COSI' E' SE VI PARE

 

Il Signor Ponza, sua moglie e la suocera, la Signora Frola si sono trasferiti, dopo un terremoto che ha sterminato la popolazione del paesino del sud dove vivevano, in una cittadina provinciale pettegola e morbosamente curiosa. Il comportamento dei tre forestieri e’, a dir poco, strano: il Signor Ponza ha affittato un appartamentino all’ultimo piano di un caseggiato popolare per la moglie, che tiene chiusa a chiave,  e un quartierino elegante per la suocera che egli va a trovare tutti i giorni. Questa abitazione e’ contigua  a quella del Consigliere della cittadina e “la gente” (a  cominciare dalla moglie e dalla figlia del Consigliere e dai loro amici e conoscenti) si chiede con curiosita’ esasperata come e perche’ la madre non possa andare liberamente a trovare la figlia, ma solo vederla da lontano, e perche’ quest’ultima non esca mai di casa. Dai vari dialoghi della commedia tra i curiosi, la signora Frola e il genero si delineano due possibilita’: o lui e’ malato di mente, ossessionato dalla gelosia per la moglie, o la suocera e’ pazza e crede sua figlia la  moglie del genero, mentre invece questa e’ solo la seconda moglie, essendo la prima morta. I pettegoli, ruotando intorno alla prefettura, vorrebbero vedere le “carte”, i certificati  di morte e di matrimonio, ma  i documenti ufficiali sono andati perduti nel terremoto e la verita’ non salta fuori. Unico tra tutti che non si unisce al coro dei pettegoli impiccioni e’ il fratello della moglie del Consigliere,  Lamberto Laudisi, il solo che sa della “relativita’” della realta’ legata alle persone, al loro modo soggettivo di pensare e di comportarsi; Lamberto si diverte (e ci fa divertire) a stuzzicare i suoi stessi parenti e i loro ospiti,  esasperando la loro ridicola pretesa di  “diritto a conoscere” i fatti altrui. Ma alla fine la curiosita’ generale rimarra’ insoddisfatta. Chiamata a rendere conto di chi essa “veramente” sia, la Signora Ponza, vestita di nero e velata dira’: “Io sono si’ la figlia della Signora Frola  - e la seconda moglie del Signor  Ponza –si’; e per me nessuna! Nessuna! Io sono colei che mi si crede”. Cosi’ termina la “Parabola in tre atti” di Luigi Pirandello in cui  egli ha sapientemente e giocosamente sviluppato la sua tesi  che la Verita’, ogni Verita’ resta per l’uomo inconscibile, inafferrabile e che ci si deve accontentare di verita’ soggettive che mutano al mutare del punto di vista.

 

 

 

 

Cosi’ e’ (se vi pare) interpretazione  cabalistica di Franca

Eccoci ad interpretare questa commedia di Pirandello come un ennesimo viaggio iniziatico o risalita dell’Albero cabalistico. Cominciamo con l’esaminare i nomi dei personaggi e il loro significato:Lamberto significa “illustre nella propria terra”; Laudisi, da laus-laudis, e’ relativo alla “lode del Signore”; Ponza, da ponzare deriva da “pontare” che vuol dire fare sforzi per partorire; Frola e’ molto simile a “frale” che significa fragile, delicata; Agazzi puo’ essere riportato al verbo “agazzare” che vuol dire “montare in collera”; Dina equivale ad “amorevole” e Amalia a “laboriosa, attiva” ecc.. Partiamo dal presupposto che Pirandello voglia dimostrare che la Verita’, qualunque verita’, sia  “relativa” e quindi irraggiungibile e che, quando si cerca di bloccarla, di afferrarla per conoscerla, rimane “velata” e ambigua;  in questo caso, poi, dovendo conciliare gli opposti (la pazzia del Signor Ponza e quella della Signora Frola) conduce alla conclusione che  pazzi siamo tutti, noi compresi, anzi, noi in modo particolare, che cerchiamo nelle commedie di Pirandello quello che lui non ha voluto mettere (ma che forse ha messo non volendo –cosi’ e’ se vi pare-). Intanto, per restare negli arzigogoli pirandelliani ricordiamo qui il famoso cartello con su scritto da una parte: “sul retro di questo cartello e’ scritta una cosa vera” e dietro: “sul retro di questo cartello e’ scritta una cosa falsa”. Ora noi sappiamo che se lo scritto 1 e’ vero, lo scritto 2  deve essere vero, e per conseguenza l’1 falso... di qui l’assurdo: vero = falso!
Nel mondo della logica, del pensiero razionale una cosa “vera” non puo’ essere anche “falsa”, perche’ vero e falso sono contrari e non possono coincidere. Ma la realta’ umana dei comportamenti, dei sentimenti e dei pensieri soggettivi, comprende le contraddizioni e gli opposti, perche’ con-prende anche cio’ che e’ al di sopra della logica .Cosi’ la Signora Ponza, per l’amore che porta ai suoi due cari e’ disposta a rinunciare alla sua identita’ personale, alla sua “verita’ oggettiva”: e’ come loro vogliono che sia, come loro necessitano che sia, per il “bene” di tutti e tre, cioe’ “figlia” della madre, “seconda moglie” del marito e per se’: “nessuna”.
Poniamo i personaggi sull’Albero cabalistico e ricordiamo che a monte della vicenda c’e’ stato un “terremoto”. Che cosa significa per noi questo? Che la “terra” il Malkuth a cui attribuiamo lo stesso Pirandello, alias  Lamberto Laudisi (= la parte piu’ nobile della terra, destinata alla lode del Signore), ha subito un scuotimento e tale scuotimento ha prodotto “questa” commedia. Abbiamo quindi la visione e la conoscenza dell’Albero, nella parte “nera” delle qelipoth: l’astrale nero formato dalla psiche pettegola delle donne (Signora Amalia, attivita’ al nero = indolenza; Dina, amorevolezza al nero = malignita’, con le loro varie amiche e conoscenti) e il mentale nero formato dai pensieri curiosamente morbosi e irosi degli uomini (Consigliere Agazzi,  Prefetto, Commissario ecc.). Abbiamo poi lo sviluppo dell’Albero bianco con le Sephiroth: lo sviluppo di Yesod con la Signora Frola (fragile), di Tiphereth con il Signor  Ponza (ponza-to = partorito - da Pirandello –)  e lo sviluppo di Daath, la Verita’ con la Signora Ponza (ponza-ta = partorita - da Pirandello -).
Per poter giungere a conoscere la Verita’ finale, cioe’ la Signora Ponza in cui si incarnano l’Amore coniugale e l’Amore  filiale (e potremmo qui intravedere sia le nozze mistiche sia l’incesto filosofico-ermetico); l’autore-protagonista deve, a seguito del suo personale terremoto, scendere nell’interno di se stesso, conoscere tutti i suoi burattini interiori, pettegoli, egoisti e superficiali, smascherarli come fa Lamberto, ridere di loro e lasciarli poi con un palmo di naso, compiendo cosi’ quella purificazione che opera la trasmutazione dell’energia e il ri-velamento della Verita’, quella Verita’che e’ Se Stessa proprio perche’ non e’ Nessuna ed insieme e’ Tutto, in quanto e’ al di la’ e al di sopra degli opposti.

Grazie. F.V.

 

 

Albero cabalistico di “Cosi’ e’ (se vi pare)”

 

 

 

 

 

 

 

Cosi’ e’ (se vi pare) interpretazione  di Natale

La bellissima parabola in tre atti che ci accingiamo a commentare, potrebbe essere nata cosìcome ve la raccontiamo in prima persona, fingendo di essere Pirandello.
Un giorno, la mia immaginazione era particolarmente accesa, e sullo schermo della mia mente apparve una porta  posta alla sommità di sette scalini. Era chiusa. Sullo stipite di essa c'era scritto "FILOSOFIA". Non era una casa, non era un castello, ma solo un'apertura luminosa su un fondo nero. Là dentro  dovevano certamente esservi tutti i filosofi che nel corso dei secoli avevano dedicato la loro vita alla ricerca delle Cause Prime, alla ricerca della Verità ultima. Improvvisamente uscirono tre personaggi strani. Avevano un'aria distratta, come se la loro mente fosse distante da loro mille miglia. Erano sicuramente tre filosofi greci che discutevano animatamente. Appena mi videro, si avvicinarono, e uno di loro mi disse: "Perché non entri? Là dentro ci si diverte da morire. Pensa, siamo tantissimi, e per ognuno di noi,il Principio di tutte le cose è diverso. Per me, per esempio, è "l'Acqua" (Talete), per lui   è "l'Infinito" (Anassimandro), e per quest' altro è "l'Aria" (Anassimene). Ma in quella grande sala  c'è chi pensa che l'essenza di tutte le cose sia il "Numero" (Pitagora), chi dice che la sola realtà  è "l'Essere" (Parmenide), chi vede il principio di ogni cosa  nel "Fuoco" (Eraclito), oppure nei "Quattro  Elementi" spinti ad aggregarsi o a disgregarsi sotto la spinta di "Amicizia" oppure "Odio" (Empedocle). Poi c'è chi parla di particelle invisibili dette "Omeomerie" (Anassagora),  chi di "Atomi" (Democrito). Per non dire poi di certi Scettici, secondo cui la verità non può essere oggettiva, e la scienza non  ha principi universali. Per essi, il pensiero è tutto. Credimi, se entri, ti divertirai". Ciò detto, andarono via. Mi ero quasi convinto, e stavo per mettere piede sul primo scalino, quando qualcuno mi posò una mano sulla spalla, mi superò, salì sul secondo gradino, e da lì mi disse: " Non ho potuto fare a meno di ascoltare: non dare retta a quei tre, là dentro  nessuno ragiona, quindi non entrare. Ti basti sapere questo: "La vera natura dell' uomo è 'Ragione', e con essa puoi conoscere te stesso e il mondo" (Socrate). Detto questo, salì gli altri gradini e scomparve dentro. A questo punto da quella apertura sbucò una specie di cameriere con camicia bianca, pantaloni neri, papillon, un tovagliolo bianco ad un braccio, ed un rotolo di pergamena in una mano. "Di tipi come lei, signore, a queste scale, se ne presentano tanti - mi disse -. Rimangono lì come imbambolati, e non si decidono mai ad entrare. Il mio compito è di stimolarli a farlo. Io, signore sono un…butta dentro. Mio compito è di stimolare il suo appetito intellettuale e di "costringerla" al pasto filosofico". Srotolò la pergamena e prima di cominciare a leggere, "questo è il menù" -disse- "abbiamo:

-         Trascendenzidealismo gratinato, con contorno di anima prigioniera al forno (Platone);

-         Frittura mista di dualismo al macero di anima e corpo (Aristotele);

-         Atomi tritati alla Ben=Piacere e Mal=Dolore (Epicuro);

-         Materia e Forza alla brace (Democrito);

-         Uno in salmì, con insalata di Idee, Anima Mundi et Materia (Plotino);

-         Minestrone romano parafilosofico alla parolaia  bullonesca;

-         Patristica alla Buona Novella, con Madre=Nonna et Figlio=Padre dogmati con panna;

-         Agostino alla platonesca;

-         Panteismo neo-Platonico al cartoccio (Giovanni Scoto Eriugena);

-         Dimostratio Dei alla griglia (Anselmo);

-         Qui lo dico e qui lo nego all'aquinate (Tommaso);

-         Provare per credere alla Ruggero (Bacone);

-         Coincidentia Oppositorum alla Nicolò  (Da Cusa);

-         Arrosto alla Campo de' Fiori in terra tunda et sole fermo, o a scelta, Monadi pre- Leibniz al sugo, con contorno d'inquisitio sadicato alla cainesca (G. Bruno)."

Stava per srotolare  ulteriormente quell'infinito, strano menù filosofico, ma con un cenno deciso lo invitai a tacere: "no, grazie - gli dissi - per ora non ho appetito".
"Il mio dovere, signore, io l'ho fatto. Non mi resta, pertanto, che rientrare ed aspettare fino al prossimo titubante. Buona sera". E andò.  Io stetti un po’ lì davanti alla piccola scalinata. Poi dissi fra me e me: " Di certo fame non ho, ma conoscere gli autori di così prelibate pietanze, non mi dispiacerebbe affatto." Salii le scale in fretta, ma giunto all'ultimo gradino, sulla soglia apparve un uomo robusto, con dei baffi enormi. La sua statura ed il suo aspetto mi intimorirono, ma quando posò i suoi occhi sui miei, un senso di grande pietà mi inondò. Il suo sguardo mi ricordava quello di mia moglie, ma c'era in più qualcosa di strano, di misterioso, come se la sua follia non fosse una malattia ma una "benattia" (mi si perdoni il conio): come se a causarla fosse stato un eccesso incontenibile di Bene. Di solito si ammattisce per male, quello lì era diventato folle, per bene. Era Nietzsche con tutta la sua fragile potenza, con tutta la sua potente fragilità, con tutta la sua "sana" follia. Avrei voluto dirgli subito che il suo pensiero era stato frainteso,  che le sue parole non erano state capite da nessuno o quasi, ma prima che potessi aprir bocca, disse fra sé, ma non tanto da non farsi sentire:" Eccone un altro. Nemmeno a questo, dunque, hanno detto che la Verità è morta?". Abbassò il capo, mi guardò per un attimo, e poi  rientrò.
Varcai quella soglia con molta tristezza nel cuore e col proposito di non aprir bocca ma di solo ascoltare. L'ambiente era un enorme "parlatorio" immerso nella luce. Ognuno dei filosofi stava davanti a uno specchio e ripeteva a se stesso le proprie convinzioni. Cartesio cantilenava il suo "Cogito ergo sum", compiacendosi della consapevolezza che il proprio pensiero aveva di sé. Quando gli fui vicino, mi scrutò e disse: "Dio esiste, fra un cogito e un altro, nel concetto che noi abbiamo della Sua Esistenza", dopo di che si rivolse alla sua immagine riflessa, continuando nel suo potente cogitare. Invece Pascal non mi guardò direttamente, ma attraverso la sua immagine speculare: " Oltre il pensiero - mi disse - va il cuore con le sue intuizioni e le sue certezze. Non dimenticarlo: la Verità , passando per il cuore, diventa 'sentimento', certezza". Si aggiustò il vecchio cappotto con un'alzata di spalle, e tornò a se stesso.  Intanto, una voce particolarmente appassionata, quella di Spinoza, così sentenziava: "Una è la Sostanza, con due attributi: Pensiero ed Estensione, Spirito e Corpo. Le singolarità sono 'modi' della Sostanza". Ma non facevo in tempo ad afferrare una voce, che subito un'altra catturava la mia attenzione. Erano tutte da ascoltare e da condividere, perché tutte avevano quella particolare profondità capace di raggiungerti nel profondo e di scuoterti. Quei personaggi, quei filosofi erano tutti ammirevoli per il loro estremo sacrificio, quello della propria vita per la ricerca. Quando ognuno di loro parlava a se stesso allo specchio lo faceva per uno scopo ben preciso: per raddoppiare gli sforzi che la mente operava al fine di impregnare di Verità ogni atomo di quella forma innamorata di Sofia. Era un vero  e proprio lavoro alchemico tendente a corporificare lo Spirito, e così facendo a sottilizzare il corpo. Quello che più di tutti c'era andato vicino era stato sicuramente Nietzsche, ma nel corso del suo lavoro, nel suo laboratorio era accaduto qualcosa che aveva a che fare col regime dei fuochi. Lo Spirito scese con tutta la sua Potenza, con tutto il suo Amore, con tutta la sua Saggezza, ma nel momento in cui il corpo lo  accolse, un non domato ego offrì ad esso quel conbustibile che qualificò la fiamma secondo principi scorretti. L'Opera era fallita, ma briciole di Sapienza erano rimaste qua e là nella poesia dell'ammirevole folle. Ma ecco un'altra voce, quella di Leibniz: "Non dissolverti nell'infinito, individualizza la sostanza e sarai 'Monade', una Unità unica"; e poi un' altra ancora: "L'immaginazione è creazione; attraverso la poesia sapiente, o la sapienza poetica, puoi contattare la Verità più che col pensiero" (Vico). Alla fine decisi di ascoltare le ultime tre, perché se no rischiavo un'indigestione: quella di Kant che criticava la ragione che ragiona di metafisica, e che affermava essere il soggetto pensante il vero sole del sistema conoscitivo; quella di Hegel: "Il mondo è tutto pensiero, Logos"; e quella di Schopehauer: "Il mondo è la mia rappresentazione".
Ovviamente, ogni filosofo non si limitava a ripetere quelle scarne frasi, corrispondenti all' appena il 10% delle loro tesi, ed era per questo che ero saturo di concetti e idee. Ero stanco nel corpo e nella mente, e non vedevo l'ora di andar via da quel posto così "intossicante" per chi non è abituato a quelle pietanze. No, quello non era posto per me, né da vivo, né da morto. Lasciai quel luogo e guadagnai la città più vicina. Decisi di perdermi per un po' nelle le vetrine dei negozi. Fui catturato da ognuna di esse. Improvvisamente però, una vetrina a specchio riflettente, anziché farmi "entrare" , ripropose me a me stesso. Per qualche attimo mi osservai , e la figura riflessa mi osservò. Ma dopo un po' quella immagine riflessa cominciò a parlare senza alcuna autorizzazione da parte mia: "Ognuno, su questa terra - disse solennemente - più che ricercare la Verità, può nuotarvi dentro, e nel farlo, schiumando, 'sentirla' per consapevole contatto. Di Essa, tutti i fondatori di religioni, hanno parlato, ma i loro seguaci ne hanno frainteso le parole, ed anziché pace, armonia e amore, sono riusciti solo a seminare odio e disarmonia. I Grandi filosofi hanno "visto" un aspetto di Essa, ed hanno dato vita a scuole di pensiero in lotta fra loro. Ma possibile (per dirla Nietzschianamente) che nessuno abbia detto a tutti costoro che la Verità è quell'Immenso Mare che li accoglie tutti, che li nutre? Possibile che nessuno si accorga che il poeta poetando, lo scultore scolpendo, la colf colfando, e la nonna nonnando, tutti non fanno altro che cantarLA? Fin tanto che facciamo quanto ci tocca di fare con la convinzione che la strada della ricerca sia diversa dal dovere richiesto dal nostro stato, la Verità sarà altrove. Ma nel momento in  cui scorgeremo nella nostra vita quotidiana la strada maestra "verso"  la Verità, il mondo diventerà vero ed ogni cosa LA canterà nel modo che gli compete.  Tu sei un commediografo e non un filosofo, dunque scrivi le tue brave commedie per il teatro. Quella è la tua strada. Che ognuno faccia quello che deve, quella è la sua strada ."
Non potevo che prendere atto di questo strano settimo personaggio che era un me stesso inatteso (ma non tanto…), e delle sue sagge parole. Mi diressi subito verso casa. Guadagnai il mio studio, e cominciai a scrivere quello che andava  accadendo in un salotto borghese d'una città di provincia, qui, nella mia mente, grazie ad una sfrenata immaginazione, che mi suggeriva il modo teatrale migliore per dire la mia (?) sulla Verità. Il discorso fluiva in modo comprensibile, popolare, semplice, attraverso i dialoghi di personaggi che, carne della mia carne e mente della mia mente, guadagnavano la loro autonomia nel momento stesso in cui li osservavo e li ascoltavo. Ubbidiente alla mia "fantasia", scrissi tutto come doveva esser scritto, ed alla fine cercai anche di capire il senso profondo, il messaggio subliminale dell'intera parabola. La Verità è fatta di Cielo e Terra. Se il solo Cielo o la sola Terra volessero definirla, Essa  non sarebbe che mezza Verità. Non può essere solo dare (Cielo) o solo avere (Terra) essa è paradossale: dare e avere allo stesso tempo, Spirito e corpo, sottile e denso, figlia della signora Frola e seconda moglie del signor Ponza allo stesso tempo.
Quei patetici salottieri rappresentano i soffiatori, i falsi filosofi che vorrebbero comprenderLA a chiacchiere e a "si dice che…". Essi vorrebbero vedere la Verità, con un solo occhio. La loro mente razionale ha completamente escluso il cuore e quindi l'intuizione, e pertanto si perde in un labirinto di discorsi inutili, ed alla fine non può che essere divorata dal minotauro della superficialità.
La sventura di cui alla fine parla la velata Verità-Ponza, va riferita proprio a quel claudicante laboratorio alchemico che è quel salotto: quel modo di ricercare è da compatire, e porta con sé la sventura della follia: "Qui c'è una sventura, come vedono, che deve restar nascosta". Nessuno di quei "solo pelle" può comprendere che Lei, Ponza-Verità, pur essendo Una, è allo stesso tempo figlia-terra-avere per la signora Frola, e seconda moglie-cielo-dare per il signor Ponza. Essa è solo ciò che comprende entrambi, non può pertanto avere un suo volto, una sua forma. La Verità è oltre ogni dualità, oltre ogni forma, oltre ogni parola, fatto, atto. E' oltre…
Adesso, approfittando della pazienza di Nat, cercherò di spendere due parole sulla regia di De Lullo e sulla Compagnia dei (sempre) Giovani. I salottieri, venendo presentati come burattini sia nella faccia che nella mente-voce, ben rappresentano tali falsi filosofi. La loro parola è frutto di fredda curiosità e di pettegolezzo (non parlare, ma s-parlare: parole a cui manca qualcosa, l'anima…). Laudisi è l'unico a parlare come un uomo, l'unico che oltre alla superficiale ragione usa anche il cuore e il buon senso. I burattini salottieri proiettando ombre con quel geniale gioco di luci, mostrano la loro intima natura: il buio pesto nel quale calano le loro lenze con finti ami, con la speranza di pescare qualche pesciolino di luce: cosa impossibile. Quanto agli attori: tutti protagonisti. Anche chi  nella commedia-parabola dice poche parole, riesce a mettere tutto se stesso. Primus inter pares, Romolo Valli.Anche la trovata dello specchio sottolinea che, in quel salotto, il solo in grado di poter colloquiare con se stesso è Laudisi, per cui tale specchio viene dato in prestito solo a lui per qualche attimo, e poi vien subito tirato su.

 

Grazie Nat per avermi concesso un po' della "tua" Vita. Il tuo amico Luigi.

 

 

 

 

 

‘Così è se vi pare’ –  riflessioni di Maurizio


 1.   I signori Sirelli, i loro amici, il signor Prefetto, il Consigliere Agazzi eccetera, rappresentano tutti insieme l’opinione comune, la conoscenza condizionata, schematica, superficiale, collettiva. L’apparenza è considerata Verità Assoluta. Le categorie dello spazio-tempo sono sentite come fisse e immutabili. L’universo è euclideo, la filosofia e la religione sono buonsenso ipocrita e rivelazione dogmatica, conclusa in eterno.

2. Il signor Lamberto Laudisi è uno psicagogo, un iniziatore. Egli cerca di smantellare le categorie delle certezze collettive, suggerendo la consapevolezza della relatività di ogni punto di vista, come anche la rispettabilità e ‘verità’ delle differenze individuali. In lui si incarna tutto il lavorìo del pensiero di fine ‘800 e del primo ‘900, che rivoluziona un certo tipo di conoscenza del mondo: la relatività di Einstein e il principio d’indeterminazione di Heisenberg nella scienza fisico-matematica, i vari futurismi e cubismi nell’arte, i lavori sulla psiche e l’inconscio di Freud e altri. Attraverso la presa di coscienza di ciò che Laudisi suggerisce, risvegliando un salvifico dubbio sulle certezze conclamate e ritenute assolute, passa  l’inizio di ogni cammino interiore.

3. ‘Lamberto’ è un nome di origine germanica in cui la prima parte, da land, vuol dire ‘terra’ e la seconda, berto (precht, pert), significa ‘splendente’, ‘nobile’, ‘glorioso’. ‘Terra splendente’, dunque. ‘Laudisi’ è da laude, ‘lode’, anche ‘preghiera’. Viene in mente la ‘Pura Terra’ del buddhismo, che rappresenta la mente purificata e luminosa del Buddha, la ‘Terra del Risvegliato’. Nel buddhismo, in realtà, la Pura Terra non è un posto lontano, ma è proprio qui, dove siamo in questo momento, è la nostra stessa vita. Basta scoprirla, liberandosi dai condizionanti meccanismi dell’illusione.

4. La signora Frola è una visione della Verità più profonda di quella dell’opinione collettiva. ‘Frola’ suggerisce ‘Flora’, la divinità della natura, dei fiori, della vegetazione, padrona dei sottili segreti della crescita e dell’armonia. Come livello di consapevolezza non si basa sulla presa di coscienza ‘sensoriale’, quanto su una percezione di tipo sentimentale: ella conosce una Verità figlia del suo tipo di visione, cui si sente profondamente unita, ma irraggiungibile, visibile solo di lontano. Può comunicare con essa solo di sfuggita: un ‘panierino’ dall’alto e qualche messaggio scritto. Flora è una divinità invecchiata, appartiene ad un’altra epoca, ad un’altra visione del mondo, più semplice e ingenua, che non vuole capire ma credere: ora è inadeguata, forse impazzita.

5. Il signor Ponza, come suggerisce il nome, rappresenta il pensiero. Nella sua vita c’è stato un ‘terremoto’, ha perso tutto. La realtà delle cose percepita dal sentimento è ormai superata, è morta. Arriva sempre un momento in cui la mente rimane confusa, disorientata, in cui si avvicina alla follia. La percezione della Verità della mente ‘moderna’ è cangiante, relativa: è la visione del primo ‘900. Il pensiero crede, comunque, di poter sposare la Verità, di farne una ‘signora Ponza’, una seconda ‘moglie’ rispetto a quella dei tempi passati. La chiude, la protegge, la separa dal ‘sentimento’ stesso, cerca di renderla inavvicinabile, imparziale, asettica come per un esperimento scientifico, cercando di eliminarne le variabili indipendenti. La Verità non è comprensibile né dall’opinione collettiva né dal sentimento, ma anche il pensiero, pur ritenendo di possederla, probabilmente non la conosce.

6. La ‘signora Ponza’, Iside velata, Verità occulta, è inarrivabile nella sua essenza. Essa ‘così è se vi pare’, cioè si presenta in vario modo secondo l’apparenza dei mondi della percezione. Tuttavia il suo essere velata lascia avvertire la presenza di qualcosa oltre il velo, un Mistero su cui non si può dire nulla. In un altro senso, di per sé, in maniera ipostatica e lontana dalla percezione di ogni essere vivente, lontana, essa non esiste. Essa è tutto per tutti e, dunque, è infinita compassione.

7. Dov’è dunque la follia, il dramma? Nel tribunale e nell’inquisizione collettiva? Nel sentimento, oppure nel pensiero? Forse nell’aspetto multiforme e cangiante della Realtà, in quel suo essere costantemente velata eppure disponibile ad ogni livello d’interpretazione e di esperienza? La risposta è ancora da approfondire, forse da indagare in ulteriori ‘pirandelliani’ lavori. Per ora, qui, sembra che a Pirandello basti mettere in dubbio le nostre certezze…



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