RAMAYANA
Il Testo del Ramayana è
intessuto di una complessità mitologica difficile da districare. Prima
ancora di entrare nel vivo del poema, mi sembra perciò importante
prendere in esame la figura di Rama e le sue implicazioni religiose e
filosofiche nella cultura dell’India.
1. Matsya, il Pesce. Salva tutti gli esseri viventi dalle acque diluviali. Attribuisco la valenza della Sefirah Chokmah al primo Avatara di Vishnu, in quanto l’inizio creativo della manifestazione ha proprio il compito di farla ‘emergere’ dalle acque oceaniche del Tutto Indifferenziato. La storia assomiglia a quella del Diluvio della Genesi: il Noè indiano, di nome Manu, viene avvertito da Matsya dell’imminente cataclisma. Potrà salvarsi soltanto la grande barca di Manu trasportata da Matsya, con a bordo una coppia di tutte le specie viventi, i ‘semi’ della nuova manifestazione. Siamo, così, in linea con il significato ‘maschile’ di Grande Avo della Sefirah citata. 2. Kurma, la Tartaruga. Il mondo appena emerso dal Diluvio dev’essere formato: Kurma s’incarica di sostenere sul suo dorso il monte Mandara, l’enorme ‘mestolo’ che gli dei adoperano per ‘frullare’ l’Oceano di Latte da cui escono gli elementi e le forme del nuovo Ordine. Kurma-Vishnu appare anche come la fanciulla Mohini che inganna gli Asura – Titani o divinità inferiori – affinché non acquisiscano l’immortalità, mentre cui gli dei del nuovo universo l’assorbono attraverso la bevanda ‘amrita’. Binah, la Sefirah della Grande Madre e del Grande Mare delle Forme si armonizza con questo racconto. 3. Varaha, il Cinghiale: la Terra - personificata nella dea Prithivi - non riesce dopo l’anzidetto Diluvio a liberarsi dalle acque oceaniche e a svolgere il suo compito di sostegno alla vita. E’ tenuta prigioniera dal demone gigantesco Hiranyaksha. Vishnu, nella sua misericordia, assunta la forma del Cinghiale, combatte duramente per mille anni il demone e lo uccide, liberando definitivamente Prithivi. Nelle nostre attribuzioni sull’Otz Chiim ritorniamo sulla Colonna di destra, appunto quella della Misericordia, dove la Sefirah Chesed rappresenta proprio la Legge divina e l’Ordine instaurato da Giove-Zeus. Nella mitologia greca Zeus, al suo avvento, conduce una guerra contro i Titani, che vengono sconfitti e sprofondati negli inferi. 4. Narasimha, l’Uomo-Leone. Il potente demone Hiranyakasipu non può essere ucciso né da uomini né da animali, né di giorno né di notte, né all’interno né all’esterno della sua casa. Arriva a perseguitare crudelmente suo figlio Prahlada, perché questi ha un temperamento devoto e una visione illuminata dal punto di vista religioso. Vishnu, sotto le sembianze di Narasimha – né uomo né animale – al crepuscolo, quindi né di giorno né di notte, e sulla soglia di casa, né all’interno né all’esterno, uccide il demone. Oltre le opposizioni polari, dunque, questo Avatara combatte e distrugge l’ingiustizia e il male e contribuisce alla definizione della morale e dell’etica. La Sefirah correlata è, quindi, la severa Geburah. 5. Vamana, il Nano. L’Asura Bali spodesta gli dei e conquista i tre mondi (assimilabili ai tre piani inferiori dell’Albero: fisico, astrale, mentale). Vishnu gli appare come Nano e chiede un territorio pari a tre dei suoi passi. Bali glielo concede, ma Vamana si trasforma nel Gigante Trivikrama che, con i suoi passi, si riappropria di tutto quanto lo spazio. A Bali pentito viene lasciato uno dei tre mondi, quello inferiore. ‘Bali’ in sanscrito vuol dire ‘offerta, sacrificio’, ed è logico che a lui competa il piano inferiore, il più ‘esterno’, che dev’essere offerto e trasmutato. Netzach è la Vittoria sulle apparenze illusorie del reale: il Nano (microcosmo) e il Gigante (macrocosmo) sono unificati nel divino gioco della consapevolezza. 6. Parashurama. Il conflitto qui descritto comincia ad avere non tanto caratteristiche ‘cosmiche’ come quelli anzidetti, quanto quelle dell’uomo, sia pure per definire quella che nei Veda è una Istituzione Universale della società umana: quelle delle caste, il ‘Varnashrama’. Si delinea come un conflitto fra brahmana (sacerdoti) e kshatriya (guerrieri) nel quale il padre di Parashurama viene vigliaccamente ucciso. All’inizio del contendere c’è un furto ai danni di questo padre: il rapimento della mucca dell’abbondanza Kamadhenu. Parashurama recupera la mucca e – con la sua ascia - inizia la guerra contro gli kshatriya responsabili decimandoli interamente per 21 volte e instaurando la supremazia brahmanica. Le caratteristiche della storia – il ladrocinio, l’astuzia, la malafede, l’inganno, le lotte fra uomini - fanno pensare ad Hod, Sefirah associata a Mercurio, Re dei ladri e degli astuti. In linea con Hod anche la Gloria finale e il riscatto degli ‘studiosi’ dello Spirito (Mercurio-Hermes-Ermete come dio della conoscenza occulta) appartenenti alla Varna dei brahmana. 7. Narayana. E’ uno dei nomi di Vishnu, ma non è propriamente una sua incarnazione per la difesa del Dharma. E’ rappresentato dormiente sul serpente Ananta (che vuol dire ‘Eterno’) e sogna la creazione dell’Universo, quindi ne è alle fondamenta, ne è il Suolo, la Terra. Da un altro punto di vista è il Dio che risiede in tutti gli esseri viventi in attesa di essere riscoperto: Nara-ayana significa, per l’appunto, ‘cammino, percorso o destino’ (ayana) dell’uomo (nara), quindi è alla base del Risveglio. Per questo motivo lo aggiungiamo come ‘undicesimo’ ai dieci Avatara di Vishnu e lo associamo nel nostro parallelo con il misticismo cabalistico alla Sefirah Malkuth, il ‘Regno’, sede della Shekinah, la Presenza Divina. 8. Rama. Viene chiamato anche Ramachandra, ‘Splendore della Luna’, e quindi ben si armonizza con Yesod, la Luna. Da lui, simbolicamente, possiamo far iniziare la vera evoluzione umana della Coscienza. E’ lui che sconfigge i demoni, i fantasmi della mente, le illusioni, contenute nel mondo astrale e lunare di Yesod. Sita è proprio questa conquistata e poi riconquistata saggezza, Sophia. Ravana è l’archetipo del demone dell’illusione, Mara per il buddhismo. 9. Krishna. Il discorso su questo importantissimo Avatara sarebbe sterminato, quanto lo è il Mahabharata. Anche lui lotta contro l’ingiustizia ma, soprattutto, fornisce ad Arjuna – nella Bhagavad Gita – gli insegnamenti del Bhakti Yoga, lo Yoga della Fede-Devozione. Per questo motivo l’attribuzione di Tifereth risulta congrua: la Sefirah del Cuore, equilibrio fra gli opposti, allineamento fra alto e basso. 10. Buddha. Il Risvegliato che insegna l’’Apertura degli occhi’ e il superamento della Sofferenza non può non associarsi con Da’ath, la Conoscenza, il Terzo Occhio, la Visione Superiore. La sua non è più una ‘guerra’ - una lotta interiore metaforizzata con cruente allegorie di conflitti ‘esteriori’. Anche lui sconfigge nemici e ‘demoni’, ma questi sono tutti ‘interni’, e lo fa con ahimsa - la non-violenza - attraverso la consapevolezza e la conoscenza di sé: tutta la sua vicenda si svolge dichiaratamente sul piano della ricerca interiore e dell’Illuminazione. 11. Kalki: è il futuro Avatara, paludato di bianco su un cavallo nero, che segna l’inizio di una nuova Era d’Oro, un Satya Yuga. Lo associo al Kether in quanto confine estremo fra la fine e il nuovo inizio. Probabilmente Kalki (il “distruttore delle impurità” o “dell’ignoranza”) è proprio situabile al compimento del cammino di reintegrazione, sulla cima virtuale e sempre attuale dell’Otz Chiim. Proprio come il futuro Buddha, Maitreya, e come anche il Cristo dell’Apocalisse alla ‘fine dei tempi’, o piuttosto dello ‘spazio-tempo’. Notiamo una curiosa e interessante corrispondenza: il nome dell’Albero vedico Ashvattha è composto di ‘ashva’, che significa ‘cavallo’, e ‘stha’ che è connesso con il verbo ‘dimorare’. Più o meno, dunque, si parla di un luogo dove stanno i cavalli. Il cavallo è un simbolo di forza e Kalki è un cavaliere che, quindi, cavalca o ‘doma’ l’Albero o - piuttosto - l’energia presente in esso: quella della manifestazione cosmica. Da questo punto di vista possiamo per analogia associare al nero cavallo di Kalki il toro di Mithra, i ‘10 tori’ del buddhismo Zen, la tigre taoista, il ‘drago verde’ dell’alchimia occidentale, il serpente Kundalini dello Yoga.
Mi sembra importante un’ultima doverosa precisazione sulla figura del dio Vishnu e sui suoi ‘Dashavatara’ (dieci incarnazioni), particolarmente in relazione con gli altri due componenti della Trimurti, Brahma e Shiva. Le tre divinità, infatti, costituiscono per la mitologia indiana una sorta di triplice aspetto dell’Assoluto. Brahma è il Creatore, il Demiurgo: il suo stesso nome contiene, in sanscrito, l’idea della crescita, del diventare forte, del potere. Non è da confondersi con il Brahman, che non è il Creatore, ma il principio divino sovra-personale, non soggetto ai cicli cosmici di creazione e dissoluzione, l’Assoluto stesso. Shiva, opposto di Brahma, è detto essere il Distruttore, però non in una accezione puramente negativa, perché il suo nome vuol dire “Propizio”. Un altro suo appellativo, tuttavia, è Rudra, il “Tormentatore” , il “Furioso”. A Shiva, insomma, possiamo attribuire un aspetto severo, di Giustizia, cioè nel senso di dolore e annientamento finalizzati alla trasformazione e all’acquisizione di Coscienza. Vishnu, il cui nome significa “Onnipervadente” o “Immanente”, è il dio presente in ogni aspetto della manifestazione, sia nella creazione che nel dissolvimento. Ne rappresenta la struttura e la totalità, e il numero dei suoi Avatara, dieci, lo testimonia. Per questi motivi ritengo di poter attribuire, continuando nel consueto parallelo con l’Otz Chiim quale mandala cosmico, il Triplice aspetto dell’Assoluto ai Tre Superni e alle colonne dell’Albero così come nel seguente schema n. 2, tenendo in considerazione che il Brahman è situabile invece oltre, identificandosi dal punto di vista della Cabala con i “Tre Veli dell’Esistenza Negativa”, con l’Ain Soph.
Ramayana: introduzione - schema n. 1
Ramayana: introduzione - schema n. 2
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