I VESTITI NUOVI DELL'IIMPERATORE

 

Questa originale fiaba dello scrittore danese Hans Christian Andersen (1805-1875) e’ una di quelle (in totale 156) che piu’ l’hanno reso famoso, per il suo senso satirico e per la sua semplice saggezza, eccone il sunto.
Molti anni fa viveva un imperatore che spendeva tutti i suoi soldi per abbigliarsi con la massima eleganza.... di solito di un re si dice: “E’ in Consiglio!” di lui si diceva sempre: “E’ nello spogliatoio!”  Nella grande citta’ dove abitava giunsero due impostori; si spacciarono per tessitori e dissero che sapevano tessere la stoffa piu’ straordinaria che si poteva immaginare, i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili a quegli uomini che non erano all’altezza del loro compito o che erano imperdonabilmente stupidi.
“Sarebbero davvero vestiti meravigliosi!” penso’ l’imperatore. “Con quelli indosso io potrei scoprire quali uomini nel mio regno non sono degni della carica che hanno, potrei distinguere gli intelligenti dagli stupidi!” e diede molti soldi ai due impostori perche’ cominciassero a lavorare. Dopo un po’ di tempo mando’ a vedere a che punto era la lavorazione della stoffa il suo vecchio ministro. Questi si reco’ nella sala dove i due avevano allestito due telai, facendo finta di lavorarci, ma sui telai non c’era niente. Il vecchio ministro non vedeva stoffa ma non volle ammettere di essere incompetente o stupido e cosi’ lodo’ i disegni e i colori di un tessuto inesistente.
I due malandrini chiesero e ottennero altri soldi, altra seta e altro oro che intascarono regolarmente. Passo’ ancora del tempo e l’imperatore invio’ ad esaminare la stoffa meravigliosa un altro valente funzionario; si ripete’ la stessa storia: nuove sperticate lodi per il tessuto e altri soldi per i lavoranti. Neanche il funzionario voleva ammettere di essere indegno della carica o sciocco. Alla fine lo stesso imperatore volle recarsi ad ammirare quella meraviglia decantata da tutta la citta’ e ... sui telai non c’era niente, ma anche lui rimase entusiasta di quel “niente”. Come poteva dichiarare ai suoi sudditi che era stupido o incapace?.  Dai suoi cortigiani, tutti in ammirazione per la bellezza della non-stoffa gli fu suggerito di farsi confezionare con quella, al piu’ presto, gli abiti nuovi da indossare per il corteo imminente. Cosi’ fu deciso e fatto. Furono confezionati col niente e cuciti senza filo calzoni, giubba, mantello...  Venne il gran giorno: gli imbroglioni chiesero all’imperatore di  spogliarsi per vestire gli abiti nuovi e l’aiutarono anche ad indossarli, lodandone la perfezione e la ricchezza. I ciambellani che dovevano reggere lo strascico, finsero di raccoglierlo da terra e si mossero stringendo l’aria, non potevano dire che non vedevano alcunche’!
Cosi’ l’imperatore apri’ il corteo sotto il sontuoso baldacchino e la gente diceva: “Ma sono di una bellezza incomparabile i vestiti nuovi dell’imperatore! Come gli stanno bene!” Nessuno voleva mostrare agli altri di non vedere niente per non passare per stupido.
“Ma se non ha niente indosso!”  disse un bambino.
“Signore Iddio! La voce dell’innocenza!” disse il padre. E ognuno sussurrava all’altro quello che aveva detto il bambino.... “Non ha proprio niente addosso!” urlo’ infine tutta la gente.
L’imperatore sapeva che avevano ragione, ma dovette guidare il corteo fino alla fine, nudo, con i cortigiani che reggevano la coda del mantello che non c’era per niente.

 

 

 

I vestiti nuovi dell’imperatore - interpretazione di  Franca

 Interiorizziamo, come al solito, i personaggi di questa fiaba, considerandoli componenti della psiche dell’autore, come se Andersen ci raccontasse un suo sogno, che pero’ noi riconosciamo un po’ come nostro. E’ capitato a tutti di sognare di vedersi “nudi”, e come dicemmo in precedenza  (sogno Cristiano 17) generalmente tale sogno ci vuol far capire che forse siamo impotenti (nudi) di fronte a qualche nostro difetto; ma forse non a tutti e’ capitato di sognare di essere “imperatori”; eppure nel nostro piccolo mondo noi siamo imperatori dell’impero (o regno = Malkuth) formato dalle nostre facolta’ di agire, sentire, pensare. Azioni, sentimenti, pensieri sono i ns/ sudditi e l’imperatore dovrebbe essere quella parte di noi, la mente,  che sa governarli. In questa favola c’e’ un difetto proprio alla base del protagonista: l’imperatore, la mente, invece di passare il suo tempo in Consiglio, vive nello spogliatoio. Non che lo spogliatoio non sia un luogo degno, se e’ funzionale per il suo scopo, vale a dire adatto per “spogliarsi e rivestirsi” al momento giusto, e se ben tenuto, puo’ essere un luogo “perfetto”, ma per un vero Imperatore il “luogo” giusto e’ il Consiglio. Questo imperatore, questa ”mente” vive nel posto sbagliato, cambia continuamente di vestito senza mai entrare nel  luogo della sua funzione (governare le nazioni, i suoi centri, le sue qualita’ e facolta’) e dunque non potra’ generare  che “conseguenze sbagliate”. Ecco infatti che due sudditi, stranieri, cioe’ non conosciuti (e quindi ancora piu’ pericolosi) approffittano della debolezza dell’imperatore e dei suoi per derubarlo e rendere  ridicolo, lui e la sua corte,  dinanzi al  popolo. In effetti i due ladri e imbroglioni possono essere omologati a due difetti della personalita’relativi alla Sephirah Hod capovolta (avidita’ e cupidigia) che derubano Chesed (l’imperatore) delle sue energie (oro, seta e soldi) lasciandolo “nudo”  e sbeffeggiato. La vanita’di sembrare quello che non e’ (sono il personaggio piu’ intelligente e il piu’ adatto a svolgere la carica che ricopro) e’ il difetto principale di questa mente e dei suoi ministri e funzionari (che corrispondono ai pensieri logici e ai ragionamenti razionali) ed e’ proprio il timore di apparire quello che essi realmente sono (inadatti alla loro carica e stupidi) che mostra le loro reali manchevolezze: l’imperatore viene spogliato  dei suoi falsi vestiti e costretto a indossare l’unico che davvero gli conviene: il niente proprio perche’ in questa mente non c’e’ niente che valga la pena di essere mostrato. Naturalmente in grado di vedere questa realta’ e’ solo il bambino, la parte innocente e incontaminata che si cela in ciascuno di noi, nel popolo stesso, nella nostra terra, come pietra filosofale, come capacita’ di rigenerazione, come Nuovo, nascosto ancora, ma da cui avra’inizio la vera presa di Coscienza, una volta terminata la farsa del corteo, del baldacchino, e dello spogliatoio scambiato per sala del Consiglio.

Grazie. F.V.

 

 

 

I Vestiti nuovi dell'imperatore - Interpretazione di Natale

Un imperatore che spende tutti i suoi soldi per abbigliarsi, mi fa pensare a quella "specie" di ricercatori che  invece di cercare di togliersi la maschera di dosso, cercano continuamente di abbellirla, al fine di sembrare sempre più ricercatori-padroni-di-loro-stessi, per l'appunto - re. Ma un simile sovrano, è evidente, non potrà mai ben governare, perché guarderà più all' apparenza, che alla sostanza delle cose. Lo stesso dicasi per il ricercatore che esso simbolizza: come può un simile "contadino" ben coltivare la sua terra, se delle piante conosce più la forma ed il colore che le virtù? Come può un tale ricercatore conoscere se stesso, se per "se stesso" intende corpo e vestiti?
Conoscere Sé, per ognuno di noi non può voler dire conoscere "me". Non c'è qualcosa di mio da scoprire, da tirar fuori dalla miniera: conoscere Sé vuol dire proprio conoscere il Sé, l'impersona, ciò che non è maschera, in una parola: la Verità. Se questo nostro strano re della fiaba di Andersen è l'anima individuale e i due tessitori impostori sono l' io e il mio della mente, si fa presto a capire come il tessuto che deriva dalla loro tessitura è falso, inesistente, opera di Maya, dell'illusione.
Io e mio nel regno della verità è la più grande bugia che esista, perché in tale regno ogni cosa è foglia di un immenso sconfinato Albero di Vita. Qualunqua idiota capisce che, se per io si intende il corpo, lo stesso corpo non può essere proprietario di un bel niente, visto che esso dipende al 100% dalla terra, dall'acqua, dall'aria, dal sole e dall'Energia divina; e che se per io si intende la mente egoica, essa non può possedere niente, perché i poteri della mente sono sottoprodotti di Maya e pertanto creano solo illusioni inconsistenti e inafferrabili, impossedibili, essendo esse immagini proiettate che non hanno né corpo né anima. I tessuti della mente sono nel vero senso della parola trame  e orditi, trappole per l'anima individuale. Ma tutti i ministri del re, tutti i sensi di un tale ricercatore fasullo, non ammetteranno mai l'assurdità di tali tessuti, che hanno la proprietà di consentire alla mente stessa di autoalimentarsi: chiunque dica che tale tessuto non esiste non è degno della carica che ricopre. La mente egoica è scaltra e sa usare alla perfezione i due sarti che la compongono: l'immaginazione ed il desiderio. Con una, attingendo alle forme del passato, "crea" ,con lo stesso potere di Maya, nuove forme. Con l'altro, distogliendo dall'eterno presente incorruttibile, fonte di costante Consapevolezza, crea il miraggio di un futuro che, come oggetto da possedere, non è mai esistito. Ed ecco come il povero re si ritrova a dondolare sulla sua Eterna Presenza, correndo come un folle tra passato e futuro. Ecco come, una perfetta piramide (con vertice il re) si ritrova capovolta in un equlibrio che può durare giusto il tempo del capovolgimento: una vita vissuta all'insegna dell'avere  anziché dell' Essere.  Essere vuol dire esserci, essere presenti alla propria presenza che è appunto essenza.  
L'altra sera ho assistito ad un dibattito tv sulla fecondazione assistita. Il moderatore si sgolava per esternare le sue paure circa la possibilità che qualche scienziato irresponsabile, potesse un giorno creare dei mostri manipolando la vita e che pertanto dovevano esser posti dei limiti alla ricerca e alla sperimentazione. Dall'altro lato, un noto filosofo, il Prof. Emanuele Severino (accademico dei Lincei) diceva pacatamente che in ogni caso sarebbe stato meglio l'esistenza che il nulla. L'uno aveva paura dei mostri, l'altro del niente. Tutto questo accadeva mentre dappertutto venivano segnalate manomissioni  di bottiglie di acqua minerale da parte di qualche malato da compatire, che usando un oggetto che può dare la guarigione (una siringa), donava malattie e sofferenze a sconosciuti. Questo povero malato, magari potrà essere guarito con una semplice siringa piena di un buon farmaco.
Ho introdotto quest'eplosivo discorso, per sottolineare come la mente può operare al bene e al male. Purtroppo niente e nessuno, almeno fino ad oggi, può impedire che una scoperta scientifica possa essere usata a fin di male. I "sarti impostori" esistono in tutti i campi, ed i veri "bambini", quelli che possano smascherarli, sono davvero pochi. W l'innocenza. Grazie

Nat.

 

 

 

“I vestiti nuovi dell’Imperatore” – interpretazione di Maurizio

Nell’ambito della psicologia sperimentale sono stati talvolta pensati dei test che somigliano a delle candid camera: mi riferisco in particolare a certi studi nei quali un malcapitato veniva introdotto inconsapevole in una sala d’attesa nella quale le altre persone erano nascostamente degli attori e, conversando fra loro, attestavano come certo qualcosa di palesemente assurdo o inesistente. Per esempio dichiaravano che un quadro presente nella stanza era di colore rosso mentre invece era blu, e chiedevano un parere su di esso alla ‘cavia’ dell’esperimento: ebbene, nella maggior parte dei casi l’individuo che si trovava in ‘minoranza’ rispetto al gruppo confermava ciò che veniva asserito dagli altri, non osando contrapporsi all’opinione comune anche di fronte ad affermazioni impossibili o irreali. La favola di Andersen mi ricorda proprio questo genere di osservazioni: l’Imperatore, che rappresenta l’autorità, afferma qualcosa che nessuno osa contraddire, magari non confessando neanche a sè stesso la verità finché l’innocenza di un bambino non la svela facendone prendere coscienza a tutti. L’Imperatore stesso vive nell’illusione, perché vuole conformarsi ad un ideale menzognero di raffinatezza, eleganza, intelligenza propostogli da scaltri lestofanti – interpretabili come i meccanismi stessi di Maya, l’oscurità fondamentale. La storia sembra adattarsi molto bene anche al nostro mondo attuale, cosiddetto moderno, che spesso spaccia per valore ciò che invece è cattivo gusto, spazzatura di vario genere, sfruttamento: la macchina pubblicitaria e propagandistica di chi vuole condizionare l’opinione comune risulta oggi particolarmente efficiente. Tutto ciò è destinato a durare fino all’apertura degli occhi dei singoli individui, evento che è anche metafora dei grandi processi di presa di coscienza come quello dell’Illuminazione nel buddhismo, presente anche nel Vangelo cristiano con la parabola della guarigione del cieco nato.
La nudità dell’Imperatore contiene un altro insegnamento: nonostante tutte le acquisizioni culturali, sociali o d’altro genere, al di là dell’autorità raggiunta agli occhi degli altri, l’uomo rimane pur sempre quello che è. Conoscere sé stessi significa anche sapersi vedere per come si è veramente, oltre le immagini di sé costruite dalla mente e le sovrastrutture. Naturalmente la visione, la capacità di comprendere, è subordinata all’evoluzione individuale. Nel buddhismo sono classificati cinque tipi di ‘occhio’, cioè cinque diversi punti di vista, a seconda dell’Illuminazione raggiunta:

1.      l’occhio comune: corrisponde al livello anzidetto dell’opinione di massa, legato alla percezione sensoriale e alle verità acquisite non attraverso un processo di elaborazione personale, ma passivamente assorbite;

2.      l’occhio divino: è in relazione con poteri particolari, percezioni extra-sensorie, siddhi, veggenza e simili. In senso più ampio può anche indicare l’utilizzo di apparati e tecnologie sofisticate che consentono visioni telescopiche o microscopiche e altro. Oggi utilizziamo tutti il telefono, la televisione, il computer: il nostro potere di comunicazione e di percezione è amplificato, ma ciò non implica necessariamente un parallelo sviluppo conoscitivo o coscienziale. L’opinione può benissimo rimanere quella standard, comune, di massa;

3.      l’occhio della Legge: è la percezione del ricercatore, che intuisce una realtà oltre le apparenze e la persegue attivamente. Egli sa che esiste un Ordine Universale e, sia a livello oggettivo e scientifico che a livello interiore e spirituale, cerca di scoprirne il funzionamento e la struttura. Anche qui si tratta di un potere, ma questa volta più conoscitivo e mentale;

4.      l’occhio del Bodhisattva: è la visione compassionevole di chi comincia a percepire l’Uno al di là delle apparenze e delle differenze. La distinzione fra l’io e il non-io, fra sé stessi e gli altri, sfuma sempre più nel riconoscimento del legame universale e anche l’azione concreta ne viene ispirata;

5.      l’occhio del Buddha: rappresenta la comprensione più alta, quella capace di andare totalmente oltre le apparenze, pur considerando queste una parte essenziale della realtà relativa. Nella nostra favola è rappresentato dalla pura visione del bambino che vede le cose come realmente sono, semplicemente. Il racconto ci dà anche modo di notare che l’apertura degli occhi è, per così dire, contagiosa: tutti già sanno quello che essa rende evidente, ma non ne sono consapevoli. La retta comprensione, però, può essere recuperata molto velocemente: basta poco, un giusto stimolo alla visione…

 

 

 

Albero della Vita – I vestiti nuovi dell’imperatore

 

 



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