I VESTITI NUOVI DELL'IIMPERATORE
Questa originale fiaba
dello scrittore danese Hans Christian Andersen (1805-1875) e’ una di
quelle (in totale 156) che piu’ l’hanno reso famoso, per il suo senso
satirico e per la sua semplice saggezza, eccone il sunto.
I vestiti nuovi dell’imperatore - interpretazione di Franca Interiorizziamo, come al solito, i personaggi di questa fiaba, considerandoli componenti della psiche dell’autore, come se Andersen ci raccontasse un suo sogno, che pero’ noi riconosciamo un po’ come nostro. E’ capitato a tutti di sognare di vedersi “nudi”, e come dicemmo in precedenza (sogno Cristiano 17) generalmente tale sogno ci vuol far capire che forse siamo impotenti (nudi) di fronte a qualche nostro difetto; ma forse non a tutti e’ capitato di sognare di essere “imperatori”; eppure nel nostro piccolo mondo noi siamo imperatori dell’impero (o regno = Malkuth) formato dalle nostre facolta’ di agire, sentire, pensare. Azioni, sentimenti, pensieri sono i ns/ sudditi e l’imperatore dovrebbe essere quella parte di noi, la mente, che sa governarli. In questa favola c’e’ un difetto proprio alla base del protagonista: l’imperatore, la mente, invece di passare il suo tempo in Consiglio, vive nello spogliatoio. Non che lo spogliatoio non sia un luogo degno, se e’ funzionale per il suo scopo, vale a dire adatto per “spogliarsi e rivestirsi” al momento giusto, e se ben tenuto, puo’ essere un luogo “perfetto”, ma per un vero Imperatore il “luogo” giusto e’ il Consiglio. Questo imperatore, questa ”mente” vive nel posto sbagliato, cambia continuamente di vestito senza mai entrare nel luogo della sua funzione (governare le nazioni, i suoi centri, le sue qualita’ e facolta’) e dunque non potra’ generare che “conseguenze sbagliate”. Ecco infatti che due sudditi, stranieri, cioe’ non conosciuti (e quindi ancora piu’ pericolosi) approffittano della debolezza dell’imperatore e dei suoi per derubarlo e rendere ridicolo, lui e la sua corte, dinanzi al popolo. In effetti i due ladri e imbroglioni possono essere omologati a due difetti della personalita’relativi alla Sephirah Hod capovolta (avidita’ e cupidigia) che derubano Chesed (l’imperatore) delle sue energie (oro, seta e soldi) lasciandolo “nudo” e sbeffeggiato. La vanita’di sembrare quello che non e’ (sono il personaggio piu’ intelligente e il piu’ adatto a svolgere la carica che ricopro) e’ il difetto principale di questa mente e dei suoi ministri e funzionari (che corrispondono ai pensieri logici e ai ragionamenti razionali) ed e’ proprio il timore di apparire quello che essi realmente sono (inadatti alla loro carica e stupidi) che mostra le loro reali manchevolezze: l’imperatore viene spogliato dei suoi falsi vestiti e costretto a indossare l’unico che davvero gli conviene: il niente proprio perche’ in questa mente non c’e’ niente che valga la pena di essere mostrato. Naturalmente in grado di vedere questa realta’ e’ solo il bambino, la parte innocente e incontaminata che si cela in ciascuno di noi, nel popolo stesso, nella nostra terra, come pietra filosofale, come capacita’ di rigenerazione, come Nuovo, nascosto ancora, ma da cui avra’inizio la vera presa di Coscienza, una volta terminata la farsa del corteo, del baldacchino, e dello spogliatoio scambiato per sala del Consiglio. Grazie. F.V.
I Vestiti nuovi dell'imperatore - Interpretazione di Natale
Un imperatore che spende tutti
i suoi soldi per abbigliarsi, mi fa pensare a quella "specie" di
ricercatori che invece di cercare di togliersi la maschera di dosso,
cercano continuamente di abbellirla, al fine di sembrare sempre più
ricercatori-padroni-di-loro-stessi, per l'appunto - re. Ma un simile
sovrano, è evidente, non potrà mai ben governare, perché guarderà più
all' apparenza, che alla sostanza delle cose. Lo stesso dicasi per il
ricercatore che esso simbolizza: come può un simile "contadino" ben
coltivare la sua terra, se delle piante conosce più la forma ed il
colore che le virtù? Come può un tale ricercatore conoscere se stesso,
se per "se stesso" intende corpo e vestiti? Nat.
“I vestiti nuovi dell’Imperatore” – interpretazione di Maurizio
Nell’ambito della psicologia
sperimentale sono stati talvolta pensati dei test che somigliano a delle
candid camera: mi riferisco in particolare a certi studi nei
quali un malcapitato veniva introdotto inconsapevole in una sala
d’attesa nella quale le altre persone erano nascostamente degli attori
e, conversando fra loro, attestavano come certo qualcosa di palesemente
assurdo o inesistente. Per esempio dichiaravano che un quadro presente
nella stanza era di colore rosso mentre invece era blu, e chiedevano un
parere su di esso alla ‘cavia’ dell’esperimento: ebbene, nella maggior
parte dei casi l’individuo che si trovava in ‘minoranza’ rispetto al
gruppo confermava ciò che veniva asserito dagli altri, non osando
contrapporsi all’opinione comune anche di fronte ad affermazioni
impossibili o irreali. La favola di Andersen mi ricorda proprio questo
genere di osservazioni: l’Imperatore, che rappresenta l’autorità,
afferma qualcosa che nessuno osa contraddire, magari non confessando
neanche a sè stesso la verità finché l’innocenza di un bambino non la
svela facendone prendere coscienza a tutti. L’Imperatore stesso vive
nell’illusione, perché vuole conformarsi ad un ideale menzognero di
raffinatezza, eleganza, intelligenza propostogli da scaltri lestofanti –
interpretabili come i meccanismi stessi di Maya, l’oscurità
fondamentale. La storia sembra adattarsi molto bene anche al nostro
mondo attuale, cosiddetto moderno, che spesso spaccia per valore
ciò che invece è cattivo gusto, spazzatura di vario genere,
sfruttamento: la macchina pubblicitaria e propagandistica di chi vuole
condizionare l’opinione comune risulta oggi particolarmente efficiente.
Tutto ciò è destinato a durare fino all’apertura degli occhi dei
singoli individui, evento che è anche metafora dei grandi processi di
presa di coscienza come quello dell’Illuminazione nel buddhismo,
presente anche nel Vangelo cristiano con la parabola della guarigione
del cieco nato. 1. l’occhio comune: corrisponde al livello anzidetto dell’opinione di massa, legato alla percezione sensoriale e alle verità acquisite non attraverso un processo di elaborazione personale, ma passivamente assorbite; 2. l’occhio divino: è in relazione con poteri particolari, percezioni extra-sensorie, siddhi, veggenza e simili. In senso più ampio può anche indicare l’utilizzo di apparati e tecnologie sofisticate che consentono visioni telescopiche o microscopiche e altro. Oggi utilizziamo tutti il telefono, la televisione, il computer: il nostro potere di comunicazione e di percezione è amplificato, ma ciò non implica necessariamente un parallelo sviluppo conoscitivo o coscienziale. L’opinione può benissimo rimanere quella standard, comune, di massa; 3. l’occhio della Legge: è la percezione del ricercatore, che intuisce una realtà oltre le apparenze e la persegue attivamente. Egli sa che esiste un Ordine Universale e, sia a livello oggettivo e scientifico che a livello interiore e spirituale, cerca di scoprirne il funzionamento e la struttura. Anche qui si tratta di un potere, ma questa volta più conoscitivo e mentale; 4. l’occhio del Bodhisattva: è la visione compassionevole di chi comincia a percepire l’Uno al di là delle apparenze e delle differenze. La distinzione fra l’io e il non-io, fra sé stessi e gli altri, sfuma sempre più nel riconoscimento del legame universale e anche l’azione concreta ne viene ispirata; 5. l’occhio del Buddha: rappresenta la comprensione più alta, quella capace di andare totalmente oltre le apparenze, pur considerando queste una parte essenziale della realtà relativa. Nella nostra favola è rappresentato dalla pura visione del bambino che vede le cose come realmente sono, semplicemente. Il racconto ci dà anche modo di notare che l’apertura degli occhi è, per così dire, contagiosa: tutti già sanno quello che essa rende evidente, ma non ne sono consapevoli. La retta comprensione, però, può essere recuperata molto velocemente: basta poco, un giusto stimolo alla visione…
Albero della Vita – I vestiti nuovi dell’imperatore
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