I giganti della montagna
Sintesi
I giganti della montagna e` l’ultima
opera di Pirandello, iniziata nel 1931 ancora nel 1936, alla sua
morte, non era terminata.
Memorabile la rappresentazione dei
Giganti
realizzata da Strehler al Piccolo di Milano nel 1995.
Una compagnia di attori girovaghi,
guidata dalla contessa Ilse, avendo
deciso di recitare
“La
favola del figlio cambiato” (una opera
altamente drammatica dello stesso Pirandello) e
non trovando
accoglienza nei comuni teatri, giunge ad una villa che sembra
abbandonata. Gli strani e misteriosi abitanti della villa, il mago
Cotrone e gli Scalognati, cercano dapprima di allontanarli con
tuoni, fulmini, apparizioni di fantasmi e altro, infine, poiche` i
commedianti non si lasciano intimorire, li accolgono, e Cotrone
cerca di convincere la contessa a recitare per gli ospiti della
villa il suo dramma, una storia scritta per lei da un giovane poeta
che, innamorato e da lei respinto, si e` ucciso. La villa puo`
accoglierli perché e` una ‘dimora molto particolare’, dove tutto
puo` realizzarsi, basta volerlo: “Siamo
qui come agli orli della vita, Contessa”
dice Crotone ad Ilse
“Gli orli, a un
comando, si distaccano, entra l’invisibile: vaporano i fantasmi. E`
cosa naturale. Avviene cio` che di solito nel sogno. Io lo faccio
avvenire anche nella veglia. Ecco tutto. I sogni, la musica, la
preghiera, l’amore… Tutto l’infinto che e` negli uomini, lei lo
trovera` dentro e intorno a questa villa” Ma
Ilse non accetta, vuole che, in qualche modo, chi assiste all’opera
teatrale venga coinvolto, magari in modo conflittuale; allora
Cotrone le propone di recitare la sua
favola
ai
Giganti della montagna, potenti signori
occupati nella realizzazione di grandi opere, che potrebbero
inserirla in un contesto di festeggiamenti per un loro importante
matrimonio.
La tragedia termina con l’arrivo dei Giganti (si odono musiche e
urla quasi selvagge) ed ecco le ultime parole scritte da Pirandello
e pronunciate da Diamante, la seconda donna della compagnia del
teatranti:
“Ho paura…”
Nell’epilogo,
che non e` nel dramma, ma che era nelle intenzioni dell’autore, poi,
si viene a sapere che i Giganti, tutta razionalita`
e interessi materiali, non accettano la proposta, non hanno tempo
per
la poesia e le cose
dello spirito, ma permettono che la rappresentazione venga allestita
per il
popolo, i loro servitori.
Ilse, pure consapevole del pericolo di portare la sua arte a chi e`
completamente privo di sensibilita`, accetta. Urla
e fischi accolgono la rappresentazione, gli attori reagiscono, nasce
una zuffa, Ilse
viene uccisa.
“I giganti della
montagna” int. cab.
Ci chiediamo perché mai Pirandello abbia
scelto proprio
La favola del figlio cambiato quale
dramma da far portare in scena alla compagnia di Ilse. Cominciamo col
sintetizzare la favola:
Ad una madre le
Donne
(specie di streghe dell’aria) hanno rapito il figlio in fasce, sano e
bello, e glielo hanno sostituito con uno brutto e malato. La
fattucchiera del paese Vanna Scoma consiglia la povera donna di
prendersi cura del bimbo che le e` toccato in cambio, anche se e` un
mostro, perché allora il suo stara` bene. Il figlio rubato e` stato
portato dalle
Donne a corte ed e` vissuto da principe, ma ora,
malato, giunge nel paese natale e immediatamente si sente rinascere.
Intanto il re in un attentato viene ucciso. I cortigiani vorrebbero che
il principe tornasse subito in citta` per essere incoronato (o per
essere a sua volta ucciso). Quando il principe viene a sapere di essere
il figlio cambiato della favola, rinuncia agli onori, manda al suo posto
il vero principe, il mostro, e resta con la madre ritrovata.
Nel
“La favola del figlio
cambiato” Pirandello, ormai al termine della
vita, afferma la necessita` di conoscere se stessi e di vivere secondo
il modello interiore che ci e` proprio, a costo di rinunciare ad
ambizioni e ricchezze.
Ne-I
giganti della montagna
Ilse, figlia
d’arte, nel I atto dice di se`:“Teatrante,
teatrante!… io si`, nel sangue di nascita!”
perché ad certo punto aveva lasciato la sua arte per diventare
contessa,
ma il suicidio del poeta-autore del
La favola del figlio cambiato l’aveva fatta
tornare al teatro e alla sua vera vita. Poi
Ilse muore per compiere la sua missione, cioe`
per aver voluto portare il teatro, la sua arte, in mezzo alla ‘gente’.
Ecco, questo ci sembra
il legame tra le due opere: il concetto che si deve compiere cio` per
cui si e` nati e non altro. E ci viene in mente il versetto della B.
Gita (canto III, v. 35)…
“Meglio
il proprio dovere benche` imperfettamente compiuto, che il dovere di un
altro bene eseguito”.
Ora entriamo ne- “I
giganti della montagna”. Consideriamo l’ultima
opera di Pirandello, come un
‘sogno’ che ci sia stato
raccontato dall’autore alla vigilia della sua morte. Come i “Dialoghi
delle Carmelitane” di G. Bernanos, (v. www.taote.it
cineforum)
scritti negli ultimi mesi
di vita, rispecchiano tutto il suo travaglio nell' affrontare i temi
della morte imminente, della paura, della debolezza umana, del rapporto
con la Divinita' e con la Fede
cosi`
I giganti della
montagna
rispecchiano tutti i
timori e le angosce di Pirandello, racchiusi in quell’ultima frase di
Diamante: “Ho
paura…”.
Ma chi non ‘ha paura’ quando sta per lasciare questo mondo che conosce e
deve affrontarne un ‘altro’ di cui non conosce nulla? Eppure una
continuita` tra la nostra realta`
fisica e quella sottile ultra terrena ci deve essere; probabilmente e`
costituita dalla coscienza della nostra psiche (mondo astro-mentale) e
dal nostra componente spirituale (mondo causale) che permane in qualche
modo anche quando il corpo fisico muore. Probabilmente quanto
piu` si ha conoscenza e coscienza di questi mondi sottili in
vita, tanto piu` si sara` in grado di
gestire il post-mortem.
Pirandello era maestro
di conoscenza della psiche, era abituato a scendere all’interno di se` e
a tirar fuori i suoi burattini interiori, regalandoceli come personaggi
di commedie e drammi, ma forse mancava di fede nella sua componente
spirituale, e forse anche per questo ‘aveva paura’.
Esaminiamo ora il titolo
I giganti della montagna: strano titolo per un
dramma in cui
i giganti non compaiono se non come urla
e suoni selvaggi. I ‘giganti’ secondo il mito esiodeo erano i figli di
Gea (la terra) fecondata dal sangue della ferita di
Urano (il cielo), mutilato da Cronos (il tempo); erano
mortali e la maggior parte venne schiacciata da isole e montagne, per
es. uno di essi, Encelado fu colpito dalla Sicilia,
scagliata da Atena, e il ‘gigante’ ora sarebbe l’Etna. Secondo la Bibbia
(Gn. 6,4) i ‘giganti’
nacquero
dall’unione dei figli di Dio (gli angeli ribelli o i discendenti di
Set?) con le figlie degli uomini (le discendenti di Caino?) e erano
considerati una razza ‘proterva’. La ‘montagna’ e` la terra che da basso
sale verso l’alto con la sua cima, e in senso figurato significa mole,
grande quantita`. I
giganti della montagna
dovrebbero essere quelle potenze terrestri, che, nate dall’unione di
Terra e Cielo
dovrebbero tentare di
risalire in Cielo. La ‘Terra’ che aspira al ‘Cielo’ e` dunque l’essenza
del titolo del dramma di Pirandello, e poiche` la Terra
nell’Albero e` il Malkuth, la
personalita`,
I giganti della montagna vengono ad
essere il ritratto di Pirandello che alla fine della sua vita ‘si volge
al Cielo’, e quindi anche il suo testamento e la sua eredita`.
Cominciamo ad esaminare i significati dei nomi dei personaggi, iniziamo
dalla compagnia della Contessa.
Ilse ,
detta ancora
la Contessa:
e` ‘il-se`’ della storia, l’anima, l’energia stessa del dramma; ma
anche come ‘Elsa’, diminutivo di Elisabetta, ne e` la ‘pienezza’, la
‘completezza’; e ancora come ‘elsa’, impugnatura (della spada), e
come ‘contessa’, (da comites) e` cio` che accompagna nella lotta.
Il
Conte, suo marito: conte (da comites) = e` il
compagno d’armi.
Diamante, la seconda donna: e` la pietra dura e
trasparente.
Cromo, il caratterista: e` chi da` colore.
Spizzi, l’attore giovane: e` colui che
‘spizzica’, assaggia o fa assaggiare.
Battaglia, generico donna: e` ancora chi
combatte.
Sacerdote: e` chi si occupa del ‘sacro’ ma non
ha peso nel dramma e solo pochissime battute.
Lumachi, e`chi spinge il carr-o (-etto): e` chi
va lento, come la lumaca, nel fango, ma trascina la sua ‘casa’ avanti.
Ora passiamo ad esaminare l’altro gruppo di
personaggi,
gli abitanti della ‘villa’ (= casa di campagna):
Crotone e gli Scalognati
Cotrone, il Mago: cotrone e` detto un bicchiere
di metallo senza piede e anche un medaglione rotondo con intorno un
cerchio di metallo, simboleggia la coppa e ricorda il simbolo alchemico
del Sole. ‘Crotone’ e` invece il nome della pianta del ricino, usato per
‘purgare’. Mago: e` il ‘grande’, ma anche chi purifica, chi si occupa
dei sacrifici.
Gli
Scalognati: scalogna e` la sfortuna, lo scalogno
e` un tipo di cipolla aromatica: gli
Scalognati
sono dei poveretti che pero` danno profumo e sapore alla
storia.
Il nano Quaqueo:
e` chi fa qua-qua, come la paperella nello stagno.
Duccio Doccia :
e` sempre dell’elemento acqua ma anche, da Aldo -Alduccio = il
bello-belloccio.
La Sgricia:
possiamo derivare questo nome da ‘sgricciolo’ che vuol dire brivido,
ma anche uccellino (scricciolo) e anche risata; la vecchina termina
il suo racconto dell’ avventura con l’Angelo 101 chiedendo alla
Contessa: “Tu
forse ti credi ancora viva?” perché sa di
essere morta. Quindi
La Sgricia,
fusione di brivido, risata e fragilita`, e`
gia` una piccola coscienza dell’aldila`.
Milordino: e`il signorino, da Milord, ma anche
il mio sciocchino, da (ba)-lordo.
Mara-Mara: e` chi e` due volte amara, ma vuol
dire anche fango, melma (marra).
Maddalena: e` la peccatrice per antonomasia, ma
anche chi e` come una torre, e` difficile da abbattere.
Fantocci-Apparizioni:
sono i giocattoli, i burattini, - e anche i fantasmi, gli spettri di
questo ‘bardo’ pirandelliano.
L’Angelo 101: Angelo vuol dire messaggero, le
decine sono
numeri che caratterizzano
il piano fisico, le centinaia l’astrale, le migliaia il mentale; 101 e`
proprio l’inizio del mondo ultra-fisico.
Per quello che riguarda
la collocazione sull’Albero di questo dramma possiamo come al solito
porre Pirandello, che, come abbiamo detto, coincide con
I giganti della
montagna in Assiah (fisico), la villa degli
Scalognati
con
Cotrone in
Yetzirah (astrale), la compagnia dei teatranti con
Ilse
in Briah (mentale).
Piu` particolarmente
possiamo porre la compagnia della Contessa Ilse
sul mentale
dell’albero cabalistico di
Pirandello, collocando gli otto personaggi nei semipiani dei quattro
elementi cosi`:
In cui, per il significati dei loro
nomi Ilse con Sacerdote, Diamante e Cromo rappresentano la mente
intuitiva dello stesso Pirandello, e Battaglia e Spizzi con il Conte
e Lumachi la sua mente razionale, pratica, ma, come abbiamo gia`
visto, Sacerdote e` scarso, Ilse ha trascurato il suo dovere,
Diamante ha paura, Cromo e tutti gli altri sono deboli e avrebbero
preferito per interesse che Ilse fosse stata infedele al marito.
Passiamo poi a collocare all’interno del
mondo astrale gli Scalognati:
In questo ‘mondo’ per il significato dei
loro nomi i personaggi come La Sgricia e il suo Angelo 101, lo stesso
Cotrone, Mara-Mara e Milordino rappresentano l’astrale superiore di
Pirandello e il nano Quaqueo, Duccio-Doccia, Maddalena e le altre
Apparizioni il suo astrale inferiore.
Il dramma de-I
giganti della montagna cosi` ricco di intuizioni
sui mondi sottili
ci racconta un ennesima discesa agli inferi di
Pirandello senza pero` sfociare
in una risalita sulla terra e una ascesa al
cielo. Pirandello avrebbe nel suo mondo astrale, nel suo cuore, la
‘Fede’ necessaria alla Resurrezione, e` la fede della
Sgricia nell’Angelo 101, ma il suo mondo mentale, Ilse
soprattutto, e percio` la sua compagnia, non
l’accettano. Avere ‘Fede’ significherebbe accettare almeno
temporaneamente l’offerta di Cotrone, questo porterebbe
ad una approfondimento della coscienza dell’astrale e del mentale, e
poi, in seguito, forse, i
giganti
potrebbero
accogliere la compagnia.
Voler
invece trasmettere
ai ‘servi’ dei
giganti,
cioe` a chi non e` qualificato, i ‘misteri’, conduce a
morte sicura.
Cosi` agli ‘inferi’, Pirandello
ci rimane, affascinato da quei mondi sottili
oscuri e assorbenti, come un mago catturato dai suoi stessi sortilegi e
li` costringe a morire la sua
Ilse
(il-se`), come un agnello sacrificale, per la
fecondazione dei ‘servi’ dei
giganti
rimandando ad altro tempo, ad altri
giganti
di
montagna, ad altri ‘Pirandelli’
la possibilita` di accogliere la
favola del figlio
cambiato.
Grazie. F. V.
I giganti della montagna
L'anima e la voce del teatro di Pirandello
Se nei
Sei personaggi
abbiamo assistito all'irrompere in un teatro
di personaggi veri, metafora dell'irruzione sul palcoscenico del
mondo di ognuno di noi con la propria storia e la comune coazione a
rappresentarla così come è "scritta", nei
Giganti della
montagna entriamo nella fabbrica dei
personaggi, in quel mondo stupendo, malleabile come una creta, a cui
Michael Ende nel suo fantastico romanzo
La storia
infinita, ha dato il nome di
Fantàsia.
Luigi Pirandello in questo mondo "parallelo"
ha trascorso pressoché l'intera sua esistenza. Egli ha vissuto in
quella belissima isola che è la Sicilia, dove
il troppo sole
procura agli occhi deli isolani una sorta di scomposizione dei
colori che crea
incanti figurati, e dove
le figure non sono
inventate dagli abitanti dell'isola, ma
sono un
desiderio dei loro occhi. Nel mondo di
Fantàsia,
dopo avere messo da parte la ragione
- "Non
bisogna più ragionare" dice Cotrone al Conte
- ma abbandonarsi all'immaginazione creativa, immergersi in quella
continua
ebullizione di chimere che lascia concepire
enormità
mitologiche in una
continua
sborniatura celeste.
Certo i
Sei personaggi possono essere letti in mille
altri modi: come complessi autonomi junghiani, come forti pensieri
che spingono la volontà in un'unica direzione, come forti passioni
che monopolizzano la mente e il corpo inducendoli ad obbedire, come
manifestazione d'amore verso un teatro giudicato più vero della
cosiddetta realtà, come incanrnazione di un'idea, come apologia
della magia che il teatro mette in moto, come una sorta di geniale
schizofrenia controllata, come gioco pittorico tridimensionale, come
opera di illusionismo, come rappresentazione del sottosuolo dello
scrittore, come descrizione di un caotico mondo dei sentimenti
collettivi, come esercizio di una pittura quadridimensionale in cui
lo spazio-tempo viene fatto collassare in un paradossale presente
dilatato dallo stupore creativo, ecc. E lo stesso vale per
I giganti,
ma ciò che accomuna tutte le opere di
Pirandello è quel fuoco isolano che procura quella stranissima
febbre e quell'inarrestabile delirio compositivo; è quel vortice di
venti provenienti dalle otto direzioni del mare che circonda la
Sicilia, un vortice che induce a silenziose danze mistiche
vorticanti molto simili alle rotazioni e rivoluzioni dei dervisci.
Un miscuglio di venti carichi di miti omerici, di filosofie greche,
di tradizioni arabe, normanne, spagnole, francesi, ebraiche, romane,
di popolari tradizioni locali e di mille altre cose. Pirandello,
come ogni buon siciliano, non è solo desideroso di un ponte sullo
stretto che lo liberi da un millenario isolamento, ma anche di un
ponte fra
cielo e terra, e ciò realizza con
una immaginazione molto attiva che è prova evidente di un credo
verso la
Metafisica.
Quando i pensieri sono carichi di così tanto fuoco, colore, sapore,
amore e stupore; quando l'immaginazione riesce a ricreare con parole
sentimenti e passioni così forti, le commedie che di esse
consistono, le novelle, i romanzi, divengono pensieri viventi,
perché di quel vortice conservano la musica: ritmi, tempi, melodie,
armonie, canti e perfino silenzi. Lunghi profondi silenzi nel corso
dei secoli hanno fatto di ogni siciliano un poeta-pittore, un
cantore della propria terra, una spugna di innumerevoli sensazioni,
sentimenti e intuizioni scaturiti dal contatto con la mitica
atmosfera isolana. Ogni personaggio, ogni parola, ogni pausa, ogni
trama delle opere pirandelliane è depositaria di tutto questo. Non
si può fare a meno di vedere in questa terra meravigliosa un
gigantesco palcoscenico: montagne aride, terre secche, giardini
profumatissimi, paesi saturi di barocco, estati soffocanti e secche,
inverni miti, mari come case per migliaia di pescatori, spiagge
dorate e coste frastagliate accarezzate dal mare; venti di scirocco
periodici che scuotono i moli, gelsomini, fichidindia, aranci e
limoni, frumento a perdita d'occhio, feste paesane, casali, massarie,
ulivi, pane, campane e vecchie chiese, ruderi di ogni tempo e
civiltà, e tanto altro ancora sono magici come le cose di
palcoscenico, le cui quinte sono pareti di mare che ha quasi sempre
lo stesso colore del cielo azzurro intenso per via del bel tempo che
vi regna. Il basso continuo, incessante, martellante di quella
musica nascosta nelle opere di Pirandello è una incontenibile
sicilianità di cui è pregno l'animo del grande commediografo
agrigentino.
Quando compare la compagnia degli Scalognati capitanata da Cotrone
abbiamo subito davanti agli occhi i veri rappresentanti del popolo
isolano: un gruppo di attori-personaggi che hanno scelto di vivere
senza niente e lontani dal resto del mondo. Gente che della vita ha
preferito coltivare l'albero della fantasia, o meglio
dell'immaginazione e del sogno, e che nella villa in cui passa le
notti riesce a vivere da sveglia i propri sogni.
Se
qualcuno si avvicina a questo territorio privo di vegetazione
all'infuori di un rinsecchito cipresso non può che essere della
stessa pasta. Quando la compagnia di attori guidata dalla contessa
Ilse giunge nei pressi di tale dimora,
Milordino, uno dei componenti della
compagnia degli Scalognati, grida "O
oh! Gente a noi! Gente a noi!" lo fa come
chi, di vedetta alla torre d'avvistamento costiera, annuncia
l'inatteso sbarco di qualche nave fuori rotta. Chi può mai salire
fin lassù dove può sopravvivere solo chi sa produrre e vivere i
sogni a comando? Soltanto altri isolani possono vivere in un posto
così chiuso, e poiché Ilse e i suoi amici sono attori hanno buone
possibilità di sopravvivenza. Il loro biglietto da visita è un
appariscente carretto tirato a mano: il marchio della sicilianità.
Ma basta con le celebrazioni dell'isola. E' ora di entrare in un
sogno molto strano, un sogno terminale (è l'ultima opera di
Pirandello). La stranezza di esso consiste nel fatto che ogni
personaggio delle due compagnie è costretto a vivere il proprio ed i
sogni di tutti gli altri: Pirandello, tirando le somme della sua
vita di pensatore ci mostra il totale che ha ricavato, e cioè che la
vita è un intreccio di sogni ove ogni personaggio è sia protagonista
del proprio sia comparsa in quello degli altri. Le verità parziali
si incontrano e si scontrano dando vita ad una trama che mai potrà
avere un fine. Non per nulla l'opera è rimasta incompleta e si è
interrotta sulle parole di
Diamante,
una della compagnia degli scalognati, che, al
passaggio dei giganti della montagna parati a festa ed a cavallo,
quando sente tremare i muri, grida: "Io
ho paura! ho paura!". La rappresentazione
della
Favola del figlio cambiato deve ancora
avvenire, sicuramente verrà rappresentata ma non sarà in grado di
mettere la parola fine alla più vasta trama della commedia della
vita: una storia infinita di storie. In questa commedia le storie
straripano dal loro alveo come fiumi in piena: lasciano spesso il
mondo fisico per puntare a quello metafisico, sia esso quello delle
superstizioni della
Sgrincia
e delle sue avventure paesane, sia esso quello più
raffinato di Cotrone che pare abbia padronanza e del così detto
mondo dei sogni (mondo astrale) e del mondo mentale, quello dei
pensieri. Gli stessi
Giganti,
nonostante siano descritti come
gente d'alta e
potente corporatura che stanno sulla montagna
vicina, che malgrado abbiano fisico possente sono
duri di mente e un
po' bestiali e molto orgogliosi, acquistano
contorni mitici. La loro cavalcata, nel giorno della festa per
l'unione delle due famiglie, fa tremare terre e case e mette paura.
In tutti i protagonisti c'è, patente, una così forte voglia di
vivere recitando, una tale voglia di rappresentare se stessi quali
personaggi di se stessi da far dimenticare loro di vivere la vita
reale, che per un personaggio vale niente. Siamo oltre ogni realtà,
ogni fisica, siamo in piena metafisica.
Cotrone
fa di tutto per rimarcarlo: "Siamo
qua come agli orli della vita, Contessa. Gli orli, ad un comando, si
distaccano; entra l'invisibile: vaporano i fantasmi. E' cosa
naturale. Avviene ciò che di solito nel sogno. Io lo faccio avvenire
anche nella veglia" (Pirandello - Opere -
vol. IV - Newton, pag. 402). Oppure: "Voi
attori date corpo ai fantasmi perché vivano - e vivono! Noi facciamo
al contrario: dei nostri corpi, fantasmi: e li facciamo ugualmente
vivere… basta farli uscire da noi stessi"
(Id. pag. 405). Oppure ancora: "Mi
sono dimesso. Dimesso da tutto: decoro, onore, dignità, virtù, cose
tutte che le bestie, per grazia di Dio, ignorano nella loro beata
innocenza. Liberata da tutti questi impacci, ecco che l'anima ci
resta grande come l'aria, piena di sole e di nuvole, aperta a tutti
i lampi, abbandonata a tutti i venti, superflua e misteriosa materia
di prodigi che ci solleva e disperde in favolose lontananze… Nessuno
di noi è nel corpo che l'altro ci vede; ma nell'anima che parla chi
sa da dove… Un corpo è la morte; tenebra e pietra. Guai a chi si
vede nel suo corpo e nel suo nome. Facciamo i fantasmi. Tutti quelli
che ci passano per la mente… Con la divina prerogativa
dei fanciulli
che prendono sul serio i loro giuochi, la
meraviglia ch' è in noi la rovesciamo
sulle cose con cui giochiamo, e ce ne
lasciamo incantare. Non è più un gioco, ma una realtà meravigliosa
in cui viviamo, alienati da tutto,
fino agli eccessi della demenza".
Se le cose sono ben vive in noi si rappresentano da sé, dice altrove
Cotrone. Ed ecco allora che prende corpo un palcoscenico di maschere
di noi stessi che, rappresentanti di queste ben vive cose, vivono la
loro storia parallela alla nostra: - il mondo dei sogni che, se
vissuto da svegli (nell'ultima parte dell'opera accade questo),
diventa gioco.
Ma Cotrone va ancora oltre: parla degli
spiriti di natura che abitano gli elementi, con cui la compagnia
degli Scalognati è spesso in competizione e vince.
La commedia volge al termine: i
Giganti della montagna
sono tutti a cavallo e parati a festa; il
galoppo tremendo di cavalli e cavalieri diventa galoppo di Centauri,
mitologia:
pare la cavalcata di un'orda di selvaggi, dice
Cromo. E
mentre tutti
restano ad ascoltare con l'animo sospeso dallo sgomento, mentre… il
frastuono si va allontanando, Diamante grida: "Io
ho paura! Ho paura!"
Manca però un'ultima magia: il sipario che
cala e l'entusiasmo che costringe il pubblico ad applaudire la
finzione-realtà. Qui, tuttavia, il sipario delle
Maschere nude
non si alzerà più, ma altre maschere creeranno quelle verità tanto care
a Cotrone-Pirandello, quelle verità dell'anima che
scuotono col clamore di Giganti al galoppo persone convinte di essere
solo un mucchietto di terra:
Un corpo è la morte.
Grazie Luigi, Grazie per il gioco delle
verità a cui ci hai fatto partecipare. Grazie per le tue
Maschere nude
ormai coperte da
un sipario di silenzio, ma sempre vive nei teatri del mondo.
Grazie, Natale Missale
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