Sogni di Akira  Kurosawa (1910-1998)
(Interpretazione di N. Missale)

 

Non ho potuto fare a meno, dopo aver rivisto "Sogni" di Kurosawa, di andare a rileggere un piccolo grande libro: Van Gogh  - a cura di Dino Formaggio - Mondadori '56. Ho ripercorso le tappe della breve ma intensa vita di quel grande genio pittorico olandese che fu Vincent. Mi sono riemozionato per il suo fanciullesco ma intenso misticismo che manifestò a contatto con i minatori poveri e malati del Belgio, ho cercato ancora di comprendere come i suoi slanci di altruismo, che lo spinsero a privarsi di ogni suo bene per tanta povertà e sofferenza, possano essere stati considerati "eccesso di zelo fastidioso" da parte di un Concistoro che sorvegliava gli evangelisti. Ed alla fine mi sono ritrovato davanti la solita eterna storia del genio riufiutato dal suo tempo, del solitario braccato dai benpensanti, del mistico ritenuto in ogni luogo folle, del solito Cristo che dà fastidio ad un mondo di ipocriti chiusi  ciascuno nel proprio guscio di intolleranza e di perbenismo, ed incapaci, per miopia di cuore, di sentire le ragioni del ricercatore solitario.  I quadri di Vincent Van Gogh sono vere e proprie preghiere, vero atto d'Amore verso la Natura (Uomini, animali, cose, sentimenti, pensieri, ecc.). L'amore che non è riuscito a ricevere dal mondo si é fatto fuoco nella sua interiorità, ed ha attizzato un incendio indomabile fatto di voglia di donare al mondo intero il suo Amore senza limiti. I suoi dipinti sono veri, perché pieni di questo amore e dell'amarezza dell'incomprensione di un mondo ostile, sono belli perché carichi di vita, sono vivi perché ad essi Vincent ha affidato il tempo che non ha osato vivere.
Tutto questo Akira Kurosawa, da persona sensibile quale era, l'ha percepito davanti ai quadri del genio olandese, e quando ha realizzato "Sogni" era imbevuto dello spirito di Van Gogh fino al midollo. In "Sole attraverso la pioggia", in "Pescheto", in "Corvi" e in "Villaggio dei mulini", Van Gogh è presente, seppure filtrato da una tradizione, quella giapponese, che con la spontaneità del suo Zen, ha toccato nel misticismo le stesse vette lambite dai colori e dalle furiose, medianiche pennellate di Vincent Van Gogh. Ma la stessa sorte del pittore olandese doveva toccare al regista giapponese: i suoi non l'hanno accolto, l'estremo oriente, lo ha rifiutato.  Nel 1° Episodio ci troviamo davanti proprio alla prefigurazione di tale rifiuto. Il piccolo Kurosawa è attratto da ciò che è proibito: assistere al matrimonio delle volpi, nel bosco, in una giornata di sole e pioggia. Le volpi del suo sogno simboleggiano i benpensanti che in ogni società hanno stabilito le regole una volta per sempre. Essi sono furbi come volpi, perché le loro leggi le hanno varate per i loro piccoli ego affamati di certezze materiali, perché i loro principi sono basati sull'avvenenza (vedile loro code metaforiche…) più che sulla essenzialità, perché le loro menti sono prigioniere di un corpo che giammai permetterà di spiccare un salto verso gli orizzonti dello Spirito. Il rosso delle loro pellicce è il colore del fuoco della loro insaziabile fame di polli (leggi babbei), della loro voglia di dominio su cervelli deboli. Le volpi di Akira Kurosawa non sono diverse da quelle di Van Gogh. Al pittore hanno consegnato un irreversibile rifiuto ed una pistola con cui togliersi la vita. "Campi di grano con corvi" precede di qualche giorno la sua morte suicida: è stata la sua morte a premere il grilletto, perché la sua vita l'aveva interamente versata nei colori e nella poesia dei suoi quadri, l'aveva bruciata nella ardente ricerca dell'Eterno. Le volpi hanno compiuto sotto i suoi occhi la loro metamorfosi: sono diventati corvi neri simbolo di morte, di disarmonia. Il loro gracchiare è coro di dissensi e rifiuti di una società fossile. E' un 29 Luglio quando Van Gogh, in una stanza di trattoria uccide la sua morte: "Visitato dal Dr. Gachet subito chiamato, dichiara di aver voluto uccidersi in piena responsabilità e coscienza" (Op. Citata pag 181) e per il resto chiede di essere lasciato in pace. Al regista invece hanno dato un coltello con cui deve por fine alla sua vita, dal momento che ha spiato il matrimonio delle volpi in un giorno di sole e pioggia. Ma il piccolo Kurosawa ha sangue di samurai nelle vene, e decide perciò di continuare la sua battaglia: va a trovare le volpi ai piedi dell'arcobaleno, non in segno di resa, ma per conciliarsi con un mondo di furbi, di cui ha già scoperto il gioco: le volpi si propagano nel paradosso, quando gli opposti si uniscono, quando sole e pioggia, fuoco e acqua s'incontrano, quando Spirito e materia si scontrano (Kurosawa e le volpi): nel momento in cui Akira ha scoperto il gioco dell'illusione, Maya moltiplica i suoi sforzi per assicurarsi una discendenza…Ma non sono le sole volpi ad accomunare i due artisti: in questo primo episodio, i colori parlano da soli come nei quadri di Vincent, che nella lettera 429 scrive: "Il colore per se stesso esprime qualche cosa" (idem, pag. 133).
 

Nel 2° Episodio, "Il pescheto", l'influenza del pittore olandese è ancora più evidente. Il quadro "Peschi in fiore" di Van Gogh lo ha certamente toccato nel profondo. Possiamo dire che il regista giapponese, nel primo, nel secondo e nell'ultimo episodio, ha tirato fuori l'anima dei colori del pittore, e in corvi è entrato dentro l'anima dei colori per giungere all'anima sfuggente di Vincent. In questo episodio, protagonista è un piccolo Kurosawa  che riesce a vedere con l'occhio della mente allo stesso modo in cui Walt Disney riuscì a vedere 'sottili' abitanti della natura 'personificandoli' in gnometti (Biancaneve), ninfe, silfidi, sirenette, salamandre (Fantasia). Il nostro bambino riesce a scorgere una sorta di 'Campanellino (vedi Peter Pan), che si fa seguire in un pescheto morto, per fargliene scorgere la nascosta e mai morta Vita fattasi bambole imperiali viventi, identiche nelle forme a quelle che la sorella tiene in bella mostra nella sua stanza. Il bambino scorge 'Campanellino' in un ramo illuminato di pesco posto  nella stanza attigua a quella della sorella. Il colore diviene vivente e gli fa toccare con mano che tutti gli altri colori e profumi nascondono vita pulsante, altrettanto 'materiale' che un albero. E questa vita si dà a profusione (le larghe maniche delle bambole testimoniano proprio che essa  è di maniche larghe), ma è capace anche di  rimproverare l'uomo per la sua cecità. Il piccolo Kurosawa sente molto tale rimprovero, ma lui sa di essere un uomo diverso, uno che rispetta la natura, la Vita. Ed ecco allora che le bambole, inscenando una danza campestre, fanno rivivere il pescheto un'ultima volta, affinché il bambino possa godere dei colori e dei profumi della Vita. Vita che, riaffermerà se stessa  a dispetto di ogni imbecillità umana, lasciando un alberetto fiorito fra tanti alberi morti. Kurosawa, vinte le volpi, ha trovato alleati nella natura: adesso ha un giardino per amico, perché lui è riuscito ad amarlo. Van Gogh, in una delle sue lettere, diceva che non importa il luogo in cui si cerca Dio, e che l'importante è amare senza limiti. Purtroppo però non è riuscito ad amare la sua sofferenza e non è riuscito a domare i suoi fuochi. Kurosawa ce l'ha fatta, e quando è entrato nei "Campi di grano con corvi", oltre che sentire le ragioni del suo amico,  avrebbe voluto dire a Vincent come fare per andare oltre le sofferenze, ma era troppo tardi.
 

Il 3° episodio, "La tormenta" ci propone un tormentoso ritorno al campo base da parte di una piccola cordata di scalatori sorpresi da una tempesta di neve. Le quattro persone rappresentano i quattro livelli di coscienza di Kurosawa: uno comanda (Atziluth) e tre ubbidiscono (Briah, Yetzirah, Assiah), lo Spirito comanda e psiche (sentimenti e mente) con il corpo ubbidiscono. La bianca figura che  appare al comandante nel momento di maggior difficoltà è la raggelante, paralizzante anima di Saturno, che presentatosi allo Spirito e resosi conto che non lo può surgelare in quei ghiacci per l'eternità, si volatizza, scomparendo nella  oramai cessata bufera. Il campo base era sempre stato lì, a due passi, ma la forza ipnotica e pietrificante di Maya ha costretto alla lentezza i quattro. Il ritorno al campo è il ritorno a 'casa' dopo avere patito mille sofferenze. Ogni ricercatore sa bene come, per il solo fatto di tracciare un nuovo sentiero (la scalata), ci si attira addosso il sibilo della falce del freddo Saturno, che sottraendo calore al sangue-anima, produce un annebbiamento della vista, che distorce tutte le immagini, dà vita ad una tormenta, il cui solo ed unico scopo è quello di…tormentare ogni passo mosso nella direzione del vero. Qual'è questa direzione? Quella di un qualunque passo sospinto dalla voglia di Divino. Cos'è il Divino? Un Silenzio udibile sulle cime innevate dei monti, da quei pochi che, per puro, folle gioco, hanno deciso di scommettere la loro vita chiassosa in cambio di un attimo di Pace, quella stessa Pace che così intensamente ha inseguito Van Gongh in volti e paesaggi, in colori e rumori, in sapori e umori, dei quali, pur essendo riuscito a trarne l'essenza, non ha potuto (e come poteva?) imprigionarne la sconfinatezza. Ad ogni pennellata pareva proprio volerla inchiodare alla tela, e la forza che i suoi dipinti emanano deriva proprio da questo titanico tentativo. Per fortuna Kurosawa si è accontentato delle briciole, se no non sarebbe arrivato alla sua veneranda età: ottantotto anni (Giappone 1910 - 1998).In questi bellissimi "Sogni" la figura di Van Gogh  è sempre presente.
 

Anche nel 4° Episodio, "Il Tunnel", riusciamo e vedere un parallelo fra regista e pittore. Le anime dei soldati di quel battaglione sembrano i diversi burattini Vangoghiani, che nel tempo hanno consegnato la vita, ciascuno in un quadro particolare. Se Vincent avesse avuto uno spirito Zen avrebbe osservato impassibile la Natura, avrebbe goduto dello spettacolo, avrebbe gioito, e dopo, magari, si sarebbe fatta una sonora risata. Invece no, questo battaglione, questa schiera di burattini mandati allo sbaraglio sul palcoscenico della vita, hanno perso se stessi, sono morti. Il cane, nel 4°episodio, assomma tutte le sconfitte che Kurosawa ha dovuto subire nel corso della sua esistenza prima di arrivare all'affermazione artistica, sconfitte molto simili ai burattini di Vincent Van Gogh, che non ha avuto la possibilità di vedere il suo battaglione e comandarlo ancora, perché dopo il profetico volo dei corvi del suo ultimo quadro, l'ultimo pezzetto di Anima era 'morto' nell'ultima battaglia: capitan Vincent non stava allo sbocco del tunnel, ma insieme con i suoi valorosi soldati: era già morto. Kurosava invece li ha visti e li ha mandati indietro: passate energie venivano incamerate definitivamente dalla coscienza, anche se la ringhiata finale del cane lascia pensare ad una forma di energia graffiante, che sicuramente il grande regista ha poi usato nel dirigere i propri films. Kurosawa è uscito vivo dal tunnel, il suo amico, no. Del resto,  come faceva Van Gogh a continuare ad esistere nel corpo, dal momento che, con quell'ultimo volo di corvi, si era definitivamente trasferito in centinaia di…sogni (quadri) di sogni (quadri)?

Nel 5° e  6° episodio chiude il tema aperto col pescheto: l'imbecillità umana. Nell'Autosacramental, Calderon de la Barca ci mostra un uomo che, trascurando gli avvertimenti di Intendimento ed accogliendo i consigli di Arbitrio, fa di cio che era solo una potenzialità (il male presente in lui come possibilità), una realtà.  Nel Fujiama in rosso Kurosawa si rende conto che, una volta usata tale potenzialità, non è più possibile mandarla via. Quando con la giacca il superstite giovane Akira cerca di allontanare i vapori radioattivi dalla madre e dalle bambine oltre che da sé, si rende conto  che quella radioattività  non era mai esistita se non come potenzialità, e che l'incontro con essa è stato possibile solo dopo averla liberata dai ceppi della mente guidata da Arbitrio anziché da Intendimento. L'imbecillità umana sta tutta in quell'arbitrio (arbitrario) che gerarchicamente dovrebbe stare sempre al di sotto di Intendimento. Tale comprensione è confermata dall'episodio successivo, Il demone che piange, là dove scatta la condanna di un simile uomo. Kurosawa sta parlando certamente di se stesso, perché come il resto dell'umanità sente sulla testa il segno(le corna)  delle proprie scelte sbagliate. D'altro canto come potrebbe subito dopo immergersi in quel paradiso che è "Corvi" e "Villaggio dei mulini", pieno di luce, se prima non è sceso nella sua buia interiorità e non ha scoperto il suo inferno? Nel "Demone che piange" egli alla fine scappa, scende giù a rotta di collo dalla montagna dei lamenti, come a voler prendere le distanze da ciò che ha scoperto in sé, ma nel porgerci l'episodio in questo capolavoro di film, assume tutte le sue responsabilità ed incamera quella forza che lo spingerà ancora avanti nella vita per altri otto lunghi anni. Per fortuna la sua follia era inferiore a quella di Vincent, che oramai catturato dal vortice dei colori e della natura, come un derviscio danzante ha dovuto completare la rivoluzione attorno ad un inraggiungibile sole, attraverso rotazioni estatiche che lo hanno privato di ogni difesa. Come Nietzsche, si è  fuso e confuso nell'Assoluto anzitempo, cioè prima di avere allargato i confini del cuore oltre le cime delle montagne che aveva scalato, morendo così annegato d'amore, per non averlo potuto contenere tutto.
Il parallelo che abbiamo costruito fra pittore e regista trova la sua massima giustificazione e approvazione nel 5° episodio, "Corvi". Abbiamo scrutato l'arte di due geni, e abbiamo notato una comune scelta di vita: entrambi (uno con l'occhio della cinepresa, l'altro con l'occhio della mente e del cuore unificati) hanno intuito come tutta la Natura, tutta la manifestazione non costituissero altro che un ampliamento del loro cuore; entrambi sono arrivati alla soglia dell'illuminazione, dell'identificazione col tutto. Stavano per attraversare la porta della non dualità, per gridare trionfanti " Io Sono Quello" , ma alla fine, rimasti sulla soglia, avrebbero voluto gridarlo da lì, cosa impossibile. Non hanno saputo contenere la propria follia di mistici. Tuttavia, Van Gogh sta ad un'ottava superiore, perché la sua trasmutazione l'ha infine compiuta coi pennelli. E' lì che l'anima sua ha contattato lo Spirito, lì si è riversato quell'immenso amore per il tutto. La Natura è stata assorbita, come da un'immensa inspirazione, attraverso la disperazione per una mancata, totale identificazione con essa. Ecco cos'è l'opera di Van Gogh. Quanto a Kurosawa, egli non è giunto a tanto, ma attraverso l'opera di Vincent ha capito che quella poteva essere la strada. Era assolutamente necessario incontrarlo, parlare con lui, chiedere spiegazioni. Ed è per questo che entra in "Campi di grano con corvi", l'ultimissima opera del pittore. Non c'è tempo da perdere, fra qualche giorno Vincent porrà tristemente fine alla sua vita. Lo vede in lontananza, gli si avvicina, scambia con lui qualche parola. E' troppo poco, non riesce a fargli dire quello che vuole. Lo incalza, ma…è troppo tardi: il quadro è finito, e neri corvi gracchianti si levano in volo. Vincent è stato già sfiorato dalla morte nel momento in cui ha bevuto l'ultima amara goccia del suo calice. Akira Kurosawa però gli ha prolungato la vita, sottoponendo l'amico pittore ad una trasfusione di anima. Vincent vivrà anche nel suo quinto episodio, ed anche nella sua carne, perché anche lui s'è fatto pittore (nell'episodio è un pittore in visita ad una mostra). Per altri nove anni Vincent vivrà in lui, fino al 1998. Ma cosa ancora più strabiliante, Van Gogh, grazie a questa amorevole trasfusione, vivrà nei nostri piccoli ma affettuosi commenti al film di Akira, fino al Dicembre 2001 ed oltre, perché tali commentini, su Internet, forse faranno rivivere ancora di più il genio immortale dell'arte. Kurosawa ha preso il posto del fratello di Van Gogh, Theo, ed ha riempito tutte le pareti della sua anima con i quadri del disgraziato congiunto. Poi ha invitato tutti i trasgressori, tutti i Prometeo che si ribellano alla fossilizzazione della storia e all'impatanamento dei cervelli, a visitare i suoi luoghi interiori, che sono quelli del ricercatore di ogni tempo. Questo parallelo fra i due grandi ci viene confermato anche da un brano di Dino Formaggio a pag 174 -177 del suo citato libro: "Auvers, nascita dell'ultima grande pittura di Vincent…E' il barocco della trionfale maturità, che sgorga dall'eccedenza degli istinti e delle passioni di Vincent…e investe ogni cosa, la travolge in un estremo canto universale. Ma è un barocco che, strano a dirsi, viene ancora dalle stampe giapponesi. All'origine di questo barocco …stanno ancora Hiroshige, Utamaro e soprattutto Hokusai…barocco giapponesizzato". L'abbraccio fra Olanda e Giappone, fra Van Gogh e Kurosawa, ci pare completo.
Un'ultima notazione sui corvi segnalataci dallo stesso citato autore (pag. 181): "Le antiche mitologie nordiche parlano dei corvi del pensiero e della memoria che stanno sulle spalle di Odino - il dio che impera e giudica -, i quali, tornando dai loro voli, riferiscono su ciò che hanno visto;e parlano ancora delle tre radici dell'albero della vita, quella che va verso i giganti, quella che si sprofonda nella terra e quella che volge al Nord verso il regno dei morti. L'uomo Van Gogh…s'è ormai ricongiunto coi millenari istinti della sua stirpe".

Ma il regalo più bello che Akira Kurosawa poteva fare al suo amico-fratello Vincent è stato quello di averlo condotto alla vecchiaia in una sorta di paradiso dei colori e dell'amore (8° episodio "Villaggio dei mulini"), e di avergli dato l'opportunità di accompagnare all'estrema dimora, quella che avrebbe dovuto essere la sua compagna di viaggio (vedi vita di Van Gogh), e che invece, rifiutandolo, aveva consegnato il ragazzo ad una irreversibile disperazione. Quel vecchio è Vincent-Akira, l'artista trasgressore, il ricercatore che alla fine assaporerà l'estasi prodotta dall'ultima illusione, il paradiso, per approdare dopo, e difinitivamente, all'incomparabile e assoluto Silenzio che sta dietro l'arcobaleno.

 

Grazie.  Nat

 

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