La
parola ‘simbolo’ deriva dal greco ‘symbàllein’ che significa
‘mettere assieme’(Galimberti).
Nell’antica Grecia, simbolo era il mezzo di riconoscimento o di
controllo che si otteneva spezzando irregolarmente in due parti un
oggetto, in modo che il possessore di una delle due parti potesse farsi
conoscere facendole combaciare (Dizionario Devoto – Oli).
Dallo stesso dizionario apprendiamo che nelle religioni misteriche esso
era la formula di riconoscimento degli iniziati.
Da “Psicologia” di
Umberto Galimberti apprendiamo anche che, “Platone, (riferendo il mito
di ‘Zeus che, volendo castigare l’uomo senza distruggerlo, lo tagliò
in due’), conclude che da allora ciascuno di noi é il simbolo di un
uomo”...e che esso (il simbolo) rinvia ad una determinata realtà che
non é decisa dalla convenzione (come per il segno), ma dalla
ricomposizione di un intero.
Prendendo avvio da queste illuminanti considerazioni, noi affermiamo che
é possibile condurre una seria ricerca di Sé non solo studiando i
simboli e meditandoci sopra, ma facendo di ogni cosa capiti sotto i
nostri occhi durante la ricerca, un simbolo da considerare come risposta
alla domanda del momento. Come in una sorta di gematria, trarre dalla
cosa un “numero” che equivalga a sostanza di essa.
Fino a qualche decennio fa, potevi incontrare, in Sicilia, dellle
vecchiette, che per la loro spiccata immaginazione e per la loro
saggezza, nulla avevano da invidiare a provetti sciamani. Esse, nella
comunità (per lo più quartieri popolari), erano riverite e rispettate
come lo era un uomo di medicina nelle tribù dei cosidetti ‘indiani
d’America’. Spesso delle persone bussavano alla porta di una di esse
e le chiedevano, per esempio, di “fare il viaggio di San Vito” per
avere dei pronostici relativi ad un loro problema.
La vecchietta indossava lo scialle, usciva in compagnia di una sua
parente (di solito era qualcuno che sapeva leggere i simboli come lei),
insieme facevano il giro dell’isolato, e prestavano la massima
attenzione a due cose: ai discorsi della gente ed ai segnali.
A volte, con sbalorditiva precisione, la risposta arrivava attraverso le
parole pronunciate da persone che nulla avevano a che spartire col caso
in questione. Altre volte, invece, la risposta veniva da una porta che
si chiudeva, una campana che suonava, una stretta di mano, un abbaiare
di cane (San Vito é il loro protettore), una persona triste, ecc. Cioé
dai segnali. In questo caso, qualunque cosa assumeva i contorni del
simbolo, e come una virtuale metà poteva essere avvicinata al problema
in questione (l’altra metà) al fine di ricomporre l’intero.
La vecchietta si centrava recitando una preghiera particolare al Santo,
e dopo, osservando e ascoltando intensamente, si apriva a tutte le
possibili intuizioni.
Quando molti anni dopo lessi il principio di sincronicità di Jung, mi
resi conto di come queste incredibili ‘sciamane’ ne fossero convinte
“sostenitrici”; e quando lessi di quanto accadeva nel setting
analitico, mi resi conto di come questi dotti maestri della psiche, con
i loro pazienti, non facessero altro che dei viaggi di San Vito (!).
Ma adesso riflettiamo un po’ e chiediamoci:
Quando Giuseppe, figlio di Giacobbe interpretava i suoi sogni e
poi quelli del faraone, non faceva lo stesso identico gioco?
Nulla togliendo all’ormai classico e mitico “interpretazione
dei sogni” di Freud, non
pare anche a voi che Giuseppe e chissà quanti altri prima di lui hanno
trasformato un mondo fatto di segni convenzionali, statico e sterile, in
un mondo fatto di simboli, dinamico e gravido di mille possibilità,
migliaia di anni prima dell’avvento della psicanalisi?
Per non parlare di geroglifici e di ideogrammi.
Possiamo dunque concludere dicendo che, qualunque cosa, se é osservata
con il solo occhio esteriore, parla all’occhio di sé solamente e
racconta della sua futile apparerenza; se invece essa viene osservata
con l’occhio della mente, diventa altro da sé, mostrando uno dei
diecimila “aspetti” cui la sua sostanza può dar forma.
Credetemi, piuttosto che in un mondo di segni, è meglio vivere in un
mondo di simboli. Il primo é piatto e ad una dimensione, mentre il
secondo é verticale e a più dimensioni; il primo é temporale, il
secondo é atemporale; il primo e muto, il secondo vibrante; l’uno é
scontato, l’altro indefinito. E chi più ne ha, più ne metta.
Ma bando alle chiacchiere.
Cominciamo col prendere in considerazione il primo simbolo.
IL
PUNTO
-
Se in geometria esso
rappresenta il Fiat di tutte le figure geometriche (segmento, retta,
piano, poligono, ecc.), in campo spirituale esso potrebbe essere
omologato alla Coscienza, che attraverso il suo gioco crea i mondi, allo
stesso modo in cui la nostra piccola cocienza, durante il sonno (o con
l’immaginazione durante la veglia) crea mondi di sogno.
Il
punto è un simbolo paradossale, poiché, oltre che l’inizio, di ogni
cosa, rappresenta anche la
conclusione. Esso può concludere una frase, un periodo, un romanzo,
…una vita.
-
Il punto è silenzio (vedi
i puntini di reticenza, cioè questi:
…………………………………)
-
Il punto è un seme, un’idea, il La musicale, cioè un diapason
che accorderà l’intera
orchestra.
-
Il punto è un ente che può essere soltanto intuito. Come un
archetipo esso è in contatto
con la Essenza (da cui “essere”), per cui
racchiude in sé l’invito al “conseguimento” del
presente: si
puo ‘essere’ solo qui ed ora: un letto di fiume che lascia scorrere
le sue acque.
Il
punto è l’Uno che ripetendo Se Stesso dà forma agli universi.
IL
TRIANGOLO
Il
triangolo rappresenta innanzi tutto il numero 3, un numero
“chiuso”contenente in sé l’armonia, così
come accade nella triade musicale: la tonica (nel caso di un
triangolo equilatero col vertice in alto) è rappresentata dalla base,
mentre terza e quinta sono date dai rimanenti due lati. Ma esso
rappresenta anche la famiglia composta da madre, padre e figlia/o: la
base rappresenta il figlio, e i lati sinistro
destro, la madre e il padre; visto da un altro punto di vista, i
due angoli in basso sono il padre e la madre, mentre il vertice in alto
è la figlia/o.
Il triangolo rappresenta anche la direzione: dalla terra al cielo, se il
vertice è in alto; dal cielo alla terra, vertice in basso; e poi,
avanti, con vertice a destra, indietro con vertice a sinistra.
Esso è anche simbolo del monte e quindi della stabilità, simbolo della
concentrazione in un sol punto.
In molte religioni indica la triunità: Padre, Figlio, Spirito Santo -
Brahma, Shiva, Vishnu - Zeus, Gea, Atena - Iside, Osiride, Horus -
Sechmet, Ptah, Nefertum, ecc.
Il alchimia, esso rappresenta i quattro elementi: vertice in alto
fuoco,in basso acqua; vertice alto tagliato, aria, vertice in basso
tagliato, terra.
Inoltre esso rappresenta il fallo (vertice in alto) e la ioni (vertice
in basso).
Simboleggia anche il perfetto equilibrio, i tre mondi, i tre colori
fondamentali; Spirito, Anima e corpo dopo il compimento dell’Opera.
Due triangoli (vertice in alto e vertice in basso) sovrapposti sono
simbolo della pietra filosofale:
paradossalmente rispetto alla somma dei tre angoli (60x3 = 180) un
triangolo è simbolo di
incompletezza essendo l’intero =
360 gradi; quindi diciamo che se abbiamo un triangolo con la
punta in alto (Cielo), esso presuppone un suo complementare con la punta
in basso (Terra) e viceversa, l’unione dei due dà, come dicevamo
prima, il simbolo della perfezione o Sigillo di Salomone.
Se prendiamo in considerazione il triangolo come simbolo di
incompletezza, allora dovremmo presupporre una possibilità di
rettificazione, cioè la trasformazione dell’angolo di 60 gradi in
angolo di 90 gradi, in tal caso passeremmo direttamente dal triangolo al
QUADRATO
Il
quadrato rappresenta la famiglia completa: padre, madre, figlio e
figlia.
Esso è simbolo della terra contrapposto al cerchio che simboleggia il
cielo. Rappresenta il perfetto equilibrio. Con i suoi quattro lati
perfettamente uguali indica i quattro elementi, ognuno dei quali ha pari
dignità con gli altri: il lato inferiore è la terra ed femminile,
quello superiore è il cielo maschile, il lato sinistro è l’acqua
femminile, il destro è l’aria maschile. Nella psicologia analitica di
Jung rimanda alle quattro funzioni : istinto, sentimento, ragione,
immaginazione. Nella Kabbalah richiama i quattro mondi: Aziluth, Briah,
Yetzirah, Assiah.
Se il quadrato aggiunge alla larghezza e all’altezza la profondità,
diventa un cubo: se esso , a due sole dimensioni rappresenta l’uomo
“ignaro di sé”, come cubo rappresenta l’uomo realizzato, la vera
pietra, il Sé.
La famosa quadratura del cerchio può essere interpretata (considerando
il quadrato=terra ed il cerchio =cielo)
come l’incarnazione del Sé, come “cattura” del Divino da parte
dell’umano.
Insieme col cerchio ed il triangolo equilatero esso può essere
considerato come perfetta figura geometrica. Può essere anche visto
come simbolo di giustizia terrena, contrapposto al cerchio omologabile
alla giustizia divina. Inscritto in un cerchio possiamo vederlo come
simbolo di completezza, e se all’interno di questo cerchio è
contenuto un triangolo equilatero, ci indica la suprema realizzazione.
La cosiddetta tabellina Pitagorica non è altro che un quadrato
“vivo”e “dinamico”; mentre i cosiddetti quadrati magici altro
non sono che chiavi per tracciare correttamente i sigilli magici (a
questo proposito vogliamo sconsigliare vivamente operazioni magiche
operative di qualunque genere).
Il quadrato potrebbe anche rammentarci, con i suoi quattro lati, le
quattro età: quella dell’oro è indicata dal lato superiore, il kali
yuga, quella del ferro, dal lato in basso, e le altre due, dai rimanenti
lati.
Lo stesso dicasi per le quattro età dell’uomo: infanzia, giovinezza,
maturità, vecchiaia.
Esso
rappresenta anche le otto direzioni: i lati indicano nord, sud, est,
ovest; e gli angoli, nord-est, sud-est, nord-ovest, sud-ovest. Per tanto
il quadrato può essere considerato anche simbolo dello spazio. Infine,
se i quattro lati si incontrano al centro, muovendosi ciascuno nel
rispetto della propria direzionalità, si forma una croce a braccia
uguali. Ma questo è un altro simbolo, di cui avremo sicuramente modo di
parlare.
IL
CERCHIO
Simbolo
della perfezione assoluta, questa figura sembra l’esaltazione del
Centro dei Centri. Ma cos’è il centro dei centri se non lo Spirito
Onnipervadente? E che cosa rappresenta il cerchio se non l’uomo
consapevole d’essere, in quanto coscienza, un piccolo sole?
Una circonferenza con un centro è simbolo del sole, della luce.
Il cerchio
rappresenta il tempo: non per nulla lo zodiaco è circolare: i dodici
mesi dell’anno, le quattro stagioni, le settimane e i giorni si
ripetono sempre. Ogni anno la primavera è la stessa, ma non i germogli.
In alchimia, un cerchio puntato rappresenta l’oro dei filosofi ed il
sole; in astrologia, invece, indica il sole.
L’uroboros,
il serpente che si morde la coda, è un cerchio particolarissimo,
interpretato, da mille punti di vista, in mille diversi modi nel corso
dei secoli. Ogni interpretazione, da ogni particolare ottica, è
sicuramente valida, perché la natura del simbolo è proprio quella
della inesauribilità dei suoi significati.
Ma di tale simbolo parleremo un’altra volta.
Il cerchio, in magia cerimoniale, è sia simbolo di recinto protettivo
che prigione di indemoniati.
Esso è simbolo di santità, come aureola, e pegno di fedeltà, quale
fede matrimoniale. Ma un tempo è stato anche indice di schiavitù, come
anello al naso.
Per
il momento ci fermiamo qui, non perché mancano simboli su cui meditare,
ma per invitare chiunque voglia approfondirne uno (compresi quelli di
cui si è detto qualcosina), a farci pervenire le sue riflessioni, che,
se condivise, potranno arricchire, oltre che noi stessi, tutto il popolo
di Internet.
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