cuore e col proposito di
non aprir bocca ma di solo ascoltare. L'ambiente era un enorme
"parlatorio" immerso nella luce. Ognuno dei filosofi stava davanti a uno
specchio e ripeteva a se stesso le proprie convinzioni. Cartesio
cantilenava il suo "Cogito ergo sum", compiacendosi della consapevolezza
che il proprio pensiero aveva di sé. Quando gli fui vicino, mi scrutò e
disse: "Dio esiste, fra un cogito e un altro, nel concetto che noi
abbiamo della Sua Esistenza", dopo di che si rivolse alla sua immagine
riflessa, continuando nel suo potente cogitare. Invece Pascal non mi
guardò direttamente, ma attraverso la sua immagine speculare: " Oltre il
pensiero - mi disse - va il cuore con le sue intuizioni e le sue
certezze. Non dimenticarlo: la Verità , passando per il cuore, diventa 'sentimento',
certezza". Si aggiustò il vecchio cappotto con un'alzata di spalle, e
tornò a se stesso. Intanto, una voce particolarmente appassionata,
quella di Spinoza, così sentenziava: "Una è la Sostanza, con due
attributi: Pensiero ed Estensione, Spirito e Corpo. Le singolarità sono
'modi' della Sostanza". Ma non facevo in tempo ad afferrare una voce,
che subito un'altra catturava la mia attenzione. Erano tutte da
ascoltare e da condividere, perché tutte avevano quella particolare
profondità capace di raggiungerti nel profondo e di scuoterti. Quei
personaggi, quei filosofi erano tutti ammirevoli per il loro estremo
sacrificio, quello della propria vita per la ricerca. Quando ognuno di
loro parlava a se stesso allo specchio lo faceva per uno scopo ben
preciso: per raddoppiare gli sforzi che la mente operava al fine di
impregnare di Verità ogni atomo di quella forma innamorata di Sofia. Era
un vero e proprio lavoro alchemico tendente a corporificare lo Spirito,
e così facendo a sottilizzare il corpo. Quello che più di tutti c'era
andato vicino era stato sicuramente Nietzsche, ma nel corso del suo
lavoro, nel suo laboratorio era accaduto qualcosa che aveva a che fare
col regime dei fuochi. Lo Spirito scese con tutta la sua Potenza, con
tutto il suo Amore, con tutta la sua Saggezza, ma nel momento in cui il
corpo lo accolse, un non domato ego offrì ad esso quel conbustibile che
qualificò la fiamma secondo principi scorretti. L'Opera era fallita, ma
briciole di Sapienza erano rimaste qua e là nella poesia dell'ammirevole
folle. Ma ecco un'altra voce, quella di Leibniz: "Non dissolverti
nell'infinito, individualizza la sostanza e sarai 'Monade', una Unità
unica"; e poi un' altra ancora: "L'immaginazione è creazione; attraverso
la poesia sapiente, o la sapienza poetica, puoi contattare la Verità più
che col pensiero" (Vico). Alla fine decisi di ascoltare le ultime tre,
perché se no rischiavo un'indigestione: quella di Kant che criticava la
ragione che ragiona di metafisica, e che affermava essere il soggetto
pensante il vero sole del sistema conoscitivo; quella di Hegel: "Il
mondo è tutto pensiero, Logos"; e quella di Schopehauer: "Il mondo è la
mia rappresentazione".
Ovviamente, ogni filosofo non si limitava a ripetere quelle scarne
frasi, corrispondenti all' appena il 10% delle loro tesi, ed era per
questo che ero saturo di concetti e idee. Ero stanco nel corpo e nella
mente, e non vedevo l'ora di andar via da quel posto così "intossicante"
per chi non è abituato a quelle pietanze. No, quello non era posto per
me, né da vivo, né da morto. Lasciai quel luogo e guadagnai la città più
vicina. Decisi di perdermi per un po' nelle le vetrine dei negozi. Fui
catturato da ognuna di esse. Improvvisamente però, una vetrina a
specchio riflettente, anziché farmi "entrare" , ripropose me a me
stesso. Per qualche attimo mi osservai , e la figura riflessa mi
osservò. Ma dopo un po' quella immagine riflessa cominciò a parlare
senza alcuna autorizzazione da parte mia: "Ognuno, su questa terra -
disse solennemente - più che ricercare la Verità, può nuotarvi dentro, e
nel farlo, schiumando, 'sentirla' per consapevole contatto. Di Essa,
tutti i fondatori di religioni, hanno parlato, ma i loro seguaci ne
hanno frainteso le parole, ed anziché pace, armonia e amore, sono
riusciti solo a seminare odio e disarmonia. I Grandi filosofi hanno
"visto" un aspetto di Essa, ed hanno dato vita a scuole di pensiero in
lotta fra loro. Ma possibile (per dirla Nietzschianamente) che nessuno
abbia detto a tutti costoro che la Verità è quell'Immenso Mare che li
accoglie tutti, che li nutre? Possibile che nessuno si accorga che il
poeta poetando, lo scultore scolpendo, la colf colfando, e la nonna
nonnando, tutti non fanno altro che cantarLA? Fin tanto che facciamo
quanto ci tocca di fare con la convinzione che la strada della ricerca
sia diversa dal dovere richiesto dal nostro stato, la Verità sarà
altrove. Ma nel momento in cui scorgeremo nella nostra vita quotidiana
la strada maestra "verso" la Verità, il mondo diventerà vero ed ogni
cosa LA canterà nel modo che gli compete. Tu sei un commediografo e non
un filosofo, dunque scrivi le tue brave commedie per il teatro. Quella è
la tua strada. Che ognuno faccia quello che deve, quella è la sua strada
."
Non potevo che prendere atto di questo strano settimo personaggio che
era un me stesso inatteso (ma non tanto…), e delle sue sagge parole. Mi
diressi subito verso casa. Guadagnai il mio studio, e cominciai a
scrivere quello che andava accadendo in un salotto borghese d'una città
di provincia, qui, nella mia mente, grazie ad una sfrenata
immaginazione, che mi suggeriva il modo teatrale migliore per dire la
mia (?) sulla Verità. Il discorso fluiva in modo comprensibile,
popolare, semplice, attraverso i dialoghi di personaggi che, carne della
mia carne e mente della mia mente, guadagnavano la loro autonomia nel
momento stesso in cui li osservavo e li ascoltavo. Ubbidiente alla mia
"fantasia", scrissi tutto come doveva esser scritto, ed alla fine cercai
anche di capire il senso profondo, il messaggio subliminale dell'intera
parabola. La Verità è fatta di Cielo e Terra. Se il solo Cielo o la sola
Terra volessero definirla, Essa non sarebbe che mezza Verità. Non può
essere solo dare (Cielo) o solo avere (Terra) essa è paradossale: dare e
avere allo stesso tempo, Spirito e corpo, sottile e denso, figlia della
signora Frola e seconda moglie del signor Ponza allo stesso tempo.
Quei patetici salottieri rappresentano i soffiatori, i falsi filosofi
che vorrebbero comprenderLA a chiacchiere e a "si dice che…". Essi
vorrebbero vedere la Verità, con un solo occhio. La loro mente razionale
ha completamente escluso il cuore e quindi l'intuizione, e pertanto si
perde in un labirinto di discorsi inutili, ed alla fine non può che
essere divorata dal minotauro della superficialità.
La sventura di cui alla fine parla la velata Verità-Ponza, va riferita
proprio a quel claudicante laboratorio alchemico che è quel salotto:
quel modo di ricercare è da compatire, e porta con sé la sventura della
follia: "Qui c'è una sventura, come vedono, che deve restar nascosta".
Nessuno di quei "solo pelle" può comprendere che Lei, Ponza-Verità, pur
essendo Una, è allo stesso tempo figlia-terra-avere per la signora Frola,
e seconda moglie-cielo-dare per il signor Ponza. Essa è solo ciò che
comprende entrambi, non può pertanto avere un suo volto, una sua forma.
La Verità è oltre ogni dualità, oltre ogni forma, oltre ogni parola,
fatto, atto. E' oltre…
Adesso, approfittando della pazienza di Nat, cercherò di spendere due
parole sulla regia di De Lullo e sulla Compagnia dei (sempre) Giovani. I
salottieri, venendo presentati come burattini sia nella faccia che nella
mente-voce, ben rappresentano tali falsi filosofi. La loro parola è
frutto di fredda curiosità e di pettegolezzo (non parlare, ma s-parlare:
parole a cui manca qualcosa, l'anima…). Laudisi è l'unico a parlare come
un uomo, l'unico che oltre alla superficiale ragione usa anche il cuore
e il buon senso. I burattini salottieri proiettando ombre con quel
geniale gioco di luci, mostrano la loro intima natura: il buio pesto nel
quale calano le loro lenze con finti ami, con la speranza di pescare
qualche pesciolino di luce: cosa impossibile. Quanto agli attori: tutti
protagonisti. Anche chi nella commedia-parabola dice poche parole,
riesce a mettere tutto se stesso. Primus inter pares, Romolo Valli.Anche
la trovata dello specchio sottolinea che, in quel salotto, il solo in
grado di poter colloquiare con se stesso è Laudisi, per cui tale
specchio viene dato in prestito solo a lui per qualche attimo, e poi
vien subito tirato su.
Grazie Nat per avermi concesso
un po' della "tua" Vita. Il tuo amico Luigi. |