Un sogno
di MAURIZIO
Fra qualche giorno c’è una grande riunione buddhista al centro culturale. Mi trovo in un appartamento dove fervono dei preparativi, e c’è parecchio trambusto. Avrei, comunque, intenzione di recitare il Sutra. Con me c’è Paola, ma si distrae e parla con altre persone, contribuendo alla confusione generale. Mi sposto, allora, un po’ più in avanti, avvicinandomi all’ ”Oggetto di Culto” per essere più concentrato. Alla mia sinistra c’è un praticante nuovo, un po’ inesperto, che però mi informa su una cosa che non ho mai sentito prima: dice di aver saputo che, all’inizio della lettura di un certo capitolo del Sutra che inizia con il suono ‘Mi’ (nella realtà non esiste o non fa parte del nostro rituale), dovremmo inchinarci fino a toccare terra con la fronte. La cosa mi sembra davvero inconsueta, perché so che nella nostra scuola si dice che gli inchini non devono essere troppo rigidi o ingenerosi per non mancare di rispetto all’oggetto o alla persona cui è diretto il saluto, ma neanche bisogna prostrarsi troppo per non mancare di rispetto a noi stessi: il senso è che il Buddha è presente ovunque. Nonostante le mie perplessità, comunque, seguo l’indicazione e completiamo la nostra meditazione. Intorno, intanto, continua il via vai di persone che parlano, organizzano, scherzano, si agitano in vario modo. Mi passano un programma della grande riunione di domenica e, leggendolo, vedo che ci sono i titoli degli interventi, delle relazioni, delle varie fasi del meeting. Non mi piacciono molto questi titoli, mi sembrano degli ‘slogan’ già sentiti, sono piuttosto critico, ne parlo e li faccio leggere anche a Paola. Uno, in particolare, mi colpisce. Dice: “Se ci identifichiamo con la nostra sofferenza, allora abbiamo perso. Se continuiamo a sforzarci e a lottare, abbiamo vinto.” Mi viene in mente la conflittualità che ho con mia madre e capisco che lo ‘slogan’ dice la verità: non bisogna mai fermarsi, mai darsi per vinti, mai credere di non poter più progredire, piuttosto si deve continuare ad andare avanti verso un mondo migliore, anche in circostanze che sembrano impossibili o invalicabili. Improvvisamente mi commuovo e avverto una grande vicinanza con tutti i membri dell’associazione buddhista, come in un grande abbraccio. Cambia scena: cammino con mia madre per strada. E’ sera, e ricordo ancora l’imminente riunione, ma non ne parlo con mia madre. Ho con me un cane boxer (da adolescente ho avuto davvero una cagnetta boxer di nome Dharma, ma nel sogno non lo ricordo) e lo tengo con una lunga catena metallica. Passeggiamo con tranquillità e parliamo serenamente. Sono felice che l’atmosfera sia così distesa, e penso che sto imparando…
Sogno Maurizio - interpretazione di Franca Vascellari
Questo sogno
di Maurizio a prima vista sembra rivelare solo la preoccupazione per la
responsabilita’ del suo ruolo di leader di un gruppo buddista, cioe’
paura di mancare in qualcosa (v. Paola) paura della distrazione e della
confusione e paura di contaminare la ritualita’ con innovazioni non
ortodosse (v. inchino) suggerite da quella parte di lui stesso che,
sempre nuova e originale (v. praticante nuovo), non si accontenta del
vecchio; ma ad una lettura meno superficiale, in realta’ sembra
suggerire uno speciale timore piu’ occulto: la liceita’ dell’inchino al
“Mi”. Ora questa paroletta oltre ad essere un “suono” una nota musicale,
come spiegato nel sogno e’ soprattutto il pronome relativo all’Io;
quindi l’informazione-suggerimento del praticante nuovo di inchinarsi
con la fronte a terra al “Mi”, non sarebbe altro che una protesta del
suo ego, che vorrebbe semplicemente avere maggior considerazione da
parte del suo capo-testimone: questo poi alla fine lo accontenta anche
se con qualche perplessita’. Grazie. F.V.
Sogno Maurizio - minifantasticheria autointerpretativa Considerando tutto il lavorìo del sogno – il trambusto, la preghiera, i preparativi per la grande riunione – come una fotografia della psiche del sognatore (cioè io stesso), possiamo osservare una particolare dialettica: quella fra la complessità caotica di tutte le forze in gioco e la volontà di farle convergere verso un unico punto (l’Oggetto di Culto, il Sutra, il ‘meeting di domenica’), nel tentativo di creare un insieme ordinato e finalizzato. Inoltre notiamo come il sogno esprima l’indicazione ad andare oltre le conoscenze acquisite e consolidate (le opinioni di ‘scuola’, legate allo studio, all’imparare, al rituale prefissato), trovando l’umiltà di accogliere nuove sollecitazioni ed esperienze (lo strano inchino proposto dalla persona inesperta): l’unico modo per far sì che ciò che sappiamo non si riduca ad una serie di ‘slogan’ mentali e poco produttivi, è quello di mettere continuamente tutto in discussione, ricercando nel profondo il senso delle cose (la’verità’ contenuta nella frase-slogan), non negli aspetti formali. La commozione e l’abbraccio ideale con tutti i buddhisti è il riconoscimento del valore di tutto ciò che il sognatore ha fatto e incontrato, sia nel passato che nel presente, sul cammino ‘spirituale’: tutto converge verso un unico fine di integrazione. La scena conclusiva allude al lavoro sul karma familiare, la profondità della psiche e l’inconscio (la sera, la madre). Il sognatore (sempre io) sembra aver acquisito un maggiore autocontrollo e padronanza di sé e delle sue energie strutturanti e difensive (il ‘boxer’-lottatore ben controllato), anche grazie alla Legge Mistica (Dharma), già larvatamente ricercata agli inizi del percorso autoconoscitivo (l’adolescenza). |