Le
giovani donne con abiti lunghi dovevano radunarsi al centro di una
piazza e rotolarsi sull’erba bagnata; era una tradizione, l’anno
precedente anche io avevo partecipato.
Aspettavamo altri ospiti, ero rimasta in casa per preparare e
controllare; il parcheggio davanti casa era riservato all’ospite
piu’ importante, un medico. Anche io ero ospite, ma mi sentivo facente
parte della famiglia. Alcuni travestiti gay hanno provato ad occupare il
parcheggio, ma io, pronta li ho dissuasi mettendo di traverso un
carrettino di legno, un giocattolo da bambini, questi, protestando ma
ridendo, mi hanno detto:” Questa e’ una notte di festa, si puo’
fare tutto!” E si sono allontanati.
Una ragazza un po’ strana, vestita di azzurro
voleva forse partecipare alla nostra festa, mi raccontava della
sua malattia, ne descriveva i disturbi. Il medico Anacleto (che intanto
era arrivato) ascoltava e
preannunciava che il prossimo sintomo sarebbe stato: “perdite
ematiche”. In quel momento alla ragazza e’ uscito sangue dal naso,
abbondante, che colava sulla bocca.
L’abbiamo accompagnata al centro mentale da dove si era allontanata;
anche li’ facevano festa.
Nella casa io preparavo i tavoli per gli ospiti e componevo dei
centri-tavola con noci, castagne con il riccio, tovagliette rosse
ricamate, kiwi, tronchetti di legno, tutto molto artistico.
Tra gli ospiti che stavano arrivando c’era pure una ragazza che io
conoscevo (Ilaria), con una bambina in braccio, salutava tutti e tutti
si complimentavano con lei.
Continuando a preparare, guardavo e sorridevo, aspettando che venisse a
salutarmi, ma ho avuto l’impressione che deliberatamente cercasse di
ignorarmi; poi sono arrivate la madre e la zia.... e mi sono svegliata.
Il sogno mi ricorda uno spaccato della mia vita, vissuto fino a qualche
tempo fa. Tutte le feste arrivavano orde di parenti confusionari, con
tanti bambini: tutti si lamentavano, ma regolrmente ogni anno si
ripeteva la stessa storia.
Sogno
Simonetta - interpretazione di Franca Vascellari
“Le
giovani donne ecc.” Questa
prima frase del sogno sembra evocare un rito iniziatico tribale: il
radunarsi al centro, il rotolarsi nell’erba bagnata...la
possibilita’ di partecipare alla cerimonia una sola volta (al momento
della raggiunta maturita’ sessuale) ecc. e’ caratteristico delle
feste di iniziazione di epoche passate. Il passaggio alle altri parti
del sogno e’ graduale, ma resta di fondo sempre questa celebrazione di
“festivita’” in un certo senso obbligatoria, tuttavia sentita come
“peso”, come festa si’, ma per gli “altri”; festa esteriore,
mai festa del cuore. Ma quello che colpisce e’ la frase dei
travestiti: “Questa e’ una notte di festa e si puo’ fare di
tutto” e questo della “festa” che “fa paura” alla sognatrice.
Essa oppone alla “licenza” di questi
invadenti gay che vogliono occupare il “parcheggio” riservato
all’ospite piu’ importante della festa, il “medico”, un
“carrettino di legno, giocattolo da bambini”. Consideriamo questo
“medico” il cui nome e’ Anacleto (= invocato), l’ospite piu’
importante della “casa”, come il Guaritore-Sacerdote dell’Albero
di Simonetta e quindi relativo a Daath, la Coscienza;
“i travestiti gay “come presonificazioni dell’Avversario, a
cui essa si oppone seppure con un “carrettino di legno”: ricordiamo
che il Carro degli Arcani Maggiori e’ simbolo di Vittoria sulle forze
animiche e il fatto che sia di legno lo omologa all’Albero,
infine “giocattolo da bambini” e’ una trasformazione del
termine alchemico “giuoco da bambini” = facile, semplice, infatti
l’operazione salva-posto dell’Ospite riesce senza difficolta’.
Il sogno seguita con la presentazione di “una ragazza strana”
malata, vestita di azzurro ( colore della Forza), che vuol partecipare
alla “festa”, proiezione della
stessa sognatrice alla quale
il Medico-Guaritore predice
il sintomo-cura: “perdite ematiche” e subito alla ragazza fuoriesce
“sangue dal naso e cola sulla bocca” (= epistassi , salasso
naturale) come se troppa vitalita’ (sangue) all’interno della donna
dovesse in qualche modo fuoriuscire per
farla tornare allo stato di benessere. Infatti dopo la perdita
questa viene riaccompagnata al “centro mentale” = come se, una volta
eliminata l’energia in surplus la sognatrice potesse concentrarsi
sullo sviluppo dei centri del mentale (Chesed, Geburah).
Ora la sognatrice, risolti certi problemi di natura astro-mentale, e’
in grado di ricevere “ospiti” e di preparare per loro i
“centri-tavola” cioe’ di offrire ad altri
i cibi e i frutti
della sua Casa. Tra gli ospiti compare di nuovo una ragazza, (ancora una
componente della sognatrice), ma questa volta ce ne viene detto il nome:
Ilaria (= serena, gaia) e la ragazza ha una bambina in braccio, ha una
Figlia, una sua realizzazione,
un suo raggiungimento ( la nascita di un Figlio e’ sempre relativa
alla presa di Coscienza di qualcosa di spirituale); ma Ilaria pare
ignorare la sognatrice, quasi che questa, pur certa della sua Nuova
Consapevolezza, faticasse a riconoscerla..e l’arrivo della madre e
della zia, le anziane della
Casa, determinano il suo risveglio. Che la festa sia una vera festa
questa volta! Buona Festa , Simonetta.
Grazie. F.V.
Sogno
Simonetta - Interpretazione di Natale Misale
"Le
giovani donne con gli abiti lunghi dovevano radunarsi al centro di una
piazza e rotolarsi sull'erba bagnata; era una tradizione, l'anno
precedente anch'io avevo partecipato". Questo inizio di sogno
assomiglia tanto ad una cerimonia di iniziazione riservata alle
giovinette, che, smesse le gonnelline dell'infanzia, raggiunta l'età
puberale, vengono preparate dalle anziane del villaggio a rivestire il
ruolo di donne. La prima cosa é naturamente riservata all'esteriorità:
devono mostrare l'avvenuta metamorfosi, attraverso un abito che nasconda
la quasi totalità del loro corpo. Non sono più bambine, ma
"giovani donne con gli abiti lunghi", pronte per il
matrimonio. La presentazione del loro nuovo stato sociale deve avvenire
pubblicamente," al centro di una piazza", e la tradizione
vuole che esse si rotolino sull'erba bagnata, un atto molto simbolico
che può quasi essere omologato ad un battesimo di
terra ed acqua: madre natura ed in particolare Gea, attraverso il
loro rotolarsi, conferiscono alle
giovani donne il dono della fertilità e della vitalità. L'erba ricca
di rugiada è la palese testimonianza della terra come madre e come
nutrice. Se esiste veramente una tale antica forma di iniziazione alla
pubertà, non lo so, ma nella psiche della sognatrice essa è reale,
tanto che Simonetta vi si rituffa, per ritemprarsi e per tracciare un
consuntivo meno emotivo e più ragionato, del prima, del durante e del
dopo il suo matrimonio. Questa prima parte del sogno è poetica,
"le giovani donne con gli abiti lunghi" è poesia, è ricca di
quel sentimento che il grande Leopardi
ha saputo così bene cogliere nella sua "donzelletta":
in esse ci sono tutte le romantiche aspettative, le gioie dell'attesa,
le speranze di felicità, caratteristiche di quell'età di passaggio; c'è
la freschezza della primavera e di un gioco (rotolarsi nell'erba)
giocato per aprire simbolicamente la propria anima e renderla pronta ad
accogliere l'altro che possa completarla, integrarla. Rivisitando quello
spazio-tempo, la sognatrice fa un bagno rigenerante, raccoglie la
rugiada della sua primavera per rinfrescare corpo, cuore e mente, e per
iniziare la sua psiche alla vera ricerca, quella che le farà incontrare
dentro lo Sposo che la consolerà di ogni sofferenza. Ma perché tale
incontro possa avvenire, Simonetta sa di dovere convocare il suo medico, Anacleto, che vuol dire "invocato: Questo suo
futuro Sposo, dapprima dovrà vestire il camice di medico e
guarirla da ogni ferita. E' evidente che tale medico è il lavoro
onirico, e che per sanare le ferite non è sufficiente rivivere il
passato, ma occorre anche accettarlo, comprenderlo, osservarlo per
quello che è, un sogno ("c'è qualcosa che passato possa dirsi non
sognato?" diceva Calderon De La Barca). Inconsciamente, la nostra
amica sa tutto questo, e con un certo ritrovato equilibrio comincia a
leggere il suo tempo trascorso. "Il parcheggio davanti casa è
riservato all'ospite più importante, un medico": la sognatrice,
nello stesso momento in cui ha deciso di convocare il suo terapeuta
interiore, il suo medico, ha anche deciso di guarirsi, e quando si
accorge che delle sue componenti alterate (i travestiti gay) vorrebbero
continuare a "far baldoria" e ad occupare lo spazio riservato
al guaritore, mostrando loro dei giocattoli, li smaschera, li
vede per quello che sono (burattini) e sottrae loro quell'energia
che le permetterà di continuare a lavorare su di sé. "Questa è
una notte di festa, si può fare tutto" diranno
i travestiti: Simonetta, almeno incosciamente, ha capito che
piangere sulla sua "malattia" serve a poco, e che l'unica cosa
da fare è guarire. Ecco
perché è festa: è un giorno
diverso, una notte diversa, un sogno particolare che indica una sicura
svolta. "Aiutati, che Dio t'aiuta" dice un vecchio adagio. E'
ciò che la sognatrice sta facendo: ha finalmente deciso di non farsi
male. Ma la sola decisione non basta: quando la smetterà di rovinarsi
la salute fumando giorno e notte, avrà veramente cambiato rotta.
Intanto si accontanta di convocare tutti i suoi parenti e conoscenti
(gli ospiti) e di far festa. La ragazza vestita d'azzurro che perde
sangue dal naso, la sognatrice degli anni tristi, quelli che l'hanno
vista privata di ogni gioia ed entusiasmo, che l'hanno vista svuotata
nell'anima (dissanguata), quella che ha sofferto perché ha vissuto
quella parentesi col 100% del cuore, è stata accompagnata al centro
mentale, cioè sta per essere compresa razionalmente e con distacco.
Ilaria, quell'altra ospite, l'aspetto
madre della sognatrice, rappresenta ancora una "ferita
cicatrizzata" non del tutto guarita: lei la punta e cerca di
capirla, sia per il passato, sia
per il futuro. Ma questo è un aspetto su cui Simonetta dovrà lavorare
ancora un po' al fine di collocare il suo nascente nucleo
coscienziale al centro di tutti i suoi personaggi. Intanto si
gode la festa per la raggiunta maturità psichica che la vede ancora una
volta rotolarsi nell'erba e impregnarsi di rugiada. La primavera è il
periodo in cui i campi del nostro essere vengono inondati dalla rugiada
celeste con abbondanza. Simonetta sta vivendo una sua primavera, che
sicuramente la riempirà di nuova vita e nuove prospettive, ma a
condizione che, quando il medico busserà, spalancherà la porta. E'
tutto un affare suo, dipende tutto da lei. Noi del gruppo possiamo solo
sostenerla con affetto, simpatia ed empatia, la festa che ha deciso di
organizzare, la dovrà gestire da sé.
Grazie. Nat
Sogno Simonetta
– fantasticherie interpretative di Maurizio
“Il
sogno mi ricorda uno spaccato della mia vita, vissuto fino a qualche
tempo fa. A tutte le feste arrivavano orde di parenti confusionari, con
tanti bambini: tutti si lamentavano, ma regolarmente ogni anno si
ripeteva la stessa storia.”
La
situazione che la sognatrice descrive è nota a molti di noi: le feste
con i parenti. Nel corso di questi incontri, idealmente ispirati ai
migliori buoni propositi di unione e affetto reciproco, accade con
frequenza il peggio, a cominciare semplicemente dalla noia e dal disagio
nel trovarsi assieme a persone che magari faremmo volentieri a meno
d’incontrare o con le quali non condividiamo nulla a parte il legame
di parentela, per finire con gli eventuali litigi o le contrapposizioni
nascoste o dichiarate. L’esigenza di riconfermare o rinnovare a
scadenze più o meno fisse i vincoli familiari, secondo me,
origina da un residuo di atavici riti tribali
in cui, per fondate ragioni di sostegno vicendevole e di
sopravvivenza, era importante congiungersi in clan e costituire o
rinsaldare vincoli di sangue o di appartenenza. In senso più
psicologico, possiamo dire che la permanenza fino ai nostri giorni di
queste riunioni – con tante trasformazioni e specificazioni
attraversanti tutta l’evoluzione storica e culturale dell’uomo:
pensiamo al concetto di famiglia, patria, di congregazione politica o
religiosa ecc. – è motivata dalla necessità di affrontare uniti un
grande e spaventoso archetipo collettivo: la morte, intesa come vuoto,
assenza di vita e di significato. Riconoscendosi in una qualsivoglia ‘società’,
in una qualche consorteria, si esorcizza la paura e la desolazione. La
forma più semplice, e forse la più radicata, del riconoscersi
nell’altro e avere un vincolo di reciproco sostegno, è quella che
origina dalla consanguineità. La più evoluta, probabilmente, è quella
di vedere ogni essere umano, ogni essere vivente e tutto l’universo
come parte di sé, come propria patria e famiglia. In questo caso, però,
non si cerca di allontanare lo spettro della la morte – ad un tale
stadio di comprensione si intuisce profondamente l’eternità della
vita - quanto il male fondamentale del nostro piano d’esistenza:
l’illusione della separatività. Il Sangha,
la comunità buddhista ideale, per fare un esempio, quale espressione di
una alta consapevolezza del vivere, come prodotto di profonde conoscenze
religiose e mistiche, non può considerarsi originata da una paura o da
un interesse particolaristico o di bandiera; semmai è la realizzazione
concreta della compassione, dell’amore, della sollecitudine per
l’altro, e il riconoscimento della fondamentale unità della vita
universale.
“Le
giovani donne con abiti lunghi dovevano radunarsi al centro di una
piazza e rotolarsi sull’erba bagnata; era una tradizione, l’anno
precedente anche io avevo partecipato.”
Per
ritornare alla situazione familiare, al clan, al vincolo di sangue,
dobbiamo precisare l’importanza che la sessualità e il matrimonio con
la sua potenzialità di generare assume per la sopravvivenza tribale, e
la necessità, per il ‘clan’, di accogliere nuovi apporti, di
accettare ‘innesti’ e instaurare legami con altri, estranei al
tronco principale, così da potersi rinnovare, accrescere, perpetuare.
Tutti i popoli, già in stadi più o meno primitivi della loro
evoluzione, hanno codificato ciò con complicate regole, diverse a
secondo delle culture: abbiamo così le endogamìe, le eterogamìe, le
culture matrilineari, patrilineari, le monogamìe, le poligamìe a
impronta maschile o femminile, eccetera, eccetera. Simonetta sembra
adombrare questo tema quando dipinge l’incontro delle giovani donne
come una sorta di rituale della fecondità al quale la sognatrice
stessa, ora in età più matura, aveva in passato preso parte. Ad un
certo punto compare una ragazza “un
po’ strana, vestita di azzurro” che “voleva
forse partecipare alla nostra festa”. Sembra anch’essa esprimere
il simbolismo della fecondità e in particolare della maternità, con il
suo abito azzurro e l’attesa del medico: Anacleto
significa ‘chiamato’, ‘invocato’. La ‘malattia’
e i ‘disturbi’ possono
alludere ad una possibile gravidanza. Il medico è “l’ospite più importante” perché è in grado di diagnosticarla,
tuttavia in questo caso egli prevede “perdite
ematiche”, cioè una gravidanza illusoria o destinata a non andare
a buon fine. In realtà la ragazza ha uno ‘squilibrio mentale’, non
può essere accettata perché la sua problematica diverge da quella
comunitaria, dev’essere riaccompagnata ad una festa diversa, minore,
“al centro mentale”. Anche i ‘gay’ sono una deviazione rispetto
alla norma del ‘clan’: la loro ‘gaiezza’ è sterile e
improduttiva per i fini di sopravvivenza della comunità, equivale in
questo racconto onirico ad una non accettazione della propria sessualità
adulta e del ruolo sociale, come se si rimanesse fermi allo stadio del
“giocattolo da bambini”, cioè
immaturi; così vanno
allontanati, anche se in un certo senso “questa e’ una notte di festa, si puo’ fare tutto!”, perché
è una celebrazione di vita.
“Nella casa io
preparavo i tavoli per gli ospiti e componevo dei centri-tavola con
noci, castagne con il riccio, tovagliette rosse ricamate, kiwi,
tronchetti di legno, tutto molto artistico.”
La
sognatrice assume parte attiva nel grande rituale che sta avendo luogo:
apparecchia, controlla, si dà da fare affinché tutto vada per il verso
giusto, insomma si prende cura degli eventi e, in tal modo, partecipa,
si inserisce: “ero ospite, ma mi
sentivo facente parte della famiglia”. Il tipo di decorazione dei
tavoli, inoltre, ricorda le solennità natalizie – il cui tema,
naturalmente, è la nascita – o le festività autunnali, con
l’abbondanza dei raccolti e il conseguente esorcismo della ‘morte’
dell’anno. Nel sogno, poi, c’è un’altra ragazza che fa da
significativo contrappeso alla giovane con il vestito azzurro soggetta a
‘perdite ematiche’: è Ilaria, il cui nome significa ‘serena’. La sognatrice riferisce
che questa aveva “una bambina in
braccio, salutava tutti e tutti si complimentavano con lei. Continuando
a preparare, guardavo e sorridevo, aspettando che venisse a salutarmi,
ma ho avuto l’impressione che deliberatamente cercasse di ignorarmi;
poi sono arrivate la madre e la zia....”. La donna è serena,
valorizzata e realizzata perché ha una bambina, ed è integrata in una
struttura generativa femminile: la madre, la zia, la bambina stessa. La
facoltà femminile di concepire e generare, facendo ancora riferimento
al passato ‘tribale’ dell’umanità, dev’essere sempre stata
considerata della massima
importanza per la prosecuzione della specie e della famiglia, conferendo
alla donna un ruolo centrale. Però Ilaria esclude Simonetta, anche se
questa si dà molto da fare per aiutare. Il problema che il sogno
descrive, dunque, sembra essere questo: la sognatrice, dopo avere
esaminato delle possibili devianze dagli scopi del ‘clan’, si
accorge gradualmente di non essere più lei stessa una parte integrante
della comunità, di non essere essenziale per essa dal punto di vista
della riproduttività e del ruolo sociale. A questo punto, come ‘interprete fantasticante’ devo chiedere
ancora una volta scusa delle mie incursioni in ambiti forse troppo
antropologico-psicanalitici, oltretutto senza averne la necessaria
competenza. Tuttavia è anche difficile porre un limite alle proprie
‘fantasticherie interpretative’, e facendolo verrebbe falsato lo
spirito di una genuina indagine conoscitiva. Se inoltre approfondiamo
ulteriormente i significati
esaminati, troviamo che il sogno travalica da sé le spiegazioni più
strettamente ‘analitiche’ indicando l’esigenza per la sognatrice,
in questa fase della sua vita, di strutturarsi una personalità
indipendente, autonoma dai ruoli collettivi e pienamente cosciente della
propria individualità: fino ad un certo punto dell’evoluzione ci si
‘conosce’ in quanto facenti parte di un insieme sociale con regole e
rituali stabiliti, volti a dare senso all’esistenza e a fronteggiare
la ‘morte’ e il vuoto attraverso l’identificazione comunitaria e
la funzione sociale; nondimeno arriva il momento in cui tutto questo
dev’essere superato per far posto ad una maggiore libertà e
all’evoluzione individuale. E’ proprio questo il lavoro che viene
qui annunciato come compito: dopo la scoperta della diversità,
dell’esclusione e della solitudine, la consapevolezza di una nuova
coscienza di sé e del Sé, di una nuova sensazione di appartenenza,
senz’altro difficile da percepire, ma più profonda e universale.
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