Quando: 17.01.2004,
mattina presto
Dove: Roma, Colle di Mezzo
Situazione: poche ore prima di prendere l'aereo per la Nuova
Zelanda
Luogo: un prato
comune a diverse palazzine, chiuso e protetto; precisamente e' la parte
che sta dietro, sentita come un percorso
particolare.
·
Felice scorciatoia: La strada per il
campo da gioco...
·
Luogo pauroso: Il luogo dove un cane
da piccolo mi spavento' a morte, chiudendomi contro la rete...
·
La sfida dell'incerto: era il
confine con il mondo esterno, il fuori la rete (fuori controllo)
Personaggi: Me stesso
Una
figura claudicante, forse mia madre (cammina a stento con un bastone)
familiare e compassionevole
Una
figura minacciosa, simile ed un guardiano iroso (tipico di alcuni
videogiochi) una specie di Samurai impenetrabile, con un sorriso
stampato (forse una maschera). Mentre sogno, lo associo ad un mio amico
d'infanzia, che ammiravo, ma che un giorno trasloco' con la famiglia,
lasciandomi per sempre.
Intorno: E' un'ora
notturna, il cielo e' nero come la pece, ma una luna risplende come per
indicare la via: e' in effetti una luminosita' intermedia tra giorno e
notte.
Il Sogno: Cammino
con passo svelto e sicuro per una lieve discesa, lunga e regolare
sull'erba. Al mio fianco una persona, forse mia madre, che non riesce a
tenere il passo: io mi volto verso di lei con tenerezza e le dico di far
presto, ma lei mi dice: Come faccio? Ha un bastone e cerca di aiutarsi,
ma mi rendo conto che non puo' fare di piu'.
Osservo avanti a me il nostro traguardo: e' casa
nostra (la casa dove abbiamo vissuto per tanti anni), ma sotto il
portico o comunque davanti all'ingresso una figura ostile sembra
sbarrarne il passo. E' terrificante, fa su e giu' davanti alla porta
come certi personaggi dei videogame: sembra evidente che non vuole farci
passare. Provo un po' di timore.
Mia
madre proprio non ce la fa, allora scatta qualcosa in me: la prendo in
braccio e continuo a scendere per il clivo e la cosa strana e' che con
lei non sono piu' pesante, come sarebbe ovvio, ma piu' leggero. Come un
aereo prima del decollo, che chiude i portelli e manda il motore su di
giri, accelero gradualmente, con una naturalezza sorprendente. Cosi'
spicco il volo e ogni paura e sensazione di peso svaniscono: mi sento
forte, integro, invincibile e mi dirigo verso casa come un fulmine. Un
lampo in effetti mi invade e io arrivo dove c'era il guardiano: svanito;
e casa mia: esplosa in una enorme sensazione di luce e di pace.
Il seguito: Dimentico
il sogno fino al momento in cui l'aereo per la Nuova Zelanda rulla sulla
pista, gira nel punto convenuto e imbocca il corridoio finale. Allora mi
ricordo tutto: e mi assale una sensazione di disintegrazione che un po'
mi spaventa, ma a rassicurarmi e' la certezza che il sogno non mi aveva
infuso paura, ma gioia e serenita'
WELCOME BACK HOME!
Sogno Daniele 2 -
interpretazione di Franca.
Il titolo del sogno e'
Sogno di Daniele/Rama/Pinocchio/c.p.n.h.p.n.m. Supponendo che la
frase siglata corrisponda a chi piu' ne ha piu' ne metta, e dato
che Rama (= colui che affascina o colui che oscura) e Pinocchio (=
occhio di pineale, con chiaro riferimento al centro Daath) sono i
personaggi interpretati nel ns/ teatrino del CIS da Daniele, il titolo
vorrebbe indicare che il sogno non e' solo del Daniele (= Yahweh e' mio
Giudice) persona (= maschera) che conosciamo, ma anche, in un certo
senso, del Daniele interprete, oltre che di Rama e di Pinocchio, di
chissa' quali altri possibili personaggi, teatrali e non, da elencare a
nostra scelta. La frase c.p.n.h.p.n.m. pone in evidenza l'
ironica critica dell'io di veglia-sognatore verso l'io "attore" sia nel
teatro che nella vita.
Il sottotitolo e' formato da tre elementi: primo elemento: il Quando,
da cui possiamo ricavare il numero 15 (1+7+1+2+4), numero relativo
all'Archetipo dell'Avversario (solve- coagula), cioe' del problema da
"risolvere" posto dal sogno; secondo elemento: il Dove, da cui
ricaviamo l'aspirazione del sognatore a vivere sul Monte (Colle), nella
Via di Mezzo (del Buddha), ma soprattutto nel piano mentale (Roma, caput
mundi); infine, terzo elemento: la Situazione, da cui ricaviamo
la decisione del sognatore di voler andare in "volo" nella Nuova Zel-(l)anda,
nella Terra Nuova, dello "zelo", dell'entusiasmo, dell'ardore,
dell'Amore...
Prima di arrivare al sogno vero e proprio, Daniele ci offre anche
numerosi elementi di amplificazione del sogno stesso: il Luogo:
un prato che gia' egli definisce in tre modi diversi: Felice
scorciatoia, forza bianca operante, cioe' Bene; il Luogo pauroso,
forza nera operante, cioe' male; La sfida dell'incerto, Luogo
dove le due forze confinano, e prima o poi, si combattono. D'altronde
un prato e' sicuramente un "campo" e questo prato e'
il personale campo di battaglia (il Kurukshetra della Baghavad Gita) di
Daniele.
Avvertiamo in particolare il duplice sentimento di amore-odio per la
rete del prato, sentita come protezione e insieme come prigione,
come abbraccio e contemporaneo ostacolo alla liberta'.
Ed eccoci ai Personaggi: ancora tre sono gli elementi, tutte
componenti interiori del sognatore, che vengono evidenziati: Me
stesso, Una figura claudicante, forse mia madre... una figura
minacciosa, una specie di Samurai impenetrabile... E' facile vedere
in questa triade oltre al figlio (Me stesso) e alla figura
claudicante, debole e bisognosa di cure, della madre, la
figura minacciosa di un padre che si cela dietro il Samurai,
associato dal sognatore ad un amico d'infanzia che l'ha lasciato
per sempre (il padre di Daniele e' deceduto recentemente). Infine, prima
di raccontare il sogno, Daniele ce ne descrive l'atmosfera, definendola
Intorno: cielo nero come pece e luna risplendente,
luminosita' intermedia tra giorno e notte: ancora una volta e'
particolarmente sentito e fotografato il contrasto tra il bianco e il
nero.
Il Sogno: Cammino con passo svelto... siamo finalmente arrivati
al dunque: il sognatore e' un Via-andante che va deciso verso un
traguardo, questo traguardo e' la meta del viaggio: e' Casa
nostra, dove abbiamo vissuto per tanti anni. Il "noi" si riferisce
alla famiglia di nascita, ma in un senso piu' lato, se la Casa
rappresenta l'Assoluto, lo Spirito, il Se', il "noi" viene a
rappresentare le varie componenti interiori di Daniele, che un tempo
vivevano all'interno del Se' (situazione pre-caduta, edenica), e che
ora, lontane da Casa, hanno deciso di tornarvi. Cosi' la figura,
forse mia madre, rappresenta la sua componente sentimentale
femminile che egli rispecchia nella madre fisica, claudicante; essa,
malgrado gli sforzi e l'aiuto del "bastone" (= della volonta'), non
riesce a camminare abbastanza in fretta per arrivare a "Casa"; e'
debole, ma familiare (= conosciuta), compassionevole, cioe' suscita
compassione e offre compassione insieme. L'altra figura (intesa
anche come fantasma, spettro) ostile, e' omologabile per
complementarieta' al padre e rappresenta la sua componente razionale,
maschile che egli vede terrificante, che fa su e giu' (=
fa alto e basso, cioe' comanda, si impone), ma soprattutto impedisce
l'ingresso alla "porta" di Casa (all'intuizione) e rievoca con il suo
aspetto da Samurai, i videogame, i videogiochi, per mezzo dei
quali Daniele bambino prima e ragazzo poi, si cimentava contro
l'Avversario, caratterizzato da un sorriso stampato, forse una
maschera, che in una finta gioia nascondeva una probabile
smorfia di dolore.
La situazione del sogno e' drammatica: come sperare di raggiungere la
meta con alleata la sola componente sentimentale debilitata e fragile e
con la componente razionale in opposizione e nemica?
Questo e' il problema del sogno. Ma esso offre anche la soluzione del
problema: Allora scatta qualcosa in me. Subentra un felice
momento di "Grazia" dovuto alla "compassione". Abbiamo qui una
trasposizione dell'Archetipo della Pieta', in cui la Madre prende in
braccio il Figlio morente: nel sogno e' il Figlio che prende in braccio
la Madre sofferente. La Pieta' intesa come Archetipo, per esempio quella
di Michelangelo, in cui la Madre si unisce al Figlio nel dolore, e' a
sua volta una trasposizione in chiave sacrificale-cristiana dell'incesto
filosofico alchemico, qui attuato. Il Figlio subentra al Padre e ne
assume in positivo tutte le caratteristiche: diventa forte, integro,
invincibile (Netzach) e poi ancora acquisisce le caratteristiche del
fulmine e del lampo (Chesed) e puo', cosi' trasmutato, giungere a
Casa, in Daath, il Luogo dell'esplosione della Luce e della Pace.
Netzach e Chesed sono le Sephiroth della colonna maschile dell'Albero,
il cui sviluppo va armonizzato con lo sviluppo delle Sephiroth Hod e
Geburah, della colonna femminile.
Prima Daniele camminava sul prato, sulla Terra, poi, avendo com-preso
l'Acqua, (la Madre in braccio), puo' volare in cielo, nell'Aria, e
percio' conoscere il Fuoco.
Il seguito. Il sogno viene dimenticato fino al momento in cui il
sognatore, fisicamente diretto in Nuova Zelanda, riconosce nel moto
dell'aereo che sta per innalzarsi la sincronicita' col suo volo onirico;
l'evento fisico fa scattare il ri-cordo (del cuore) e la Coscienza
dell'esperienza vissuta nel sogno. Cosi' ora Daniele, avendo ricordato
l'insegnamento ricevuto nel mondo sottile, "sa" come tornare a Casa.
Grazie. F.V.
Albero sogno
Daniele
Sogno di
Daniele - interpretazione di Natale
La prima impressione che
scaturisce dal modo in cui è stato presentato il sogno è quella di una
"sceneggiatura matematica": Daniele ci presenta il suo racconto onirico
come una struttura in cemento armato. La seconda impressione è quella
di un panino imbottito: il sognatore, con le sue considerazioni che
precedono e seguono il sogno, sembra offrirci un sandwich. Cominciamo
col titolo: Sogno di Daniele/Rama/Pinocchio/ chi più ne ha più ne
metta.
Questo strano titolo mi fa pensare più a un personaggio che ad un
individuo (cosa che mi conferma la prima impressione). Il sognatore si è
finalmente accorto che la vita su questa terra è uno spettacolo, e che
ogni pseudo-individuo è di volta in volta questo o quel personaggio. Ma
il sogno è già di per sé una sceneggiatura creata dall'immaginazione
sotto la spinta di forti sentimenti e passioni, o sotto l'impulso di
archetipi. Daniele oltre che il nome del sognatore può anche
indicare il "personaggio" Daniele dell'Antico Testamento, cioè colui che
alla corte del re Nabucodonosor interpreta i sogni del sovrano; colui
che ha visioni divine; colui che mostra saggezza nell'episodio di
Susanna e i vecchioni, ecc. Se scatta questa identificazione, il Daniele
sognatore sente di poter interpretare il proprio sogno con facilità. Ma
l'interpretazione dei sogni, contrariamente a quanto creduto da Freud,
non si esaurisce con il decodificarne la ricca simbologia secondo regole
rigide e sempre identiche. Né tantomeno essa può venir fuori da una
lettura distaccata del sogno stesso. Interpretare un sogno vuol dire per
prima cosa farlo proprio, cibandosene e digerendolo sia mentalmente, sia
emotivamente, e diremmo quasi anche fisicamente, cercando di "sentire"
nella nostra carne quanto il sognatore stesso ha avvertito nella
propria. Solamente dopo aver constatato che tale sogno ha lasciato dei
solchi nei nostri tre veicoli possiamo azzardare la cosiddetta
interpretazione. Per chi non lo avesse ancora capito, quello che stiamo
proponendo è che l'interprete si trasformi in "attore", e che con totale
empatia (oltre quella proposta da Jung) "riviva" il sogno nei panni del
sognatore. Interpretare vorrebbe dire in questo caso non più blaterare
pensieri scaturiti da regole fisse e discutibili, ma recitare con tanto
di coinvolgimento, il sogno. Questo può addirittura essere fatto anche
fisicamente, rappresentando l'avventura onirica sul palcoscenico. Ecco
alla fine come le dieci interpretazioni di uno stesso sogno potrebbero
equivalere alle dieci interpretazioni della nona sinfonia di Beethoven
da parte di dieci diversi direttori d'orchestra: il sogno rimarrebbe lo
stesso (come una partitura) e le singole interpretazioni coglierebbero
uno dei particolari impulsi creativi dell'autore. Per conoscere il
Laudisi di Pirandello non basta leggerlo e commentarlo, occorre
interpretarlo sulle tavole del palcoscenico, incarnarlo. A noi
che cerchiamo di capire il senso della vita, un'interpretazione del
genere potrebbe fornire la chiave per aprire la "porta senza porta" (Mumonkan)
del nostro illusorio ego, ed anziché nella presenza di un io freudiano,
ci troveremmo faccia a faccia con l'Essere, cioè a dire, con un Io Sono
che pone l'accento sul presente (Sono) anziché sul fuoco fatuo (io): io
senza "essere" è "coniugazione" di un pronome e basta, è una maschera
allo specchio, illusione. Quanto a Rama e Pinocchio,
diciamo subito che il primo, nel poema epico indiano Ramayana, non fa
che combattere contro demoni, ed il secondo, pur cercando di rimanere
fanciullo come Peter Pan, è costretto dalla vita alla maturazione.
Questi tre nomi sono i personaggi principali del copione di Daniele di
questi ultimi mesi. Noi consigliamo di focalizzarsi di più sul
Daniele biblico, perché Pinocchio dice spesso bugie, mentre Rama
(vedi episodi della cattura del cervo ed uccisione di Vali) a volte
sembra perdersi in un bicchiere d'acqua, cosa che ad un'incarnazione di
Vishnù non dovrebbe capitare.
Detto ciò, ecco la mia "interpretazione".
Davanti casa mia
C'è un demone inquietante,
Un'ombra che mi spia.
Ha mille volti e, ostile,
Mi vieta di varcare
La porta dell'ovile.
Nel portico seduto
C'è un padre-super-io
Che non ho mai veduto
Come lo vedo adesso:
Un fragile fratello
Di questa sceneggiata
Che oppone questo a quello,
Perché da tale attrito
Ne nasca una scintilla
Che faccia un po' di luce
E doni un po' di pace.
Avanzo verso l'ombra
E per la via degli occhi
Mi porto alle radici
Di quelle tante facce:
Il paradosso antico di
millanni
Di tutti i personaggi che son stato,
Ma soprattutto il figlio in cerca d'ale
Che contrapposto al figlio timoroso
Rivive il bianco e il nero
Facendosi di sale .
Questo mio sogno è un fatto
archetipale:
quando Gabriele porta a noi le piume,
E' ora di rinchiudere nel cuore
Le nostri madri con affetto immenso,
E diventare padri noi a noi stessi.
Messe le piume voleremo alto
E da lassù vedremo ch'ogni casa
Ha la sua ombra ostile ed inquietante.
La sceneggiata del sogno della
vita
Si scioglie nella luce che noi siamo
E diventando "niente" in quanto "io"
"Facciamo posto" a Dio.
Il sogno è fantasia di un
personaggio
Che cerca di spacciarsi per attore,
Il sogno è un po' il miraggio d'un miraggio,
Un motorino che non ha motore.
Grazie.Nat
Sogno di Daniele –
interpretazione di Maurizio
Questo racconto onirico sembra
rielaborare uno dei temi più sentiti, più presenti nella nostra psiche
di esseri umani: quello del trauma della nascita e dell’uscita dal
ventre. Il sognatore opera, nel raccontarlo, una sorta di dissezione
del suo sogno. Tutti i luoghi, i tempi e i personaggi sono accuratamente
catalogati e descritti, come in una sceneggiatura teatrale o
cinematografica. In particolare si nota la presenza di uno spazio chiuso
e rassicurante, legato all’infanzia, con luoghi deputati al gioco e
percorsi protetti, mentre altre zone sono pericolose, in comunicazione
con l’esterno, delimitate da una rete, collegate con esperienze
traumatiche per lo più identificabili con la separazione, la
paura di essere in balìa di eventi incontrollabili oppure di essere
abbandonati: vedi, per esempio, l’associazione che il sognatore fa –
all’interno dello stesso sogno – fra il ‘Samurai’ cattivo e l’amico che
lo tradisce andando via e, in altre parole, crescendo. Questo è
il punto: la crescita, come la nascita, porta ad uscire dal protettivo
ventre materno, che ha caratteristiche simboliche profonde, è
giardino d’infanzia, paradiso terrestre, themenos,
vale a dire spazio sacro. La crescita significa affrontare il
fuori rispetto alla dimensione originaria e unitaria, sperimentare
la differenziazione, la separazione, l’ostacolo, il male. Il sognatore
sembra sapere tutto questo, sembra per lo meno averlo già elaborato a
qualche livello – conscio o inconscio – della sua psiche: lo testimonia
l’anzidetta dissezione, vale a dire l’analisi dei contenuti
onirici, da lui condotta in una maniera relativamente distaccata. Anche
il ‘videogioco’, elemento che sottende alcune fasi del racconto,
permette di rappresentare dei percorsi o degli eventi difficili,
spaventosi - con nemici, pericoli, labirinti e altro - in modo virtuale,
distante, a-passionale e, quindi, più affrontabile e gestibile. Da un
lato il problema, dopo essere usciti dal metaforico ventre, è quello di
ricostruire una situazione analogamente protettiva e familiare:
la famiglia appunto, la casa. Dall’altro è quello di non regredire in un
rifiuto totale di ogni interferenza nel proprio nucleo di sicurezze,
giudicando ‘nemica’ qualsiasi circostanza estranea e ‘demoniaco’ ogni
ostacolo esterno: semmai integrando nella propria visione queste
intromissioni come ulteriori occasioni di crescita e di ampliamento del
proprio spazio psichico e spirituale. Questo sembra essere il punto, la
domanda espressa da questo racconto onirico: come fare a raggiungere il
traguardo della antica-nuova casa, cioè dell’integrazione con la
propria vita e il mondo esterno, portandosi appresso il ‘peso’
dell’archetipo materno e dell’esperienza infantile come eterni simboli
interiori, sempre vivi e attuali, di unità? La madre della visione
onirica, in effetti, è claudicante anche perché esclusivamente
interna, non integrata, avente uno degli arti – presumibilmente
quello esterno, di relazione, inadeguato a svolgere bene
la sua funzione. E’ qui che scatta l’indicazione data dal sogno: il
sognatore prende un’improvvisa decisione, una nuova determinazione, si
risolve a farsi carico dell’archetipo materno e della sua gravità
andando ciononostante avanti. E’ la scelta giusta, l’unica che
può fare in questi casi la coscienza individuale se non vuole fermarsi:
il fardello non è pesante, anzi aiuta e alleggerisce, cioè può essere
integrato con la realtà esterna, tanto che il sognatore vola verso una
sorta di Illuminazione, nella quale scompaiono le differenziazioni
insanabili e i contorni foschi delle cose. Da questo punto di vista il
racconto onirico contiene dei riferimenti esoterici al passaggio
coscienziale fra quelli che probabilmente erano due antichi Misteri nel
percorso dell’Iniziazione: mi riferisco al passaggio fra due Arcani
Maggiori del Libro di Toth, fra il XVIII, la Luna, e il XIX, il Sole.
Forse proprio questo è il senso che, nell’esperienza di vita di Daniele,
ha avuto la Nuova Zelanda, con la quale il protagonista conclude il suo
racconto. In un modo o nell’altro essa ha rappresentato e rappresenta il
volo verso l’ulteriore e anche il desiderio di conciliare mondi in
apparenza troppo lontani… E, come scrive il nostro sognatore alla
scoperta delle differenti fasi della sua crescita individuale,
c.p.n.h.p.n.m. (chi più ne ha più ne metta)! |