Ulisse

 

Stiamo oramai vivendo in un mondo dominato dalla tecnica. Per chi crede ancora di poter vivere e ragionare coi parametri dell’umanesimo, ignorando o fingendo di ignorare ciò che la rivoluzione tecnologica ha apportato, il prof. Umberto Galimberti (docente di Filosofia della Storia all’Università di Venezia) ha preparato “ un bel paio di lenti” attraverso cui osservare il mondo in cui oggi viviamo: “ Psiche e Techne – l’uomo nell’età della tecnica – Feltrinelli.
Non nascondo che la lettura di buona parte di questo libro mi ha inquietato parecchio, e che non sono riuscito a leggerlo tutto.  Perché ne parlo? Per due motivi, di cui il primo é che tale filosofo va letto per la profondità del suo pensiero sia nel campo della Filosofia, sia in quello della Psichiatria e della Psicologia (pensiero che può essere anche non condiviso, ma che merita il massimo rispetto); ed il secondo é che “ Pische e Techne” mi offre lo spunto per interpretare il mito.
Ulisse é oggi un qualunque ricercatore, che per poter ritornare “ a casa” é costretto a navigare nei mari tempestosi del mondo tecnologico, ed a combattere contro i mostri da esso generati.
Itaca dunque rappresenterebbe l’isola entro i cui confini é bene far acquietare una mente che é riuscita ad animare mostri non più governabili.  Grazie al cavallo di legno siamo riusciti a penetrare nella città in cui veniva custodita la Sapienza (il Palladio), ma di essa non abbiamo fatto buon uso.
“ La tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela verità: la tecnica funziona”. Galimberti consiglia a questo punto di rivedere tutti i concetti di  cui “si nutriva”  l’età umanistica, e di riconsiderarli, rifondarli: al posto di una “ Psicologia del Soggetto” , una “ Psicologia dell’Azione” .
L’uomo é diventato periferia, non é più centro: “ La tecnica infatti può segnare quel punto assolutamente nuovo nella storia, e forse irreversibile, dove la domanda non é più: ‘che cosa possiamo fare noi con la tecnica’, ma ‘che cosa la tecnica può fare di noi’ – “  (U. Galimberti).
Il quadro presentato é deprimente, desolante, inquietante.
Mi sorge spontanea una domanda: non é che il “ virus” tecnologico ha cominciato ad attaccare le cellule grigie dei nostri migliori pensatori, con l’intento di vassallare i loro cervelli, tanto da costringerli a gridare “ L’Uomo é morto” , dopo averli costretti a ‘delirare’ : “ Dio é morto?” .
Adattarsi alle circostanze non é una soluzione definitiva, per quanto geniale possa essere: la cura del sintomo non sconfigge la malattia. La tecnica deve rimanere strumento dell’uomo, e non viceversa.
Col viaggio che stiamo per intraprendere attraverso questo mito ci proponiamo di smascherare i molti tentacoli della nuova piovra: la techne.
Però voglio prima ringraziare il prof. Galimberti per aver riportato proprio all’inizio del suo bel libro, prima dell’introduzione, un passo del Cratilo di Platone:
Psyché  deriva da physéche  che significa: ciò che sostiene e muove la natura.
Techne  deriva da  héxis nou  che significa: essere padroni e disporre della propria mente”. (idem)


Etimologie che vanno meditate….

Il viaggio sta per cominciare, e lo scopo é proprio questo: riconquistare la padronanza della propria mente, seguendo la rotta indicata dalla Natura e da ciò che la sostiene (Vita, Verità e Via)...Dio, quello stesso Dio che fa dire al piccolo-grande  Angelico Marshall Stewart Ball:
“ Il Dio di Marshall,
che ringrazia le persone gentili, libererà coloro che pensano. Egli insegna che il suo amore prezioso insegna piacevolmente come vedere la libertà del bene”
( Marshall Stewart Ball - Il Bacio di Dio -  Sonzogno)

Imbarchiamoci adesso sulle navi di Ulisse e cerchiamo di ritrovare la giusta rotta per far ritorno in un mondo che da qualcuno potrà essere qualificato utopistico o anacronistico, ma che noi qualifichiamo invece 'vero' e non virtuale. Non siamo dei nostalgici del passato, non siamo innamorati del vecchio, non siamo conservatori (non staremmo qui a lanciare programmi e a fare corsi per poter gestire un sito): abbiamo semplicemente osservato il mondo in cui viviamo e ci muoviamo, ma anziché unirci al coro dei Pessimisti, ci chiediamo: cosa possiamo fare noi, perché la tecnica rimanga uno 'strumento' da usare con buon senso? Vediamo cosa riesce a suggerirci questo bellissimo mito.
Perché possa muoversi in un mondo popolato prevalentemente da "lupi", il ricercatore, deve possedere una dote, senza la quale non potrà andare lontano: la furbizia (confr. Matteo, 10, 16: "Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe"). Il nemico, l'ego, tenderà mille trappole. Allo stesso modo, l' ego collettivo, una sorta di 'rete' a maglie fittissime, tessuta da tutti coloro che credono soltanto nella materialità, sguinzaglierà i suoi "uomini grigi" (per dirla con M. Hende: Momo), i virus della mente, i tarli del buon senso. Insomma per dirla in due parole, ognuno di noi è un Ulisse che deve combattere due battaglie: una contro i nemici personali (i Proci) che hanno preso possesso della nostra 'casa' lasciata incustodita perché chiamati a combattere l'altra contro i nemici collettivi.
Ed eccoci immersi fino al collo in questo mare di mito, in questa odissea, in questo ennesimo tentativo di comprensione, con la nostra piccola barchetta, coi due remi fatti di quercia dura, con la vela rinforzata lungo i bordi, e col Nome impronunciabile di Adonai ricamato a caratteri d'oro sulla bandiera. Il nostro primo incontro è coi Ciconi: saccheggiamo le loro terre, ma alla fine veniamo respinti. All'inizio del cammino, il ricercatore (devo puntualizzare questa cosa: ogni volta che pronuncio o scrivo la parola 'ricercatore' mi nasce un sorrisetto, perché penso a quanto tempo perderanno coloro che credono di essere loro, in quanto corpo-mente, i soggetti della ricerca, quando invece il vero ricercatore è il 'Testimone', il Sé, Dio manifesto, lo Spirito, che dopo aver fatto credere alla persona - intendi maschera - di essere un minatore alla ricerca dell'oro, un bel giorno gli manda un'sperienza tale da fargli perdere ogni punto di riferimento, e gli dice forte nell'orecchio di ogni senso ' Io Sono '), all'inizio del cammino, dicevo, il ricercatore, convinto di poter avere…l'essere, cercherà di appropriarsi di tutte quelle cose che, secondo lui, lo condurranno alla vaga meta. Questo 'luogo' è paragonabile all'atrio del castello di Teresa d'Avila: non è una prima mansione, ma pur sempre una prova che ci vedrà respinti dagli 'abitanti' del luogo stesso.
La stessa cosa accade dopo aver mosso il primo passo dalla tecnica all'umano: vorremmo portare con noi, saccheggiare le 'città' di quel mondo virtuale, ma le stesse cose ci grideranno: " andate via di qua, questo è ancora suolo tecnico: o con noi o contro di noi. Ed ecco che a questo punto, finalmente dirigiamo verso nord: guardiamo 'in alto'…Guardare il alto vuol dire più che volgere lo sguardo su, significa anche stornare lo sguardo dal basso, dalla materialità, dal fisico, che non va certo trascurato (esso è uno dei livelli di coscienza e va tenuto in massimo conto).
La seconda tappa condurrà il ricercatore nella terra dei mangiatori di loto. E' un momento particolarmente pericoloso: vi sono tanti falsi maestri capaci non solo di vuotare le tasche dell'incauto 'pellegrino', ma anche abili nell'impadronirsi della debole volontà del principiante che prende per oro colato qualsiasi balla. Nel mondo della tecnica tutto questo ricorda tanto quelle tastiere midi con cui premendo un tasto puoi "comporre" la nona sinfonia, e convincerti alla fine di essere un grande maestro di musica, scordandoti le tue origini 'amusicali'. Vengono risucchiati da questo 'paese' tutti quei cervelli deboli e facili all'ipnosi di massa provocata da martellante pubblicità. Da lì a poco il nostro minatore si ritroverà nella grotta di Polifemo. I ciclopi vivono isolati e corrucciati, e a volte mangiano carne umana. Per il ricercatore è il momento della falsa apertura del terzo occhio: crede di avere a che fare con l'intuizione, ma se non sta attento rischia di essere divorato dal figlio di Nettuno, del Mare, delle passioni. Le passioni vedono sì con un occhio, ma nel mondo delle acque le prospettive sono ingannevoli, distorte. Si corre il rischio di essere inghiottiti da tali giganti, da tali onde, e di sparire negli abissi del mare. Tale occhio va chiuso, accecato, se no si entra in un vicolo cieco da cui sarà difficile uscire.  Nel mondo della tecnica tali ciclopi ricordano tanto i tubi catodici delle  tivù: tengono prigionieri milioni di persone alimentando spesso bassi sentimenti, passioni, pensieri idioti. Per fortuna di tanto in tanto vengono usati con buon senso da persone ragionevoli. Accecare le tivù vuol dire non rompere gli apparecchi, ma evitare di farsi addormentare, chiudere nella grotta come tante pecore pronte per la "tosatura": le forbici della pubblicità martellante riusciranno prima o poi a scucirci tutta la lana…
Occorre andare oltre le passioni, bisogna approdare nel mondo mentale, che tanto bene viene rappresentato dall'isola di Eolo: bisogna usare il cervello e farsi spingere dai giusti pensieri-venti. Occorre 'affrontare' la tecnica con la razionalità, essa va capita, studiata, e alla fine vista per quello che è: uno strumento. E' il momento delle letture intense, ma attenti a non ubriacarsi di discorsi. Il che equivale a credere di inebriarsi con aggettivi e verbi: vanno letti i libri giusti, e vanno sottolineate le frasi giuste. Se per i marinai d'Ulisse aprire le otri contenenti i venti contrari ha comportato l'allontanamento da Itaca che stava lì a portata di ancora, per lo studioso, aprire libri 'sbagliati' vuol dire perdere la rotta, e riprendere quella giusta comporterà fatiche.
Quando la coscienza viene portata a livello mentale il tempo si relativizza: si è nell'isola dei Lestrigoni, dove giorno e notte si susseguono in modo rapidissimo. Quando cominci ad allontanarti dal mondo della tecnica, quando cominci a prendere le distanze da esso, il tuo occhio diventa obbiettivo, imparziale, e puoi meglio distinguere ciò che va rigettato, da quanto invece va tenuto in considerazione. La tecnica è utilissima, basti pensare al suo impiego in medicina, in astronomia, ecc.; ma essa è anche inutile: un esempio per tutti:  assurdi giochi elettronici che scatenano crisi epilettiche, e che hanno come unica 'utilità', quella di gonfiare le tasche degli ideatori di essi.
Anche qui si parla di cannibalismo, di cibo tamasico, di roba putrefatta e indigesta: alcuni strumenti della tecnica sono proprio divoratori di equilibrio.
Sul piano mentale cominciano ad accadere cose strane. Si comincia col giocare con i pensieri, con l'immaginazione, con la memoria: si prende coscienza del formidabile strumento che è la mente, con gli innumerevoli 'programmi' in essa custoditi, con le infinite possibilità che si hanno lanciando ora questo, ora quel programma. E'  l'incontro con Circe, con la magia, con l'uso distorto del  mentale. La mente, se usata male, può arrecare più danno di una bomba atomica. Basti pensare a quello che è riuscito a fare Adolf Hitler, una mente malata ma consapevole del male che stava per alitare. Una mente capovolta è capace di trasformare prima tutte le nostre qualità in esse-esse, e poi di riuscire a vedere nemici dappertutto, e di sterminarli. Una mente malata è nemica degli uomini, come Circe. Per chi continua il suo viaggio di 'allontanamento' dalla tecnica e di avvicinamento all'umanesimo, Circe costituisce il punto di non ritorno: la si può superare con l'aiuto di Hermes come ha fatto Ulisse, oppure ci si lascia trasformare in porci, in animali da pattume. A volte guidare una macchina di grossa cilindrata, usare un'apparecchiatura complessa, cantare con un amplificazione da centinaia di migliaia di watts, può dare alla testa, può suscitare sintomi di 'onnipotenza'. Non ci si rende conto che avere la possibilità di pigiare un bottone che possa sganciare una bomba non ci rende diversi; non riusciamo a capire che avere una pistola in mano non ci rende diversi da ciò che siamo. Se cadiamo preda di questa " volontà di potenza" rimarremo nel porcile per un bel po'. Occorre ad ogni costo assoggettare Circe, vincerla, costringerla all'obbedienza: è il momento cruciale per il ricercatore, che può perdere il dominio su di sé, oppure mantenerlo. Per vincere tale battaglia occorre scendere nell'Ade. E' la discesa agli inferi, lo sprofondamento nelle parti più 'basse' e oscure di noi stessi. A questo punto il ricercatore e l'umanista coincidono, perché entrambi sono costretti a interrogarsi sul loro futuro. Si è già vinta la forza di gravità terrestre e si sta per vincere la forza d'attrazione lunare. Se si riesce ad andare oltre, il viaggio verso il sole-intelletto è spianato. Con Tiresia interroghiamo noi stessi, ma per farlo occorre prendere coscienza del fatto che qualunque potere temporale non trasforma un'ombra in sostanza.  Il viaggio continua, ed eccoci alle sirene: la mente, prima di dichiararsi vinta e domata comincia a intonare le sue cazoni più potenti, quelle che fanno vibrare ogni senso fino alle estasi dionisiache: "il paradiso è questo: pensa, crea ed agisci per te" sembra cantare " tu puoi tutto con me, io sono la tua arma più potente ed il tuo ego, il tuo essere te smaschera tutte le chiacchiere su ipotetici impersonali Sé". Ecco cosa cantano le sirene. Ed ogni senso ti tira dalla sua parte; ti senti lacerato, scisso, Tutta la tua carne si ribella, e l'impossibilità di seguire contemporaneamente mille impulsi spezza le redini della tua volonta: la mente galoppa trascinando il tuo carro verso gli scogli delle sirene. Ma tu che hai domato la mente, sai come tapparti le orecchie, sai come non sentirle, sai come andare oltre. Nel mondo della tecnica accade la stessa cosa: bersagliato da infiniti elettroni vaganti nell'aria inquinata da onde elettromagnetiche, bombardato da migliaia di vibrazioni diverse per natura ed ampiezza, ti credi di essere accarezzato dal Soffio Divino, ma così non é. Puoi ancora cadere vittima della macchina tiranna, ma se hai superato Circe, ciò è improbabile, perché lei stessa ti ha suggerito di incerarti le orecchie. Ma non è ancora finita. Il mondo pare che ti si chiuda addosso: se non lasci volare ogni senso nella direzione voluta dalla mente, che rimane di te? Cosa può rendere interessante vivere?  Se abbandono l'ebrezza dell'elettrone, la guida dell'onda sonora della tecnica, cosa troverò in cambio? Sono davvero una miniera d'oro e non lo sapevo?
Il mondo tecnologico sta per essere distanziato, ma raccogliendo tutte le sue forze, costringe il ricercatore a tali interrogativi, e per trovare le giuste risposte è costretto a perdere molte energie (Ulisse perde sei uomini attraversando Scilla e Cariddi). Passato lo stretto,  Odisseo e ciò che rimane dei suoi marinai si imbatteranno nelle vacche sacre ad Apollo. E' questo un altro momento cruciale: per potere spiccare il volo, il nostro navigatore dei cieli (è solo un modo di dire) deve liberarsi delle ultime zavorre. La luce è li, il sole è in vista, bisogna solo sentirne il richiamo e gli ordini e 'conquistarlo'. Abbandonatele sue ultime propensioni alla profanità, rendendosi conto che i cibi tamasici sono solo per un fisico destinato a perire e disperdesi, il ricercatore deve assolutamente non toccare le vacche sacre, deve cioè rendersi conto che la vera essenza della paziente bestia è luce, è sole. Vedere  le cose in questa ottica vuol dire rispettarle. Vedere in una macchina un corpo inutile se non c'è una energia che la muove, è scoprire che l'essenza di un motore è la benzina, significa essere quasi a casa, essere un uomo. La mente-egoica a questo punto si gioca l'ultima carta: se mi segui renderò il tuo corpo immortale. Siamo sbarcati nell'isola di Ogigia, ove vive Calipso, una ninfa. Ma ormai il nostro ricercatore-umanista ha capito di essere composto di terra e di cielo, per cui non si fa convincere da lei: Ulisse con l'aiuto di Zeus e di Hermes, dopo 7 anni, riesce a lasciare l'isola. Tanto tempo sta a sottolineare che quest'ultima tentazione è stata forte e che per vincerla, il nostro eroe ha dovuto metterci tanto tempo.
Ulisse, ormai solo, dopo l'ultima spaventosa tempesta scatenata da Nettuno, con l'aiuto di Minerva (dell'intelletto) sbarca nella terra dei Feaci. Il nostro umanista, in quest'ultima tempesta ha dovuto prendere le distanze dalla propria macchina, dal proprio corpo e dalla propria mente, ed ha sofferto molto. Placatasi l'ira di Nettuno, Ulisse lascerà la bella Nausica e farà ritorno a Itaca: il ricercatore ritrova se stesso, ed è pronto per affrontare l'ultima terribile prova: i Proci.
I Proci rappresentano le ombre di tutti i mostri, di tutte le tempeste, di tutte le avversità che il ricercatore ha dovuto superare: esse sono ancora là nella mente come ricordi, e vanno tutti eliminati.
L'arma da usare sarà l'arco, quello che solo lui può tendere, perché esso rappresenta il suo centro, il cuore, da cui coi dardi della comprensione trapasserà tutte le ombre e tornerà ad essere un uomo fra uomini, uno che è finalmente padrone di se stesso.
L'uomo ha preso il comando della macchina: viva l'uomo, viva la tecnica al servizio dell'uomo.

 

Grazie. N.M.



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