BOEZIO
(Della
Filosofia Cosolante)
Abitare insieme questo tempo
"presente" non è facile. Da soli, siamo già in troppi. Ognuno ha esteso
le proprie acque territoriali ben oltre ogni ragionevole limite: l'ego
d'ognuno è in conflitto col resto del mondo. I pensieri, gli sguardi, le
voci, i gesti, persino i silenzi, sono violenti. C'è violenza nella
musica, nell'arte in genere, nella scienza. C'è violenza persino nella
religione. Come può un uomo occidentale d'oggi con-vivere, se non è in
grado di vivere? Siamo ridotti ad una sola dimensione. Siamo piatti,
vuoti. Qual mai tipo di albero ha prodotto un simile orribile frutto?
Chi può aver diseducato a tal punto? Che fine ha fatto la ragione? E
l'anima, lo Spirito? Quando è cominciato tutto questo, e come, dove
finirà? Eppure la terra ci offre sempre la solita danza scandita dal
metronomo del tempo e dello spazio; il cielo si dona sempre con le
solite stelle che vengono e vanno. "Dio è morto" hanno detto, ed ecco
che l' Uni-verso che tutto abbracciava si è decomposto sotto i colpi di
tale menzogna. Fantasmi dappertutto, cadaveri puzzolenti, ombre del
nulla. L'Occidente è divenuto accidente, pura casualità. L' Io
Sono di Mosé, l' Io di Cartesio,Fichte, Schelling si è
congelato sotto le sferzate dei venti freddi del Nulla. Siamo malati,
ecco perché imperversa il male. Non è questo qualcosa di astratto che
spinge alla malattia: esso è il nostro puzzo, che come lo sguardo
del Basilisco, annienta qualunque cosa sfiori. Ci stiamo appestando a
vicenda, ed i "medici" che dovrebbero debellare tale peste, spargono
virus coltivati ai fornelli fasulli.
Nessuna Filosofia ci viene in soccorso. I filosofi (?) si sono arresi ai
sensi. Non più pensatori apritori di piste, ma "commercianti di carni"
che portano i branchi al macello. Non più matematici del pensiero
astratto, non più idee, non più radici nel cielo. L'uomo era lì
radicato, nell'algebra infinita della mente. Ma la mente non c'è più:
l'hanno ridotta a cervello, a chimica. La farfalla ha perso le vele:
l'anima è ferita a morte, le hanno spezzato le ali. Psiche è la schiava
del corpo e non guarda più in alto. Striscia e mastica polvere. Noi
tutti, idioti in marcia, ci siamo scordati di Noi. Chi siamo? Bestie,
forse? Ma come è possibile non essere più? L'uomo, perdendo il
suo cielo, s'è già decomposto per sempre. La parte animale di sé, la
terra, s'è perso il diamante che le dava senso, luce, grazia, Vita.
L'uomo s'è perso la Vita. Ci siamo svitati, e devitalizzandoci
ci siamo ridotti a degli svitati. Siamo matti per libera scelta e ce ne
vantiamo. E nessuna Filosofia ci viene a consolare. Eppure, possiamo
essere accusati di tradimento giustamente, non come lo fu ingiustamente
Anicio Manlio Torquato Severino Boezio. Abbiamo tradito il nostro re, la
nostra ragione, il nostro spirito. E la nostra animalità, la nostra
bestialità ci ripaga subito con la morte: una macchina senza benzina è
statica, non vibra, non canta, è muta. Una carrozza senza cocchiere va
dove vuole il cavallo, l'animale. In essa non solo non esiste più il
Padrone, ma nemmeno il cocchiere, il buon senso.
La nostra psiche è prigioniera della follia collettiva, la prigione più
triste che ci sia. La forma ha scacciato la Vita perché credendo
d'averla creata ha pensato d'averne il potere. E la Vita Universa che
abbraccia ogni cosa sorride di tale assurdo pensiero. "Osserva" le pere
cadere dall'albero suo, aspettando paziente il prossimo Marzo. Altre
foglie, altri frutti che ignorando di essere portatori di semi,
canteranno chi la propria buccia, chi la propria polpa. E andranno al
mercato a far bella mostra di sé. Nessuno che sappia marcire per
essere albero, Vita. E la vita continua, Boezio caro. La nostra
condizione di veri traditori non ci fa desiderare un ritorno a casa:
nessun invito a Filosofia è diramato. La Sapienza dunque se ne sta a
guardare questo teatro di matti.
Rendiamoci conto dei danni che il nostro assurdo nichilismo ha prodotto,
e se siamo atei accogliamo l'invito geniale del Papa Benedetto XVI:
viviamo come se Dio esistesse. Prima o dopo Filosofia verrà a
farci visita, ma non per mostrarci chissà quali grandi verità
preconfezionate, ma per farci toccare con mano la nostra menzogna
collettiva, per consegnarci scalpello e martello con cui riscolpire noi
stessi, per scrostare via il superfluo, e per finalmente indicarci
ancora una volta la via semplice della Natura. Quest'età
post-metafisica, paradossalmente non ci ha staccati dal cielo per
consegnarci alla terra, ma ci ha allontanati anche dalla Natura e dalle
sue sagge leggi. Sì, anche i sensi sono naturali, anche la nostra
animalità lo è, e tutto questo va rispettato tanto quanto basta. Ma non
si può stazionare sui sensi, perché ogni abuso degenera in vizio.
Usiamoli i nostri sensi, ma giustamente. L'occhio, l'orecchio ecc. vanno
posati sia fuori che dentro. Andare dentro è metafisica, ma nessuno
vuole più abbandonare la piazza. Ognuno ha il suo posto nell'orchestra,
il suo bravo strumento e la sua parte di note da eseguire, ma segue il
suo tempo: non si suona al ritmo naturale. Risultato: totale
disarmonia.
Breve cenno
biografico.
Boezio nacque a Roma nel 480
circa. Nell'anno 525 vene accusato di tradimento e imprigionato a
Pavia. L'anno dopo fu giustiziato. Durante gli ultimi mesi di prigionia
scrisse la sua opera più famosa: Consolatio Philosophiae che gli
dette la fama. Ma Boezio è importante anche perché fino al dodicesimo
secolo fu la principale fonte per la conoscenza di Platone e di
Aristotele. Di solito s'usa dire di lui che fu l'ultimo dei romani ed
il precursore della scolastica. Egli, essendo stato condannato dal
"barbaro" Teodorico, spesso venne considerato un perseguitato cristiano
e quindi un martire. Tra i suoi propositi vi era quello di voler
tradurre tutte le opere di Aristotele e di Platone e di commentarle, ma
tale programma non poté essere portato a termine. Per chi ha letto le
opere di Platone, i cinque libri della Consolatio non regalano
nulla di nuovo dal punto di vista filosofico, ma dal punto di vista
spirituale essi costituiscono una sorta di testamento, oltre che una
apologia discreta della natura divina dell'uomo. Dante pone Boezio nel
Paradiso della sua Commedia (canto X). Tutti sono concordi nel ritenerlo
cristiano, anche se in questa sua opera Cristo non viene mai nominato.
D'altro canto, essendo stato egli neoplatonico, ed essendo stata la
filosofia Platonica considerata "prefazione del Vangelo", fu cristiano
quantomeno per vocazione.
"Vissuto in un'epoca di decadimento politico e letterario…la sua figura
austera, dignitosa, rettilinea spicca sullo sfondo grigio dell'epoca"
(M. Galdi - citato da Ovidio Dallera in La consolazione della
filosofia - Bur, pag. 53 - ed. 1977). Nella sua Consolatio,
austerità e dignità trasudano da ogni parola. Forse la sua cristianità è
da ricercare proprio in questo suo contegno: non odia i suoi nemici;
non dimostra alcuna paura; sopporta le sofferenze fisiche e mentali
senza mai lamentarsi; trova rifugio e consolazione nella stessa Sapienza
che è il Cristo. Ma soprattutto egli è morto come uno dei tanti martiri
cristiani: "Gli legarono attorno alla fronte un capestro e glielo
strinsero a lungo, fino a fargli scoppiare gli occhi, poi, dopo averlo
torturato, lo finirono a colpi di bastone" (Op. cit. pag. 58).
Avremmo voluto non riportare questo brano, ma lo abbiamo fatto per
indicare il vero "luogo" in cui cercare la cristianità di Boezio: nella
sua tragica e cristianamente eroica fine.
"Mentre io nel silenzio andavo rimuginando tra me e me queste
riflessioni - la Consolatio si apre con un lamento in versi - ,
e annotavo, scrivendo, il mio lacrimevole lamento, mi sembrò che sopra
il mio capo fosse apparsa una donna di aspetto venerando, dagli occhi
sfolgoranti e penetranti oltre la comune capacità degli uomini".
La Filosofia in persona si presenta al condannato carcerato Boezio. Essa
sta sopra il suo capo, come a voler significare, una volta per tutte,
che per filosofare occorre andare oltre la mente normale, la consueta
razionalità. Bisogna arrampicarsi fino alla soglia dell' Intuizione,
laddove è possibile accogliere i pensieri più alti e più puri. Ma
sopra il mio capo sta a significare anche la non soggettività di
essa. Non esiste una filosofia personale: essa non può che essere
impersonale, una "donna" che, per la sua grandezza ed altezza ("Quando
levava la testa ancor più in alto, penetrava nel cielo stesso") non
può essere contenuta entro i limiti dell'individuo. Fin da questi primi
passi l'opera boeziana mostra i suoi connotati platonici: la Filosofia
chiama "sgualdrinelle da teatro" le muse che stanno attorno al
letto del malato (Boezio) e gli stillano "dolci veleni", che
anziché guarire i mali, li aggravano. Bisogna abbandonare la caverna
delle illusioni e delle ombre e salire al mondo delle idee per cercare
la vera felicità, il bene, la Verità. Le muse sono "sterili spine
del sentimento" che soffocano la ragione: perché Filosofia possa
guarire, loro devono scomparire: "Andatevene". Finalmente soli,
la Filosofia, come una madre può sedersi sulla sponda del "lettuccio" e
cominciare la cura, dopo avere asciugato, con un lembo della veste, le
lacrime del sofferente. E qui offriamo un altro "luogo" ove cercare
tracce di cristianità: non è la Madonna, Madre di Gesù, Consolatrix
afflictorum, Virgo praedicanda, Janua caeli, Speculum justitiae, Sedes
sapientiae, Causa nostrae laetitiae, Salus infirmorum, Mater boni
consilii, Regina Martyrum, Regina pacis? Non sono tutti questi
attributi attribuibili anche alla Filosofia boeziana che consola, che
predica, che causa letizia, che dà salute, che dà buoni consigli, che
dona pace, ecc?
Il nostro pensatore riconosce la Filosofia solo nel momento in cui
rivolge gli occhi a lei e ne fissa lo sguardo: "riconobbi la mia
nutrice, nella cui casa mi ero intrattenuto fino alla giovinezza: la
Filosofia" (Id. pag. 79). Ovviamente, cacciate via le Muse, dopo
esser salito dal mondo dei sentimenti a quello mentale e, oltre, al
mondo dell'intuizione, è il Boezio in quanto sostanza spirituale a
riconoscere la nutrice: quel corpo precocemente invecchiato a causa dei
patimenti e delle sofferenze è tornato ad essere tempio dello Spirito:
un corpo "morto" è tornato alla Vita.
Ma quella luminosa apparizione lì in quella angusta cella sta a
sottolineare anche come in prigione è stata messa anche la filosofia e
non solo il filosofo. Ma la "donna" gli dice subito che non è nuova a
questi inconvenienti: "Pensi tu che questa sia davvero la prima volta
che la sapienza corrre gravi pericoli ad opera di una società corrotta?"
(id. pag. 81). No, non era la prima volta, né sarebbe stata
l'ultima. Lo testimoniano questi nostri tristi tempi. Tristi perché la
corruzione è sovrana, ma soprattutto perché nessun vero filosofo sconta
in galera le colpe della sua onestà intellettuale, le colpe della sua
dirittura morale. Le prigioni sono stracolme di povericristi colpevoli
di aver voluto adeguarsi agli standards di vita proposti da falsi
filosofi predicatori di facili felicità, di beni fasulli e di verità a
buon mercato. La delinquenza è figlia delle opere di tali cialtroni
apripista. Questi falsi alpini hanno trascinato in cordate virtuali
schiere di allocchi che credevano di scalare chissà quali montagne, e
che invece sguazzavano in pantani puzzolenti ricoperti da cime di carta
confezionate dalle chiacchiere vuote di tali sapientoni. No, non era la
prima volta che la Sapienza correva pericoli, e non sarà questa
l'ultima. Il cattivo ha un solo modo per emergere: prima
calunniare e poi imprigionare il buono. E ciò vale sia per questi
filosofastri che per ognuno di noi: la nostra parte bestiale, animale,
terrestre (il "cattivo"), non vede l'ora di incatenare la nostra parte
umana, spirituale, celeste (il "buono")
Ma torniamo a Boezio. In un passo del libro primo della Consolatio
sembra volerci ricordare che non solo tale opera è il suo testamento
spirituale, ma anche testamento ordinario con cui vuole dare in legato a
tutti noi la sua innocenza, la sua onestà, la sua bontà, la sua
rettitudine di uomo e amministratore della cosa pubblica. Ma per meglio
seguire tutte le fasi del processo che ha decretato la sua condanna, ci
ricorda (lo dice a Filosofia) che:"Perché la vera storia di questo
fatto non rischi di restar nascosta ai posteri, ne ho fissato la
testimonianza anche con la mia penna (id. 95). Boezio si riferisce a
qualche resoconto da lui stilato, ma che purtroppo non è giunto fino a
noi.
Il primo libro sta per finire. Dopo un' ultima considerazione da
"ammalato" ("E' mostruoso che, sotto lo sguardo di Dio, ogni
scellerato possa mettere a segno contro l'innocente tutto ciò che gli
viene in mente" - op. cit. pag. 97), Boezio viene sottoposto alle
prime "cure" da parte della Filosofia attraverso il dialogo platonico:
Filosofia interroga, Boezio risponde, la verità si manifesta attraverso
botta e risposta. Ad un Boezio che ammette come il mondo sia governato
da Dio e non dal caso, ma che reputa potenti gli stolti, Filosofia,
concludendo il primo libro, ricorda che: "La natura delle menti è
tale che, ogni qual volta abbiamo abbandonato la verità, si rivestono
di false opinioni, dalle quali si sprigiona la nebbia delle passioni che
confonde la retta visione delle cose" (id. pag. 113) nebbia
che lei tenterà di rimuovere in lui.
Dopo averne ascoltato le lamentazioni, nel secondo libro la Filosofia
esorta Boezio ad accettare le vicissitudini della fortuna, e ciò fa
servendosi della retorica. Ogni parola da lei pronunciata profuma di
saggezza, ed è questo che noi vogliamo sottolineare. Per esempio: "La
saggezza misura le cose dal loro esito finale…" (Op. cit. pag. 123).
La frase continua parlando della fortuna, però a noi basta questo brano
per fare delle riflessioni di carattere generale. Il buon senso ci dice
che questa frase è vera perché nel corso della nostra vita abbiamo
osservato i frutti di tanti "alberi", di tante cose, e quando gli esiti
di esse sono stati negativi abbiamo valutato negativa la cosa che li
produceva. Osserviamo attentamente i frutti che la filosofia ha prodotto
nel secolo scorso e che continua a produrre in questo appena cominciato.
Due catastrofi (due guerre mondiali) con milioni di morti; stermini di
massa; società le cui fondamenta poggiano sulla materialità; anarchia;
violenza; scontri di religione; odio; una miriade di guerre che vedono
impegnate i popoli più poveri; secolarizzazione; assenza di valori;
edonismo sfrenato, ecc. Sì, il progresso ha allungato la vita, ha
aumentato gli agi. La scienza ci sbalordisce giorno dopo giorno con le
sue scoperte sia nel micro che nel macro. Ma se il prezzo da pagare deve
essere quello, grazie tante. Non vogliamo ripetere sempre le stesse cose
sui danni prodotti dal nichilismo. Ma vogliamo dire a questi
rispettabilissimi nichilisti: ve lo siete mai chiesto a cosa avrebbero
portato le vostre annichilenti proposizioni? Avete mai pensato di
predisporre il vaccino giusto per combattere la "peste" che avete
creato? Avete mai osservato i frutti del vostro "rigoglioso" albero? Non
credete che vi sia qualcosa di marcio nelle vostre discutibili teorie?
Beh, se è vero che i filosofi hanno da sempre dato il la ai
politici e che questi a loro volta hanno educato la società di
conseguenza attraverso le leggi, ci dev'essere del "marcio in
Danimarca". La filosofia è proprio piombata in un nuovo medioevo. Lo
testimonia la decadenza cui stiamo andando incontro
precipitevolissimevolmente. Oggi la Tecnica ha preso il posto della
Filosofia ed i malati li cura con pillole variamente colorate. Nessun
contadino che si rispetti lascerebbe in vita una pianta
irrimediabilmente avvermata o, peggio ancora, secca. Le parole sono
incisioni, signori filosofi (?) solcano le menti e nello stesso tempo
seminano. Se i semi sono di mal'erba, nessun frutto ne nascerà. Il
filosofo deve guarire, non uccidere. Voi filosofi siete medici, non
ciarlatani. Ma non v'accorgete che siete "malati" di nullismo? Vi fa
sentire proprio così potenti avere scritto e detto in tutte le salse che
"Dio è morto?" Perché non invocate la Filosofia, perché v'hanno detto
che, come Babbo Natale, non esiste? La Saggezza non può che essere
buona, giusta, vera. Ritenete davvero d'aver prodotto pensieri
buoni, giusti e veri? Che bisogno c'è di distruggere per poi dire
"vedete come il nulla avanza"? Le frecce scoccate non tornano indietro,
purtroppo. Ma che bisogno avete di scagliarne ancora? Possibile che sul
Nulla ci sia tanto da dire? Non è leggermente paradossale? Il vostro oro
è parlare e parlare e parlare. Ha proprio ragione la Filosofia quando
canta a Boezio: "…Quand'anche un dio realizzasse benevolmente le loro
brame, prodigando oro in quantità e colmasse la loro avidità di
splendidi onori, le cose già ottenute sembran nulla, ma l'insaziabile
bramosia, mentre ingoia le cose ottenute, nuovamente spalanca le fauci
ingorde…" (id. pag. 129). Non siete ancora paghi di quanto
avete costruito sul…Nulla?
Ma la cosa vale anche per noi, perché la vostra ingordigia alimenta
la nostra per il Tutto.
Poiché Boezio continua a lagnarsi della sua disperata condizione,
Filosofia, dopo avergli rammentato che non tutto è perduto (i suoi
parenti e collaterali sono ancora in vita) gli ricorda che "tanto più
una persona è felice tanto più esigente si fa la sua sensibilità e che
se non trova ogni cosa pronta al suo cenno, non essendo abituata ad
alcuna forma di contrarietà, si avvilisce anche di fronte alla minima
di esse" (id. pag. 139). Non è forse vero che tante persone,
partendo da tale avvilimento, diventano persino violente, ed in preda
all'ira si scagliano contro qualunque cosa o persona ostacoli la
realizzazione dei loro desideri? La cultura dell'ego ha messo da parte
il noi e con esso ogni forma di corretta socialità. Quindi,
branchi guidati da falsi capo-branco, e singole "bestie" guidati non più
dal sano istinto animale (visto che la ragione non esiste più), ma non
si sa bene da cosa. La felicità - dice a Boezio la Filosofia -non potrà
mai scaturire dal possesso delle cose mortali. Essa va cercata dentro
anziché fuori, ma prima occorre esser padroni di se stessi. La felicità
prodotta dalla fortuna perirà con la morte del corpo. "…Chi
moltissimo ha di moltissimo ha bisogno, mentre han bisogno di
pochissimo coloro che commisurano la propria disponibilità in rapporto
alle esigenze della natura e non agli eccessi dell'ambizione" (id.
pag. 149). Ma quanti di noi tengono conto di tale principio? Non è
forse la nostra ambizione a muoverci continuamente, ad incalzarci, a
spronarci? E l'ego si gonfia. Filosofia, poco dopo, cantando, elogia
l'età primitiva: "Ben fortunata l'età primitiva…non corrotta dal
lusso ozioso… Oh, potessero ora i tempi nostri far ritorno agli antichi
costumi! Ma più violenta delle fiamme dell'Etna riarde sconvolgente la
smania di possedere" (pag. 153). E questa smania è più forte nei
bricconi, nei corrotti. A ben vedere, osserva la Filosofia, non rende
affatto buoni "coloro ai quali si associa". Il tempo tutto travolge,
fortune, gloria, fama. L'anima dev'essere svincolata dal carcere
terreno per poter salire al cielo libera da miseri pesi. Concetto
questo interamente di Platone che considerava il corpo una prigione
dell'anima. "Per gli uomini è più vantaggiosa la sorte avversa, che
non la prospera" dice ad un certo punto la Filosofia (pag. 171),
cosa questa che non può non far pensare al cristianesimo ed alla
sofferenza che ammaestra: "La prima inganna, l'altra ammaestra".
La Filosofia conclude questo secondo libro esaltando l'amore che tutto
unisce: terra, mare, cielo, esseri, popoli, matrimoni, amici.
Quindi apre il terzo con l'elogio della sofferenza, e con l'invito a
Boezio di scrollarsi di dosso i finti valori e di perseguire quelli
veri, chè la felicità viene da quelli.
Noi come cristiani preferiamo al Cristo in croce, Quello risorto, ma non
possiamo sottovalutare la forza d'ammaestramento che la sofferenza ha.
Essa, prima infuoca il vile metallo ch'è l'uomo grezzo, poi lo martella
e lo tempera fino a farlo splendere e fortificare. Però l'uomo cerca i
piaceri perché crede che la felicità deriva da essi; cerca il potere per
sentirsi forte. Ma la felicità non la danno i piaceri, né il potere: "Chi
vorrà essere potente, domini i suoi istinti sfrenati e non sottometta al
turpe giogo il collo vinto dalle passioni" (id. pag. 207). Pure
Lao-Tze nel suo Tao-Te-Ching parla dell' uomo veramente forte negli
stessi termini: "Colui che conosce gli altri è sapiente; colui che
conosce se stesso è illuminato. Colui che vince un altro è potente;
colui che vince se stesso è forte" (Tao-Te-Ching; ediz. Mondadori,
cap. 33, pag). E' molto difficile vincere se stessi, perché la nostra
natura più pesante è potente, ma non dimentichiamo che la nostra natura
più leggera, quella celeste, è fortissima ed invincibile, perché ha
un'arma a due tagli, di cui uno è la Fede e l'altro è la
Volontà. Dio è il sommo bene e la felicità coincide con esso.
Quindi, la contemplazione di Dio è la perfetta felicità. "Ogni
persona felice è dunque un dio…per partecipazione" (id. pag. 235).
Allora, il fine di tutti gli esseri non può essere che il bene. E
siccome esso ce l'abbiamo dentro, non si tratta d'altro che di
ricordarlo (altra teoria platonica). La Filosofia conclude questo III
libro riproponendo il mito di Orfeo. La perdita di Euridice da parte sua
per essersi voltato, dice, sta ad ammonire tutti coloro che, aspiranti
alla luce, si fanno vincere dalle suggestioni del mondo inferiore e
guardano l'ingresso del tartaro prima di esserne fuori.
Il quarto libro comincia con una fondamentale domanda di Boezio alla
Filosofia: come può il male accadere in un mondo che sta sotto il
governo di Dio? Ma lasciamo parlare lo stesso Boezio, riportando il
condimento della stessa domanda, perché le sue parole sembrano
fotografare il nostro tempo: "Ma a questo si aggiunge un'altra
circostanza ancor più grave; infatti mentre a dettar legge e prosperare
è l'iniquità, la virtù non solo resta senza ricompensa, ma viene, per di
più, gettata sotto i piedi e calpestata dai ribaldi, e sconta le pene
che toccherebbero ai delitti" (Id. pag. 267). Chi si stacca dalla
sua vera natura - risponde la Filosofia - perde l'essere, per cui i
cattivi non esistono. Lei ovviamente articola molto il suo discorso, ma
il succo è questo: i cattivi non sono. Anche loro inconsciamente
aspirano al bene, ma non possono mai raggiungerlo perché le turpitudini
"non conducono alla felicità". A questo punto salta agli occhi - secondo
la Filosofia - come la ricompensa dei giusti è la loro bontà che altri
non è che felicità. Nessuna malvagità potrà mai portar via tale
ricompensa. Certo è molto interessante il pensiero secondo cui "tutto
ciò che si stacca dal bene cessa di essere": accogliendolo ci
potremmo sbarazzare del nichilismo in un battito di ciglia, ma aldilà
della battuta, davvero se osserviamo il nichilista con la nostra parte
peggiore, esso esiste, se lo osserviamo con la nostra parte migliore,
esso non é. Secondo la Filosofia, "chi ha cessato di essere uomo…si
trasforma in bestia". E solo chi non ha ancora conosciuto la propria
bestia, chi è ancora "felicemente" addormentato", può non condividere
quest'affermazione. La porta della bestialità è il vizio. Tutti prima o
poi abbiamo varcato quella soglia. Pochi hanno imparato da quell'esperienza.
Ma per tornare ai buoni e ai cattivi, secondo la Filosofia bisogna amare
i primi ed aver compassione dei secondi. Dopo Essa passa a parlare della
Provvidenza, del fato e del libero arbitrio: "sta nelle vostre mani
la possibilità di costruirvi la sorte quale la preferite". Infine
conclude questo penultimo libro, prima citando le fatiche di Ercole, il
quale alla fine ottenne il Cielo, e poi esortando tutti noi così: "Se
superate la terra vi è premio il cielo" (Op. cit. pag. 337).
Siamo così giunti al quinto e ultimo libro. Esso comincia con ua domanda
di Boezio: esiste il caso? La Filosofia risponde subito che non esiste
e che la parola che lo indica è assolutamente vuota. "Il caso è un
evento imprevedibile prodotto da cause" concatenate. E Boezio allora: ma
in questa successione di cause c'è spazio per la libertà umana, o no? In
tutti gli esseri ragionevoli - risponde Filosofia - v'è la libertà di
decisione, di volere o non volere, anche se tale libertà non è per tutti
uguale. Se si contempla il Divino, vi è più libertà; quando si sguazza
nel terreno, vi è meno libertà. E', infine, estremamente schiavo chi è
dedito al vizio. Tali anime schiavizzate "ribadiscono la servitù che
si sono tirata addosso e si ritrovano, in certo qual modo,
prigioniere della loro libertà" (Id. pag. 347. La
sottolineatura è nostra). Ma se Dio conosce anticipatamente tutto ciò
che deve accadere, la nostra libertà di scelta che senso ha? Incalza
Boezio, sottolinenado di non condividere il pensiero di coloro che
sostengono come "non è fatale che accadano quelle cose che sono
previste, ma è fatale che siano previste quelle cose che devono
succedere" (Id. pag. 351). Ed ancora:"Allo stesso modo che,
quando so che una cosa è, risulta logico che quella cosa sia, così,
quando conosco che una cosa avverrà, è fatale che quella cosa avvenga"
(id.pag. 353). La Filosofia alla fine risponde che per Dio tutto è
presente, per cui non si tratta di prescienza di cose future ma di
conoscenza del presente, quindi "non previdenza, ma provvidenza". "Perciò
rimane intatta, per i mortali, la libertà di decisione…
Contrastate, dunque, i vizi, coltivate le virtù, innalzate a giuste
speranze gli animi, indirizzate al cielo umili preghiere. Se non volete
sottrarvi alle vostre responsabilità, non potete ignorare la profonda
esigenza di onestà che è riposta in voi, poiché le vostre azioni si
compiono sotto gli occhi di un giudice che vede ogni cosa"(id. pag.
389). Con queste parole Boezio chiude La Consolazione della
Filosofia.
Pure noi chiudiamo questo breve saggio e rimaniamo in attesa di una
cortese visita della Filosofia, perché ci sentiamo prigionieri della
nostra terrestrità e, soprattutto, frastornati da cotanto nullismo.
Grazie, Nat.
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