IL
VIOLINISTA SUL TETTO Il
problema posto dal film sembra essere il seguente: come poter seguire la
regola tradizionale e la cultura consolidata degli avi e, allo stesso
tempo, fronteggiare le continue richieste poste dalla vita, le quali
necessitano senza alcun dubbio di flessibilità e di apertura? Insomma,
come fare ad essere rigidi e malleabili allo stesso tempo, chiusi e
aperti, ordinati e caotici, strutturati e disposti al nuovo? Come la
metafora del ‘violinista sul tetto’: all’apice delle costruzioni
umane, ma ancora instabile, disposto all’ulteriore, ad un’armonia in
continua elaborazione e mai decisa definitivamente, quasi una
figurazione di Da’ath, Sefirah occulta e paradossale: presente e
assente, culmine e inizio, conoscenza e superamento della conoscenza. La
domanda posta è quella cui la storia narrata richiede una risposta dal
protagonista, Tevye, il lattaio della comunità ebraica di Anatevka, in
una Russia pre-rivoluzionaria intorno al 1910. ·
Tzeitel ama un umile sarto e non vuole sposare il ricco
macellaio; vuole ‘tessere’ un destino di concreto lavoro e di vera
unione, teso alla ‘generazione’. Il nome Tzeitel è una forma
yiddish per ‘Sarah’, cioè ‘Principessa’. La sua rivoluzione è
sul piano fisico, concreto, assiahnico, relativo a Malkuth, il Regno. ·
Hodel s’innamora di un giovane rivoluzionario, che vuole
cambiare i destini della Russia e del mondo affrontando anche la galera
e la Siberia. Siamo sul piano emotivo dei grandi ideali, della passione:
il nome Hodel deriva da Hadassah, che significa ‘mirto’, pianta
sacra a Venere e, quindi, legata alla Sefirah Netzach, la Vittoria.
Siamo sul piano yetzirahtico-astrale, proteso a dar voce al desiderio di
amore, uguaglianza e libertà, superando qualsiasi difficoltà. ·
La terza figlia, Chava, è legata al piano intellettivo. Il primo
approccio con il suo futuro fidanzato e marito avviene attraverso un
libro, il sapere, la ricerca conoscitiva. Il giovane, però, è un
non-ebreo, forse perchè il piano mentale ideale travalica qualsiasi
concetto di appartenenza. Il nome Chava deriva da ‘chavah’, ‘respirare’,
ed è in qualche relazione con ‘chayah’, ‘vivere’. L’etimo è
comune con quello del nome Eva. Sul piano briahtico abbiamo quindi il
respiro vitale, l’apertura, l’aria, lo spazio fecondo della mente
illuminata. Per
Tevye, che dovrebbe scegliere lui gli sposi delle figlie, questi
matrimoni sono davvero una rivoluzione, e il terzo gli riesce il più
difficile da accettare: la mente è l’ultima a resistere,
aggrappandosi alle sue certezze. Solo con un grande sforzo supererà le
consuetudini, per l’amore che porta alle figlie, per l’amore che
vede in loro. La benedizione per Chava sarà la più dura e si farà
attendere, tuttavia arriverà anche quella. In fondo Tevye, il cui nome
significa ‘uomo buono’, è un vero seguace della Tradizione, di
quella vera, che fa dell’Amore e della Compassione la sua reale
essenza: non è la struttura, la regola ad essere importante, nonostante
possa servire d’orientamento, consolazione e protezione. La
Tradizione, nelle scelte di Tevye, in realtà non viene stravolta, ma si
rinnova, mutando soltanto la forma e - in ciò - rimane sé stessa nel
suo significato più profondo. |