Bhagavad Gita
VIII estenuante per
gl’innumeri conflitti scivolando in
quotidiana assenza. E la morte pare
vera, come tutto ciò che
sfugge e la dolorosa
crisi dell’essere. Dov’è la felicità,
quale? Il sentire si
scioglie e svanisce sotto il peso duro
della fine sgretolato dal
limite imperante. Ma di nuovo e già
da sempre impensata
soluzione appare: fra le mani
stringo forte ogni grano del
presente, e riscopro
l’Assoluto reimmergendomi
nel flusso che la vita mi
propone; rifulgente come il
sole, come luna
riposante, che dà il senso ad
ogni istante. La teoria degli
eventi scorre viva vibrante per
gl’infiniti significati ritrovata la
quotidiana pienezza. IX Mistero nel
respiro, mistero nel
battito nel cuore, nella vita
mistero. Dolce della
primavera lo sciogliersi, esaltante la forza
dell’estate, mesto il riflesso
d’autunno, duro l’ inverno
scuro, ma al centro
d’ogni istante e ciclo immutabile il
segreto sta. Né, di fatto, più
che il nulla conosciamo: per paura e per
sconcerto, quando il tutto
sembra incerto, e la vita sfugge
ampia fra le maglie del pensiero, in visioni
congelate noi serriamo quel mistero. Mistero nel
respiro, mistero nel
battito del cuore, ovunque il
mistero. Non è stupore se
il segreto ammetto, e neppure
smarrimento: quell’arcano
solamente è la certezza che pervade la mia
vita e le dà forza: è a quel pozzo sì
profondo che io attingo
nuova luce, la saggezza del
confronto che nel mondo mi
conduce, l’accortezza per
un’etica più salda, una scienza più
sensibile ad ognuno, l’apertura verso
gli altri e verso l’Uno. X Numerosi pensieri
affollati e complessi impregnati di
gioia e tristezza alternate, anelando una vita
verso il meglio orientata per motivi
profondi nel profondo di me. Poi persone e
contatti fra gli scambi e i
contrasti, con confronti e raffronti dolorosi
e intricati ricercando
rapporti da equilibrio ispirati. Finalmente
realizzo ch’è senz’altro evidente: in un gioco
nascosto che si muove a spirale la mia storia
sviluppo sopra un asse centrale, ma quest’asse, mi
chiedo, in sostanza cos’è: sarà un centro,
una legge, o persona
ulteriore che trascende
suprema la mia vile
persona? “Esso è un nucleo, una cosa
che afferrare non
puoi, che ti sfugge
sovente e si mostra più in là, perché vuole
spronarti a esser desto e vivace, ad accogliere
sempre tutto quello che c’è. Non bloccarti, non
stare, non cercar di
fermare uno slancio che è
avanti ogni specie che sai: tu pulisci lo
specchio e continua a invocare la coscienza
vitale che sta dentro di te.” XI
Facile da credere, facile da
comprendere: fra i monti
solenni, i fiumi e la luce, nel fuoco e
nell’acqua, fra nuvole e
nebbie, osservando le
stelle, la vita e la
morte, traspare
l’Assoluto, Uno, l’Imperituro. Difficile da
credere, difficile da
comprendere: nelle città
dell’uomo, fra macchine
fredde, venefici gas, la pubblicità
ridondante dei potenti, pur nell’arte e
nel pensiero, con opere maestose
e belle, nei frutti della
mano e dell’ingegno, trapela
l’Assoluto, Uno, l’Imperituro. Impossibile da
credere, impossibile da
comprendere: in me, in te,
nell’altro, nella folla, nel
vicino, in tutti noi, fra degrado e
difficoltà, per quotidiane
dure realtà, fra ciò che
rifiutiamo e dov’è impensabile che sia, nei fatti piccoli
e concreti, dove non è
esaltante e prevale la noia
o lo spavento, è proprio là che
si mostra chiaramente l’Assoluto, Uno,
l’Imperituro.
XII Fede in che, a chi, a che cosa
devozione e culto? E’ la domanda mia,
non d’altri, è per il mio
cuore, che da essa non
può deviare, ed è sicura
bussola per me, guida preziosa. Si prova fedeltà a
un’idea, per un campo
d’azione l’affezione e per la
conoscenza ossequio, per un’autorità
venerazione, dedizione alla
concretezza o all’evanescenza, verso un fine
nobile oppure uno sviluppo, dedicando la vita
a questo e quello, perché il meglio
perseguiamo e ci crediamo. Ma fede in che, a chi, a che cosa
devozione e culto? Nella risposta la
mia intima certezza di una flessibile
unità, di una saggia
finalità e di vitale
interezza. Una segreta legge
di gioia colma a cui offro fede e
devozione: è la risposta mia,
non d’altri, è per il mio
cuore, che in essa trova
ristoro, fonte preziosa. XIII
La via all’esterno
e all’altro mi fa osservare il
campo, l’azione
multiforme e varia dei modi
d’esperienza. La via per
l’interno e l’intimo emozioni e
sentimenti esplora, e i pensieri col
conoscere, i moti di
coscienza. Al centro, proprio
in mezzo, là, il terzo
sconosciuto, di solito
imprevisto, spontaneo e
unitario, non viene da un
contrario. Il campo fa
fiorire, l’osservatore
sboccia, la vita intera
schiude: sofferta dualità
pressante traccia fra
soggetto e oggetto la strada
trascendente.
XIV
Tamas… ho bisogno di
guida di conforto e
indirizzo e mi lascio
portare senza chiedermi
nulla l’istintivo è mia
prassi il bisogno è la
norma quasi senza
pensare. Rajas… predominio
pretendo la ragione a ogni
costo e ritengo che gli
altri siano sempre in
errore la visione mia
certa con testardo
timore io proclamo ed
impongo. Sattva… cerco l’equo con
tutti quel che penso lo
dico non reclamo
ragione ma proteggo la
legge nel rispetto
dell’altro consapevole sempre della luce nel
cuore. In un giorno di
sole nel notturno
lunare sempre oltre gli
opposti e le tre qualità ricercando
l’unione l’equilibrio
ulteriore nella complessità.
XV
Albero maestoso manifestazione
dell’universo, albero capoverso singolare e
glorioso. Nascondi fra le
foglie e celi fra le
radici l’origine di tutto e i rami sono
cornici. Mistero è la tua
vita, mistero la
spiegazione, l’inizio e il fine
ultimo di ogni tua
funzione. su cui fonda la
natura del mondo
materiale.
Su nei campi
celesti hanno vite beate fra gli armonici
suoni di strumenti
dorati i divini abitanti di delizie son
colmi perché sono devoti al Supremo
Sovrano. In spelonche
fumose come demoni scuri nella rabbia
cresciuti e l’invidia che
rode dei compagni
celesti col Sovrano Severo che preclude
l’accesso al reame sereno. Francamente vorrei fare a meno del
tutto di lavagne
squadrate con i buoni e i
cattivi preferisco
auspicare la saggezza del
cuore con maggior
serietà. Non dispero però: la caverna più
fonda per mill’anni nel
buio da una fiamma
soltanto anche di una
candela rischiarata sarà.
L’osservanza è
formale non mi chiedo mai
nulla quel che dicono
faccio obbedisco alla
norma senza vera
adesione: è una fede
passiva. Come paglia
m’infiammo con passione io
credo perché giusto mi
sento dalla parte del
bene ma timori
nascondo: è la fede
dell’ego. La certezza è più
interna non coltivo paure ma sorpasso le
prove ricavandone sempre un pò più di
apertura: è la fede del
cuore.
Rinunciare al
giudizio di opinioni
esclusive che pretendono
tutto di sapere e
ordinare, rinunciare a
certezze, soprattutto se poi ci separano aspre dalla vita e da
noi, rinunciare anche
al dubbio, quel che rode e
consuma svalutando ogni
cosa con sfiducia e
sospetto, rinunciare perfino al percorso
glorioso di chi al mondo
rinuncia col pretesto che è
buio. Forse è meglio
portare una luce se manca, un sorriso s’è
spento, per le storie di
ognuno un profondo
rispetto, poi conoscer me
stesso, quel che posso e
non posso, la mia rabbia e
paura e magari perché. Forse sbaglio a
capire o non so più
vedere ma per me
migliorare è sentir l’unità. Si, rinuncio,
rinuncio a pensarmi
lontano, in un modo
diverso, a pensarmi
perfetto: i miei limiti
accetto, li utilizzo per
dare anche poco anche
male quel che riesco di
me.
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