I giganti della montagna
(Commento di Marijuana)

 

Blaise Pascal scrive che, uscito una volta di notte,  solo allora si è stupito e impaurito dalla grandezza e dalla vastità dello spazio intorno a lui.
Ilse e i Comici, gli ingenui prigionieri dell’ illusione teatrale, gli esseri sospesi fra l'essere e l’apparire, arrivano una notte all’improvviso in una misteriosa Villa per 'recitare', per misurare sé stessi, per misurare il mondo e sé stessi nel mondo, per misurare il mondo nel mondo. Alla Villa vengono coloro che da tempo hanno smesso di essere individui e nella loro esistenza teatrale sono diventati le 'dramatis personae', sono diventati teatro che vive, persone che con il loro teatro mettono in discussione tutte le forme non soltanto di un mondo esteriore, oggettivo e descrittivo, ma anche di quello interiore.
Alla Villa trovano gli stravaganti Scalognati, che vivono l'illusione altrettanto quanto Ilse e Comici, e che stanno in un universo dove sono cancellati tutti i limiti fra i fantasmi e la realtà, fra i vivi e i morti, dove tutto ciò che sembra reale può rivelarsi in qualsiasi momento immaginato e ciò che sembra sogno, realtà. I veri teatranti trovano gli altri teatranti che fanno e vivono il teatro non sapendo di farlo, il teatro dove non esiste trama e mano di regia, ma soltanto un onirico vagare sul palco della loro vita.
Ma chi guida le 'dramatis personae' nel loro viaggio e l'arrivo notturno nella Villa?
Lo fa un tenero personaggio femminile che simboleggia la missione teatrale portata con una quasi violenza fatta d’amore e poesia, di dolore e abbandono, un personaggio che sul palco sembra un fuoco incandescente e perenne, un suono incontrollabile nella sua vibrazione, una missione che continua fino alla completa consumazione.
Sarà proprio questa missione a spingerla ad andare dai suoi 'consanguinei' teatrali, dagli Scalognati malati dalla stessa sua malattia?

Ilse ha bisogno di raggiungere l’irraggiungibile, di mostrare tutto il suo impeto, tutto il deserto che esso lascia dietro di sé, di portare la sua missione di teatrante fino ad una sconfitta finale, a quelli che vivono nelle montagne, ai Giganti, lontani dall'Arte e dalla Poesia. Come se tenesse in mente ciò che una volta aveva detto Blake, che “le grandi cose succedono lì, dove si incontrano gli umani e le montagne”,
  Ilse forse, spera che quei misteriosi Signori, venendo dall’alto, vedano e sentano di più di quelli che stanno in basso.
E' questo il punto dove subentra il mistero della teatralità: Ilse spera e crede in modo disperato che le radici della teatralità nell'uomo non possono essere rimosse, e accetta di difendere quest’incredibile metafora della vita che il teatro è, anche davanti i servi dei Giganti che vengono al posto dei suoi padroni a vedere lo spettacolo.
La missione o la fatalità dell'arte teatrale, o dell'arte in genere sta proprio nel suo bisogno di una vasta comunità umana, fatta di diversi livelli umani, anche dai Giganti e i loro servi, per
  trasmettere la bellezza come simbolo della verità, la verità del cammino che l'uomo ha da compiere. L'arte crede che l'essere umano, trovandosi vicino questa bellezza, possa percepire la sua presenza, che succeda il miracolo di cui tutti divengono d'un tratto i testimoni, malgrado loro stessi.
Per creare questa magia
  teatrale, Ilse e Comici usano tutti i mezzi a loro disposizione: i movimenti forzati, le strane e stupefacenti mosse che non hanno nessuna somiglianza con quelle che si fanno nella vita. Ilse contrappone la vita alla scena, col presentimento che la scena è il luogo affine alla morte, o al sogno,  il luogo dove tutte le libertà sono possibili: la sua voce allora viene dalla gola - e questa è musica difficilmente trovabile; il suo trucco la fa 'altra' e le permette tutte le libertà, liberandola nello stesso momento da una responsabilità sociale. Lei in questo modo accetta un'altra responsabilità, la responsabilità verso un nuovo Ordine.
Ma
  non riesce a provocare nei servi dei Giganti quell'incendio poetico, né a farli complici di un atto teatrale collettivo. I servi dei Giganti reagiscono coll'indifferenza che alla fine trasmuta in aggressività verso di lei.
Saranno i servi dei Giganti tutti quelli che si credono incapaci di vivere la Poesia e le Metafore, che sono chiusi verso la fantasia e l’immaginazione,
  tutti quelli che rifiutano l'atto poetico e soffocano la bellezza da esso trasmessa?
Dove sbaglia Ilse nel suo creare per tutti, con incessante e disperata coerenza, questa 'bolla scintillante e colorata” dell'illusione teatrale?
Lo sbaglio tragico di Ilse è nel far incontrare su un livello sottile i due diversi modi d'essere, i due mondi opposti fra di loro: il mondo dei teatranti che conoscono il mistero e la magia del teatro, e il mondo dei Giganti e i loro servi che non lo conoscono e da essi sono irritati. In questo fatale avvicinamento può succedere di tutto: l'inclinazione verso il delitto, verso il vandalismo, la visione utopistica della vita e delle cose  possono essere liberate non soltanto su un piano illusorio ed intuitivo, ma anche su quello interiore. In questo modo Ilse oltrepassa il limite mortale che divide il suo dal mondo dei Giganti, limite che i mortali, pare, non possono passare impunemente.
Come sono fatti i Giganti e i loro Servi oggi, e come 'Ilse' e il Teatro che lei rappresenta?
Pare che il pubblico odierno, spesso distaccato e flemmatico, passivo ed uniforme,  dimostri la stessa incapacità del pubblico del dramma di Pirandello di reagire nel modo completo a ciò che succeda sul palco, dalle semplici lacrime ai pensieri più generici.
Da Aristotele fino al giorno d'oggi si parla di come la tragedia (possiamo aggiungere anche il 'dramma') nel teatro debba suscitare la comprensione e la paura del pubblico, purificando in questo modo le sue emozioni. Dimentichiamo però che per questo deve esistere un pubblico pronto a sentire una paura molto intensa ed un altrettanto intensa comprensione.
Ma sembra che oggi noi non vogliamo sentire niente di tutto ciò, e anche quando abbiamo voglia di festeggiare un evento teatrale, non sappiamo come, non siamo sicuri cosa di preciso dobbiamo festeggiare; tutto ciò che desideriamo è il prodotto finale: conosciamo ed amiamo il sentimento e il suono del festeggiamento tramite l'applauso e così arriviamo al vicolo cieco. Dimentichiamo che vivere il teatro ha due possibili culminazioni: la culminazione della festività dove la nostra partecipazione viene espressa col battimento dei piedi, con l'esclamazione, con l’applauso; ed il secondo estremo - con la culminazione del silenzio, un silenzio che non significa l’indifferenza ed incomprensione dei servi dei Giganti, ma un’altra forma di riconoscimento e di apprezzamento di una vicenda teatrale. Applaudiamo meccanicamente perché non sappiamo cosa altro fare e non siamo consapevoli che anche il tacere è permesso, che a volte anche il silenzio è buono.
E il teatro contemporaneo?

Il teatro del dubbio, del disagio, del panico, sembra più vero di un teatro con uno scopo elevato e sublime. Anche se il teatro alle sue radici avesse avuto i riti che potevano incarnare l’invisibile, pare che questi riti oggi siano in uno stato d’indebolimento e di fallimento (con l’eccezione del Teatro Orientale e del teatro dell’Est e di alcuni registi europei
  che vengono dalla loro scuole).
L'attore di questo teatro inutilmente cerca i suoni di una tradizione scomparsa, e critica e pubblico lo appoggiano in questo. A volte tenta di trovare nuovi riti avendo come esempio soltanto la propria immaginazione; lui imita la forma esteriore del cerimoniale, pagano o barocco che sia, aggiungendo i propri ornamenti. Per sua e nostra ‘sfortuna’, il risultato è raramente convincente.
Oggi, come sempre, dobbiamo avere i veri Riti, riti che l'atto di andare al teatro potrebbero trasformare in un evento che nutre lo spirito, ma per questo sono necessarie le nuove forme.
Leggendo alcuni libri di ricercatori degli antichi riti capiamo che noi oggi abbiamo perso ogni sentimento del rito e delle cerimonie - sia che questi siano legati al Natale, al compleanno o al funerale – però ci sono rimaste le parole e gli antichi impulsi che battono nel nostro polso. Noi sentiamo di avere bisogno di questi riti, di dover fare 'qualcosa' per poterli riacquisire e siamo pronti ad incolpare gli artisti perché "non li trovano".
Ma qualcuno, forse, già scrive un nuovo dramma su Ilse, il Teatro e i Giganti dei nostri giorni, indicandoci cosa fare per poter cogliere nelle arti le correnti invisibili che governano le nostre vite, cosa fare per realizzare il contatto col 'sacro invisibile' tramite il teatro, per costruire il teatro con Ilse di Pirandello e il pubblico come lo descriveva Aristotele.

 

Grazie, Marijana



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