EPILOGO a A Boezio Anicio Manlio
Torquato
Severino, mentre attendeva in
carcere la pena capitale, si presentò allegorica la Filosofia. Questa mattina all'alba, appena aperti gli occhi, la stessa allegoria si ripresenta a me. Non si parla di destino, né di libertà dell'uomo. Con un fare seccatino un monologo mi fa: "Sono stanca - disse -
stanca di sentire il nome mio pronunciare, senza ch'io
sia presente in qualche modo. La mia veste, come vedi, è
macchiata del mio sangue: una piccola ferita ha
sporcato il mio candore, ma la gente s'è convinta
della certa morte mia. No, non può Filosofia, mai
morire - no e poi no! Zarathustra ci ha provato
a distruggermi per via, ma quel colpo che ha
sferrato mi ha sfiorata, e così sia. Tuttavia, egli è riuscito
a cospargere per l'aria una peste ch'è sfociata in
contagio universale: morto è Dio; l'uomo è di
più; metafisica frù frù; i valori tutti a mare, con
il Nulla da pregare. Nichilismo ha dilagato, ma
paziente aspetto qui
che un filosofo rinato sparga forte il DDT
(diddittì) Dio è la Vita che in noi
si vive; l'uomo è un fumino quaquaraquà; la metafisica è oltre le
rive del fiume Maya che scorre e va. I miei valori, le grandi
idee, dal mare escono: eccoli qua; basta cospargerli con
questo diapason che vibra Amore fra umanità. Il Nulla sta lì: non lo
scacciare, non aspettare che possa
morire: il Nulla no, non-è,
lascialo andare per quella strana porta
che non c'é. |